Questa è la storia di mamma Desiré, di papà Alessio, e di una dolce principessa di nome Rebecca e del suo cuoricino dispettoso e di due angioletti volati via tanto presto. Non scrivo per ricevere compassione, ma perché, come è successo a me e a mio marito che su un gruppo Facebook abbiamo trovato le risposte a tante nostre domande, con la nostra storia vorremmo aiutare tutte quelle mamme e quei papà smarriti che hanno bisogno di aiuto.
La gravidanza è il momento più bello della vita di una donna e di una coppia: quell'attesa così favolosa, da sogno, passata a fantasticare su come sarà, a chi assomiglierà, come sarà il parto. Normalmente va tutto bene, altre volte qualcosa va storto e quel sogno diventa un incubo.
Dopo tanta attesa, la perdita di un bambino/a a 9 settimane, una biochimica, tante analisi e ricerche, il 10 luglio 2020 con un giorno di ritardo ho fatto un test che da subito è risultato super positivo. Ero incredula. Pensare che ero andata in farmacia a prendere il test e avevo detto al dottore: "Allora io vado in bagno e lo faccio, se non torno sono incinta, se torno ordiniamo la scatola nuova di integratori!".
Tutto andava per il meglio, la pancia cresceva, io e papà aspettavamo ogni visita con ansia per vederti lì su quello schermo mentre salutavi con la tua manina, papà aspettava con ansia di scoprire il sesso perché voleva a tutti i costi una femminuccia, la sua principessa.
Purtroppo il nostro incubo era dietro l'angolo. Avevamo appena montato la culletta il giorno di Natale, che il mondo il 31 dicembre 2020 ci è crollato addosso. Durante l'eco del terzo trimestre, la dottoressa mi ha guardato spaesata e mi ha detto che qualcosa non andava al cuore: c'era una malformazione.
Ha iniziato a chiamare due o tre suoi colleghi che purtroppo non rispondevano e mi ha consigliato quindi di correre al pronto soccorso di un ospedale di Roma per essere controllata. Esco a stento dall'ospedale, accompagnata in macchina dall'infermiera perché le lacrime, l'ansia e la paura avevano preso il sopravvento.
Da lì inizia il nostro incubo: la corsa a casa a prendere la valigia, via verso il pronto soccorso dove, incredula, continuo a sentire quella diagnosi. C'è anche la paura di stare sola in un momento come questo ma, ahimè, c'è il Covid, quindi purtroppo anche nei momenti più duri si è soli.
In un giorno di festa ho dovuto separarmi da mio marito, non avevamo avuto il tempo di metabolizzare, non avevamo avuto il tempo di parlare, non avevamo avuto il tempo di farci forza che mi portano in stanza, mi dicono di salutarlo e che lo avrei visto solo per un'ora il giorno dopo.
Salgo in reparto: tremila domande, analisi, monitoraggi, diversi dottori intorno, tutti a vedere quel referto e io non capisco perché. Giorni di controlli, di varie ipotesi, ogni mattina una notizia diversa, data con poco tatto e una freddezza unica: "Signora, la bambina ha la sindrome di Down; signora, la bambina ha la sindrome di De George; signora, la bimba ha il 5% di possibilità di vita". Tante ipotesi, perché neanche loro capiscono realmente cosa sia finché non ci mandano a Latina da una dottoressa a fare un'eco cardio.
Usciamo da lì abbastanza sollevati, finalmente una diagnosi c'è: la situazione è grave sì, ma si può intervenire. Un sollievo durato solo otto ore. La mattina dopo veniamo convocati per parlare con il primario, ci troviamo in una stanza piccola circondati da otto medici: inizia così il discorso peggiore mai ascoltato nella nostra vita!
La situazione è grave e purtroppo c'è poco da fare: abbiamo saputo via mail da un cardiochirurgo che servono almeno 2 kg e 5 per poter sottoporre la bambina ad un intervento chirurgico e che, in attesa che raggiunga quel peso, può succedere di tutto nella pancia, anche una morte intrauterina.
