Io e mio marito ci siamo conosciuti giovanissimi, al liceo, io avevo quindi anni e lui sedici. Io avevo da poco cambiato città e conseguentemente scuola, piano piano mi sono ambientata nella nuova classe e....mi sono innamorata del ragazzo all'ultimo banco (era troppo alto per stare seduto ai primi posti).
Siamo cresciuti insieme, ci siamo fidanzati, abbiamo costruito quello che doveva essere il nostro futuro a partire dal diploma, poi la laurea, il lavoro, sognavamo una famiglia molto grande, con quattro figli, ma erano solo sogni perché eravamo molto giovani per diventare genitori.
I sogni ad un certo punto devono necessariamente scontrarsi con la vita che, ha deciso di portarci a Torino.
A ventitré anni abbiamo iniziato la nostra convivenza, abbiamo affittato una casa piccolina che per me era come palazzo reale, lavoravamo entrambi, siamo partiti dalla Sicilia con l'idea di progettare una famiglia anche se capisco che può sembrare strano, a ventitré anni si è ancora molto giovani se ci penso adesso che di anni ne ho trentatré credo che siano stati proprio quei dieci anni in meno, la spensieratezza e l'amore a darci la forza di prendere l'aereo che ha completamente cambiato la nostra vita.
Ad ogni modo, la nostra vita a due è sempre stata felice (con alti e bassi come in tutte le coppie ma nel complesso stabile e felice), ad un certo punto ci siamo resi conti che ci mancava un bambino, era arrivato il momento. Ci siamo confrontati molto sull'argomento, per me potevamo iniziare a mettere in cantiere il nostro bimbo da subito, mio marito voleva prima sposarsi, io mi consideravo già sposata tanto che quando le amiche mi hanno chiesto cosa fosse cambiato dalla convivenza al matrimonio la mia risposta era sempre la stessa “ho tolto la fedina in oro bianco e ho messo quella in oro giallo” ma, per mio marito era importante essere un marito prima di essere un padre.
Da subito abbiamo iniziato la ricerca di un bimbo insieme a quella di una casa più grande, solo che la casa l'abbiamo trovata subito, per il bimbo la faccenda è stata più complessa. Dopo quasi un anno di tentativi siamo andati dai medici e ci hanno messo di fronte la diagnosi di infertilità.
Immaginavo che ci fosse qualcosa che non andava ma averne la certezza è un'altra cosa, il fatto è che non si pensa mai all'eventualità di non poter avere figli, si sogna, si accarezza quel desiderio senza pensare che potrebbe andare male.
Abbiamo iniziato il nostro percorso verso la fecondazione assistita, centri, medici, controlli, non è un percorso semplice sia per quel che riguarda l'aspetto logistico medico della cosa sia per quanto riguarda il tabù di queste tecniche.
Le persone con figli hanno il coraggio di dirti “beata te che non ne hai ma perché li vuoi? Io se sapevo che avere figli era così non li avrei mai fatti” e tu vorresti urlare ma stai zitta per non litigare, ancora oggi avere dei figli artificiali viene considerata una stranezza, se dici al tuo interlocutore di avere mal di denti vieni subito indirizzata dal dentista o ti suggeriscono di prendere dei farmaci, se dici di non poter avere figli nessuno e dico nessuno ti dice di andare dal medico, al massimo ti dicono che sei stressata, che ti sei fissata e che pensi troppo all'idea di un figlio.
L'infertilità è una malattia e come tale va vista e curata. Noi abbiamo continuato il nostro percorso non facile, fatto di tanti appuntamenti mancati con il destino, fatto di pianti, di desideri, di Natali tristi.
Poi, finalmente ci siamo riusciti e, grazie ai medici è arrivato nostro figlio. Si chiama Simone e adesso ha cinque anni, è il mio personale miracolo, quando è nato mi sentivo invincibile, pensavo che sarei riuscita a fare qualunque cosa mi dicevo: “Mi hanno detto che non potevo avere figli e invece eccolo qua, posso fare tutto”.
Nel cammino che mi ha portato a diventare mamma ho smesso di credere, di avere fede, la mia fede non era più rivolta a Dio che avevo tanto pregato per questa grazia, ma la mia fede era ed è nei medici, nella scienza ma, la vita, anche questa volta ha deciso di mettermi alla prova così mio figlio è nato a dicembre, mese canonicamente ricordato per la nascita di Gesù e, per una serie di circostanze abbiamo deciso di chiamarlo Simone, solo dopo abbiamo coperto che significa “Dio ha donato”.
Sembra una beffa, lui il il figlio della scienza porta un nome così mistico ma, come ho detto prima, la vita è strana.
Mi hanno chiesto se mi sentissi speciale, diversa, no non è così, sono una mamma, una donna normale che cerca di tenere insieme casa, lavoro, figlio, marito, facendo i salti mortali come tutti.
No, non sono una mamma speciale con un figlio speciale, sono una persona normalissima che si è scontrata con la vita e, per il momento, pare che in questa stramba partita riusciamo a mantenere un pareggio.
Nel tempo, mi sono resa conto di come le amiche reali e quelle virtuali, le donne infertili come me che ho incontrato sui vari forum, siano state la mia salvezza, e così, insieme alla mia editrice, Mariantonietta Barbara, abbiamo deciso di raccontare questa storia.
Per rompere il tabù, per parlarne perché è inutile vergognarsi, di cosa? Di avere un problema di salute?
Nel nostro Paese tutto ciò che a che fare con i figli è visto come una cosa strana, se si concepisce in maniera non naturale sembra aver fatto un patto col diavolo. Basti pensare a quello che è successo a Vendola a tutto il marasma che si è creato anni fa quando Gianna Nannini ha avuto sua figlia. Ecco basta! Basta, smettiamola di considerare la questione concepimento come una cosa da allontanare.
Mio figlio è un miracolo, come tutti i figli. Il romanzo poi è stato articolato in maniera un po' particolare rispetto alla narrativa classica, la prima parte è un romanzo vero e proprio poi, nasce il diario (come da titolo). E' un vero diario, uno dei tanti che abbiamo scritto, usato come valvola di sfogo, dove le frustrazioni e le paure prendono corpo, sono tutti diari conservati gelosamente perché fanno tutti parte dei nostri figli.
Oltretutto, rispetto ai vari libri che parlano di maternità noi abbiamo preferito parlare di 'genitorialità' perché i figli, in qualsiasi modo vengano concepiti, sono un affare di coppia non solo della mamma e così nel nostro diario anche mio marito si è cimentato nella scrittura.
Il nostro lungo percorso ci ha permesso di conoscerci meglio come persone, ci ha insegnato tanto, non avremo quattro figli ma va bene lo stesso, se dovessi dare un voto alla mia vita il 9 credo sia quello più appropriato, va bene così.
di Silvestra Sorbera
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Aggiornato il 31.01.2018