Sono la mamma di un piccolo fagottino di 20 giorni. Sì, avete letto bene. Questa è la mia prima gravidanza dopo ben 5 anni di matrimonio, cercata, ma arrivata con ritardo. Non sono qui a descrivere le angosce dei mesi e anni che passavano, delle visite mediche, delle cure fatte pur di averla.
Ma si sa che le cose belle arrivano quando meno te lo aspetti e soprattutto senza nessuna cura o terapia perché ci eravamo rassegnati. Il 9 luglio 2020 tutto cambia, finalmente un positivo. La nostra vita cambia radicalmente, la gravidanza procede bene, senza nessun particolare problema.
Fino a quando a gennaio, durante una visita di routine, la mia ginecologa nota un aumento del liquido amniotico oltre la norma, quindi decide di farmi seguire una corretta alimentazione. Dopo 15 giorni ho un altro controllo, il livello è lievemente calato. Ma c'è sempre qualcosa che non quadra perché agli esami rispondo bene e non c'è nessuna patologia come diabete gestazoinale, o gestosi. Nulla.
Ma alla visita del terzo trimestre ancora una volta la sacca è aumentata di volume e in più si nota qualcosa all'intestino della mia bambina (ma a me non viene detto nulla per non farmi agitare), quindi la mia dottoressa decide di farmi fare un'ecografia ulteriore con macchinari più all'avanguardia.
È l'11 febbraio 2021, io sono di 35 settimane. La diagnosi è polidramnios e per la mia piccola invece atresia duodenale. Il mondo ci cade addosso. Il professore ci dà informazioni su come procedere ma noi siamo in una bolla. Si parla di cesareo d'urgenza e poi subito operazione per la mia guerriera. Un unico pensiero abbiamo in mente, ed è che la nostra bambina appena nata debba subire già un'operazione.
Atresia duodenale. Mia figlia ha subito un'operazione dopo il parto
Decidiamo assieme alla ginecologa di andare avanti finché non si avvicina il momento del parto, aiutando la piccola a crescere ancora un pò dentro e soprattutto con la respirazione.
Ma qualcosa varia ancora, a 37 settimane, dopo una serie di tracciati, la frequenza cardiaca della bambina è poco variabile, di lì subito il ricovero.
Iniziano vari e ripetuti esami e soprattutto monitoraggi (anche due ore di tracciati per vedere se si muove) fino a quando, dopo un ultimo tracciato, iniziato alle 19 circa, mi ritrovo sul finir della sera circondata da molti medici. Alle 23 circa si rompe la sacca, giusto il tempo di avvisare la famiglia. Mi viene fatto un cesareo d'urgenza e in quasi 30 minuti la piccola viene al mondo.
Sono le 00.01 del 26 febbraio. Io non sono padrona del mio corpo, la sento piangere ed ho solo un minuto per darle un bacino e nulla più. Ma lì inizia la mia angoscia. A causa di questa pandemia in ospedale non può esserci nessuno, e già l'umore è giù. Mio marito segue la piccola appena nata che è trasportata in ospedale pediatrico con ambulanza di notte, con nebbia fitta, in una notte bella ma suggestiva.
Il giorno dopo la operano, io divisa, con il corpo in ospedale a cercare di riprendermi e con la mente e cuore in sala operatoria con la mia bambina. Ovviamente in ospedale sono sola e senza lei, senza la possibilità di poter vivere i momenti fantastici del post parto come l'allattamento, il cambio del pannolino o un semplice bacino... Nulla.
Il telefono per gli auguri squilla ed io rispondo dicendo una marea di bugie. Il giorno dell'operazione non passa mai, ore lunghe senza saper nulla, finché il chirurgo ci dice che l'operazione è andata bene. Dopo 4 giorni appena mi dimettono: c'è stato il nostro primo incontro straziante, vederla lì in quel reparto di patologia neonatale attaccata a macchinari, con sondino naso-gastrico, con aghi, flebo, così piccola ma così forte.
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La sua alimentazione è appena di 5 ml, ma a giorni alterni perché appena ha ristagno gliela sospendono. I giorni trascorrono così, solo un'ora per stare con lei. Alle 15 si entra in reparto con camice, guanti, mascherina e sei lì, con altre situazioni simili o altre patologie che ti aprono non solo la ferita, ma ti fanno capire che c'è qualcosa alla quale non si è pronti. O meglio, che per amore dei figli si fa di tutto. Mille sacrifici per amore.
Tornare a casa senza lei è stato come se avessero tolto una parte di me. Non poterla avere in braccio, allattarla, darle un bacino... non abbiamo avuto quel contatto mamma/figlia. Io e mio marito alterniamo i giorni perché un solo genitore può entrare, possiamo solo accarezzarla inserendo le mani nella culletta attraverso due sportellini, farle sentire il nostro calore in questo modo.
I giorni trascorrono, lei è ancora lì. L'appuntamento quotidiano delle ore 15 è come se fosse un primo appuntamento, dove hai mille emozioni che ti invadono mente e cuore. I colloqui con i medici diventano gradualmente positivi, la dose di latte sta aumentando, ma ancora non ci si sbilancia sulle dimissioni.
L'essere preparata anticipatamente forse è stato un bene, ma comunque non accetti, non capisci perché ti stia capitando tutto ciò, ti poni mille quesiti, ti sale un'angoscia indescrivibile... Ma il 19 marzo una telefonata dall'ospedale ci avvisa delle dimissioni di Maria Francesca.
22 giorni ci hanno divise, ma è bastato uno squillo di telefono per ridarci ciò che avevamo perso: la fiducia, la voglia di vivere, di sorridere.
E solo grazie a quell appuntamento quotidiano che mi sono salvata da una grande e forte depressione. Oggi la piccola ha 3 mesi e gode di ottima salute e ringrazio Dio per il dono della vita speciale e immenso.
di Lucy
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