Ci prospettano due soluzioni: fare un cesareo subito a 30 settimane, che da una parte può essere di beneficio per me e dall'altra significa zero speranze per la bambina, o tentare disperatamente e affannosamente di arrivare a questi 2 chili e mezzo e quindi tentare un'operazione teorica sulla bambina. Dobbiamo decidere noi.
Alle nostre domande, ci siamo sentiti rispondere che un conto è affrontare un cesareo a 31 settimane (e quindi è un rischio minore per me), e un conto tentare di andare avanti, e, inoltre, come in ogni intervento possono esserci dei rischi, tra i quali perdere l'utero. Abbiamo due giorni di tempo per decidere.
Ora quale genitore condannerebbe a morte il proprio figlio se solo ci fosse una possibilità, non tentando il tutto e per tutto? Quel giorno mi hanno dovuto prescrivere delle gocce per farmi stare calma, hanno permesso ad Alessio, mio marito, di stare con me tutto il giorno. Nel tardo pomeriggio mi fanno un elettrocardiogramma e io ancora una volta non capisco perché (scopro dopo che serve per l'eventuale cesareo).
Il giorno dopo abbiamo ragionato sulle parole dette al colloquio e ci è tornato in mente che ci era stato detto che la dottoressa che aveva fatto l'eco-cardio aveva scambiato solo una mail formale con il cardiochirurgo, in cui le erano state dette le cose che ci avevano riportato, come i kg da raggiungere e l'operazione difficile, ma in realtà l'ospedale non aveva mai preso contatto con questo medico (che in effetti non aveva chiesto di vederci, oltre tutto la famosa mail non avevano voluto leggercela per motivi di privacy e ci eravamo chiesti più di una volta quale privacy... se si parla di nostra figlia?).
Un angelo con il cuore speciale
Iniziamo a cercare risposte, a contattare medici, ad inviare i referti e le risposte sono sempre le stesse: la situazione è grave, ma è operabile e quindi non capiamo perché ci erano state dette quelle cose, perché eravamo stati posti di fronte ad una scelta tanto difficile.
Nel frattempo, mi viene chiesto cosa vogliamo fare e io dico al primario che io e mio marito abbiamo deciso di tentare. Da lì comincia qualcosa di assurdo: non solo insulti gratuiti per una scelta non condivisa ed accettata, ma mi viene tolto ogni controllo. Come a dire "affari tuoi".
Decido così di mettere una storia su Facebook e vengo contattata da una ragazza che mi parla di un gruppo dedicato alle cardiopatie congenite, mi iscrivo e racconto la storia di Rebecca, la mia bimba, e vengo immediatamente contattata da un 'angelo'.
Mi chiede i referti e li fa vedere ad un cardiochirurgo che mi contatta immediatamente e mi dice di andare via dall'ospedale e di andare da loro al Bambin Gesù perché sono stata "sequestrata" e proprio loro, che avrebbero dovuto operare Rebecca alla nascita, non sono a conoscenza della sua diagnosi.
Decido di dimettermi dopo TREDICI giorni di ricovero: non è stato facile neanche dimettermi perché pretendono di sapere il nome del medico da cui devo andare, vogliono farmi rientrare in ospedale dopo il consulto, mi riempiono di telefonate ed email dove mi offrono ogni controllo che fino a quel giorno mi è stato negato per la decisione di tentare di salvare nostra figlia. Tredici giorni di non risposte, tredici giorni di batoste, tredici giorni persi su un letto…
Finalmente arriviamo al consulto con i cardiochirurghi che ci spiegano che sì la situazione di Rebecca è grave, ma se la bimba reagisce bene può essere operata alla nascita. Iniziano così settimane di controlli avanti e indietro, ma controlli fatti con amore, di un amore unico e puro per quella vita che scalcia in me. Inizia un mese in cui non si vive, ma si sopravvive, un mese di sospiri di sollievo, di lacrime, di ansie, di 'ce la farà…'.
