Per tutta la gravidanza mio figlio è stato podalico. Si è seduto come un "piccolo buddha" al quarto mese e non si è più mosso. Mi hanno programmato un cesareo per i primi di aprile, ma il mio bimbo aveva altri piani.
Il 19 di marzo vado in visita all'ospedale dove avrei partorito e, oltre ad aver perso il tappo mucoso, mi trovano dilatata di 2 centimetri, ma decidono di non ricoverarmi. Il 22 marzo, alle 22:30, si rompono le acque. Scappiamo al pronto soccorso e alle 23 iniziano le prime contrazioni. Mi fanno un monitoraggio e poi mi dicono di attendere in sala d'attesa.
Aspetto pazientemente su una sedia di ferro, da sola (a causa del covid non fanno entrare mio marito), e intanto le contrazioni aumentano. All'1:30 del mattino chiedo informazioni a un'ostetrica che passa, che mi dice che stanno aspettando la risposta di altri ospedali perché vogliono trasferirmi poiché non ci sono posti letto.
Mi prende un colpo: mio figlio è podalico e le contrazioni stanno aumentando. Passa un'altra mezz'ora e le contrazioni aumentano ancora, una ogni 15 minuti. Un'altra ostetrica mi vede sofferente sulla sedia e decidono di visitarmi di nuovo: sono di più di 5 centimetri e mio figlio non si è girato. Allora, dato che gli altri ospedali non hanno accettato la mia richiesta di trasferimento, mi fanno firmare il posto in barella fino a che non si libera un posto in reparto.
Io accetto e mi portano in sala parto, ora ho contrazioni ogni 5 minuti. Mi fanno il cesareo e alle 3.55 del 23 marzo nasce mio figlio, fortunatamente senza problemi e senza bisogno dell'incubatrice. I guai grossi iniziano quando arrivo in reparto. Per le prime 24 ore non posso alzarmi dal letto, e mio marito può farmi visita per un'ora al giorno solo nel pomeriggio. Inoltre in quell'ospedale si pratica il rooming in, e mi dicono che io non devo assolutamente sollevare il bambino, ma devo chiamare loro del reparto.
Lo faccio, ma ogni volta vengono sempre più infastidite. Alla fine decido di mettere mio figlio a letto con me e di tenere l'occorrente per cambiarlo nel comodino. Ho la mia valigia su una sedia, perché non posso piegarmi né alzare pesi. Sarei stata facilitata nel prendere l'occorrente per cambiarmi una volta alzata dal letto.
Una oss pensa bene di togliere la valigia e metterla per terra chiusa, perché: "le sedie servono per mangiare al tavolo". Preciso che siamo in 3 in stanza e le sedie sono 3. Chiedo anche alle altre ragazze se dà fastidio la mia valigia e loro mi dicono di no, che non ci sono problemi assolutamente. Ma per la oss quella valigia lì non deve proprio stare.
Quindi io non posso prendere nulla, nemmeno un cambio per me. Ho tanto dolore. Quando mi alzano il giorno dopo, mi sento quasi svenire e ho difficoltà a muovermi bene. Il ricovero dura 48 ore. L'ultima sera chiedo a un'ostetrica, quando ha tempo da dedicarmi, se può farmi vedere bene come attaccare mio figlio al seno, perché non riesco a farlo.
Lei è molto contrariata e prende la testolina di mio figlio in modo brusco, mi fa parecchio male al seno e alla fine sono io che le dico che non serve più e la allontano. Alle 3 di notte arriva un'infermiera neonatale per misurare la glicemia al mio bimbo (essendo prematuro gli fanno più controlli) e il risultato non va bene: ha 47 su un minimo di 45.
Questo vuol dire che non si sta alimentando e che bisogna dargli l'aggiunta, con il mio permesso. Io ovviamente le dico di sì. Dopo che il bimbo prende il latte, la glicemia sale a 74. Io lì ho un crollo, mi sento molto sola, stanca e in colpa poiché non riesco a prendermi cura abbastanza di mio figlio appena nato, e perché io stessa devo riprendermi da un intervento di grande chirurgia addominale (questo è il cesareo).
Le mie compagne di stanza, che hanno partorito naturalmente, si alzano tranquillamente dal letto e non devono chiedere nulla a nessuno. Per fortuna il giorno dopo sarei uscita, per fortuna avrei portato a casa il mio bimbo, dove avrei avuto l'aiuto fondamentale di mio marito.
Le settimane successive sono state difficili, l'
allattamento al seno non si è avviato e io sono caduta in depressione.
Speravo con tutta me stessa di poter allattare, ma purtroppo, allo stress e alla fatica dell'intervento si sono aggiunti tanti consigli sbagliati, che mi hanno portato alla fine a dovergli dare il
latte artificiale.
Oggi mio figlio è bello come il sole, è forte e in salute: questo mi ha fatto riprendere. Mio marito è stato fondamentale per il mio recupero fisico. Mi ha aiutato a non farmi sentire in colpa per non essere riuscita ad allattare e mi ha aiutato a elaborare quello che è successo in ospedale.
Non è mai semplice partorire e anche un cesareo ha le sue difficoltà. Non voglio nemmeno spaventare nessuno, perché ogni parto e post-partum è a sé, ma ad oggi, con la mia esperienza, non so se farei un altro figlio.
Per ora mi godo il mio piccolino che ogni giorno mi regala tanta tanta felicità.
di anonima