Ebbi la mia prima figlia nel 2012. Non ce lo aspettavamo perché io avevo solo 21 anni e mio marito 24: avevamo ancora tante cose da fare, ma fu amore già dal primo giorno. Lei è una bambina meravigliosa e con lei abbiamo realizzato un grande sogno, anche se in anticipo sui tempi!
Nel 2014 ci sposammo e iniziammo a pensare a un fratellino. Il nostro piccolo Puntino ha fatto capolino tra noi il 21 giugno 2016, il giorno del compleanno della sorellona. Purtroppo, però, già dalla prima visita qualcosa non andava perché la camera gestazionale era troppo bassa e rischiavo di perdere il mio bambino.
Il 19 luglio avvertii i primi dolori e decisi di recarmi in ospedale. Mi ricoverarono e la mattina dopo, durante un colloquio con il primario di ostetricia, mi dissero la diagnosi: "Scar pregnancy". Non avevo mai sentito questo nome, che presto sarebbe diventato parte del mio vocabolario.
La "Scar pregnancy" è una gravidanza che si impianta sulla cicatrice di un precedente cesareo, è rarissima al punto che non si sa come trattarla, ma ciò che è certo è che non lascia alcuna speranza né per la mamma né per il bambino.
Il dolore accecante non mi faceva ragionare, volevo mio figlio ed ero convinta di portare avanti la gravidanza, finché mio marito non mi fece ragionare. Come avrei potuto lasciare la mia bambina orfana? Aveva solo quattro anni e tutto il bisogno della mamma. Potevo rischiare tanto?
Decisi di fare un'ecografia specifica, durante la quale mi dissero che le speranze erano molto poche, così venni ricoverata il 31 luglio per iniziare quello che per me sarebbe stato il percorso più duro e doloroso.
Mi diedero la pillola abortiva e mi lasciarono a digiuno, per quattro giorni controllarono il battito del mio bambino che, più forte che mai, era ancora lì. Purtroppo nel mio caso si poteva fare poco perché, legalmente, la mia era una interruzione volontaria anziché terapeutica.
Venni lasciata così, in attesa, con la sorte che si beffava di me.
Fino al quinto giorno, quando iniziai ad avvertire dolori addominali e mi fecero una eco con la speranza che Puntino fosse volato via. Speranza vana, perché lui era ancora lì e da una risonanza si capì che i dolori erano dovuti dalla placenta che stava vascolarizzando la vescica. Non avendo trovato vasi sanguigni sani dove andarsi a impiantare, infatti, aveva invaso l'addome e io avevo pochi giorni di vita.
L'ultima speranza era la chemioterapia. Firmai il consenso per essere sottoposta alle infusioni e la sera stessa iniziai. La chemio avrebbe interrotto la formazione di nuove cellule in tutto il corpo, compreso quello di mio figlio. E funzionò. Il 7 agosto il mio Puntino non c'era più ed io ero viva. Mi sottoposero ad una nuova infusione una settimana dopo e iniziai a stare male. Persi capelli, avevo bruciori di stomaco, ma volli tornare a casa e venni dimessa il 18 agosto con appuntamenti ogni settimana per monitorare la situazione.
Ritrovai mia figlia, la mia ancora di salvezza che mi aiutò a riprendermi. Ogni settimana andavo al controllo sperando di non dovermi sottoporre a un intervento data la delicatezza della situazione. La placenta andava via via spegnendosi, le beta calavano, i giorni passavano e festeggiai i miei 27 anni.
Il 31 ottobre una nuova risonanza disse che era tutto spento e il 9 dicembre mi sottoposi all'intervento di aspirazione del prodotto rimasto dalla gravidanza. Mi dissero di non provare ad avere altri figli... ma il mio senso di vuoto era immenso! Nel frattempo mio nonno si era ammalato gravemente, ma nonostante questo stava sempre accanto alla sua nipotina e io a lui.
Decise di lasciarmi il 31 ottobre 2017 e piansi di nuovo lacrime di dolore immenso. Gli chiesi di darmi pace, almeno lui, o di fare il miracolo che tanto aspettavo e.
.. sorpresa! A febbraio 2018 scoprii di aspettare un figlio. Vissi mesi di ansie, aspettative e felicità, sempre consapevole che il mio dolce nonno mi aveva aiutato e che sarebbe stato sempre lì, pronto a vegliare su di noi.
Il tempo scadeva il 17 novembre, ma visti i precedenti il ginecologo non volle rischiare così mi disse che avrebbe programmato un cesareo. Così fece e mi chiamò per dirmi che la mia bambina sarebbe nata il 31 ottobre 2018. Esattamente un anno dopo la morte di mio nonno diedi alla luce Agnese, alla quale mettemmo il nome della nonna che avevo perso 25 anni fa per onorare il grande amore che ci legava ai nostri nonni.
Non sono sola, nessuno lo è. Ho due figlie meravigliose e Agnese è un angelo mandato da chi mi vuole bene per superare il tanto dolore che mi ha accompagnato per due anni. Ora sono felice, ringrazio ogni giorno dell'immensa fortuna che ho avuto nel poter crescere le mie piccole e ringrazio mio nonno che in un modo o nell'altro è voluto rimanere accanto a me.
di mamma Miranda
(storia arrivata sulla pagina Facebook di Nostrofiglio.it)
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