Abbiamo incontrato angeli sulla nostra strada, persone che non dimenticherò mai. Tra queste le ostetriche del primo ospedale senza le quali quei tredici giorni sarebbero stati ancora più duri, i cardiochirurghi, il cardiologo, la ginecologa del Bambin Gesù… la mia ginecologa... e Sarah, una meravigliosa ragazza, l'ostetrica che è stata il mio punto di forza e sostegno a casa, le ostetriche, le infermiere e i ginecologi dell'ospedale Fatebenefratelli San Pietro di Roma, senza le quali non sarei stata serena nell'affrontare tutto.
Purtroppo, martedì 2 febbraio 2021, il controllo non va poi così bene e quindi si opta per 2 dosi di Bentelan, così che la bambina sia pronta a respirare sola. Ahimè, la situazione degenera, i battiti di Rebecca aumentano, quel piccolo cuore sta lavorando troppo. E, purtroppo, arriva quella frase che nessun genitore dovrebbe mai sentirsi dire: "Non c'è più battito".
Ti crolla il mondo addosso, ti trovi a 35 settimane di gravidanza, solo dopo 2 settimane avremmo sentito quel pianto unico che attendevamo con ansia. Ho guardato gli occhi di mio marito in cui ho cercato una soluzione o un cenno di "eccolo, c'è il battito, era uno scherzo!".
Ci siamo ritrovati così a sentire tanti "mi dispiace" che lasciano il tempo che trovano, ma si capisce la difficoltà delle persone in quel momento. Bene, siamo qui a dire a quel medico che Rebecca ha lottato con i denti, che aveva superato ogni pronostico di peso, lunghezza e settimane (2 kg e 200, 46 cm e 34 settimane terminate), ma ahimè in quel momento il cuoricino ha deciso che anche per lei quei 40 giorni erano troppi.
E siamo qui a dire a voi di non arrendervi, di cercare soluzioni perché di medici bravi al mondo ce ne sono, senza rimpianti prendete le decisioni giuste e lottate con tutti voi stessi per quei piccoli amori, non ascoltate nessuno, non pensate a come sarebbe stato se.
.. ogni vostra decisione presa con il cuore e amore è quella giusta.
Ricordo la difficile scelta tra cesareo e naturale. Spettava a noi decidere cosa fare, purtroppo Reby è stata dispettosa dal primo istante e quindi ha deciso di girarsi all'ultimo e mettersi in posizione podalica, così un po' per per paura, un po' per non far tornare il papà, le nonne e gli zii in ospedale il giorno dopo sotto la pioggia. Alla fine ho scelto il cesareo.
Ricordo i fogli da firmare, ricordo le contrazioni che iniziavano a farsi sentire, ricordo con affetto ogni dottore che era lì accanto a me, l'abbraccio dell'ostetrica per fare la spinale perché non riuscivo a piegarmi, ricordo l'anestesista che mi diceva: "Desy tutto bene? Ora ti stordisco un po'!". La mia risposta era sempre la stessa: "Poco perché devo vederla!".
Eh sì cuore mio, ti abbiamo vista e nonostante tutto averti tra le mie braccia è stata l'emozione più bella della mia vita, eri così bella, così perfetta, così piccola e uguale a me! Ricordo le parole di papà: "È bellissima! È uguale a te, siamo stati bravi!".
Ricordo la sensazione di serenità che ho provato nel tenerti stretta stretta a me. La mia dolce bella principessa per sempre! Io so che Rebecca sa quanto l'abbiamo amata, so che sarà per sempre orgogliosa del suo papà e della sua mamma; so che era una bambola bella, mora con il naso all'insù.
Saluto il mio piccolo angelo con le lacrime agli occhi e nel cuore, ma con la consapevolezza che siamo state una cosa sola fino all'ultimo istante. Siamo qui a scrivere perché scrivere di lei è l'unico modo che abbiamo per tenerla viva, e vorremmo che ci fosse più consapevolezza e conoscenza su questo argomento. Sembra così lontano, così innaturale, purtroppo succede troppo spesso.
I nostri bambini sono esistiti, i nostri bambini vanno ricordati, i nostri bambini vivono con noi. Sono stati, sono e saranno per sempre la nostra VITA.
di Mamma Desiré e papà Alessio
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