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Parto a 30 settimane e Tin. La storia della mia bambina prematura

di mammenellarete - 07.08.2019 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
Ho dato alla luce la mia piccola Viola Maria a 30 settimane. La bimba, un esserino minuscolo, ha dovuto trascorrere due mesi nella terapia intensiva neonatale. Ora ha 4 anni, per i primi tre anni è stata seguita dall'ospedale, ed è venuta su bellissima e sanissima. Ecco la mia esperienza.

Provo a raccontarvi la storia della mia piccola Viola Maria. Io mi chiamo Sabrina e ho 34 anni. Nel 2015 sono alla mia prima gravidanza. Tutto procede molto bene, ad ogni visita gli esami ed ogni valore sono nei parametri, così mi sento tranquilla.

Venerdì 13 marzo 2015 comincio però a percepire che qualcosa non sta andando, ho un brutto presentimento e i movimenti della bambina, nelle ultime 24 ore, mi sembrano diventati deboli, quasi assenti (premetto che la piccola è sempre stata molto vivace,un continuo muoversi e dare calci a tutte le ore).

Mancano solo 5 giorni alla prossima visita col ginecologo ma, dopo una notte insonne, alle prime luci del mattino sveglio mio marito per farmi portare al pronto soccorso più vicino, quello di un piccolo ospedale nella provincia. Durante la visita sembra ancora una volta tutto nella norma: battito, liquido, movimenti. Così mi fanno rivestire e mi mandano a casa.

Un minuto prima che riesca ad uscire dal reparto però, vedo la dottoressa che mi ha appena visitato, mentre mi raggiunge quasi correndo e con una scusa banale fa in modo di farmi un'altra ecografia. È in quel momento che la sua espressione diviene perplessa: le misure della bimba sembrano essere molto al di sotto della norma, le flussimetrie non vanno, qualcosa si è interrotto.

Mi dicono senza tanti preamboli che lì non possono fare nulla per aiutarmi, così mi mandano con urgenza ad un altro ospedale. Qui mi si apre una situazione disastrosa: le flussimetrie sono intermittenti, la bambina è in grave ritardo di crescita ed è in sofferenza fetale già da giorni e chissà se ha riportato danni... Le parole che mi sento dire dai medici mi raggelano: “La dobbiamo far nascere e poi si vedrà, avrà le chance che avrà".

Aspettano solo il tempo di 48 ore, necessario per far maturare almeno un po' i polmoni della bimba, ovviamente non pronti a respirare, attraverso due dosi di Bentelan e mi sottopongono ad un cesareo d'urgenza.

Il 15 marzo 2015, a 30 settimane + 2 nasce così uno scricciolo minuscolo, un esserino tutt'ossa, più simile ad un alieno che ad una bambina, dal peso di 860 gr e dalla lunghezza di 35,5 cm.

Purtroppo i problemi non finiscono, anzi alla preoccupazione sullo stato di salute di Viola si associa un deterioramento delle mie condizioni: pare che il meccanismo della preeclampsia si sia innescato. Io inizio a gonfiarmi paurosamente, la mia pressione sanguigna schizza alle stelle e per 24 ore nemmeno riesco a vedere la mia bimba.

Intorno a me è un viavai di parenti, amici, conoscenti, sento tutti molto vicini, è nata una bambina, ma non è un momento di gioia. Poi viene finalmente il momento in cui rimango sola e decidono che è l'ora che io veda la bambina, ma inspiegabilmente ho paura, quasi non voglio varcare la soglia di quel reparto dal nome che mi suona terribile, spaventoso: terapia intensiva neonatale.

La varco quindi con paura e senso di colpa, perché nella mia testa quello che è successo è colpa mia. Con un senso di colpa perché quasi non ho il coraggio di vedere la mia bimba e con altro senso di colpa perché finalmente la vedo e non la vedo bella. Tutte le mamme raccontano di un amore a prima vista, mentre a me casca il mondo addosso quando vedo un esserino che, col calo fisiologico, è arrivato a pesare 700 gr, in una teca di cristallo, completamente percorsa da tubicini, sensori e cateteri, avvolta dalla luce blu della fototerapia.

Mi dicono che la piccina è molto nervosa e fortemente tachicardica, ma in generale è in buone condizioni. Inizia così un percorso diverso, non proprio quello che una mamma si aspetta, fatto di rituali sempre uguali: entri in reparto disinfettandoti tutta, indossando i camici sterili, cuffia e mascherina, entri in un luogo dove la poppata si chiama gavage ed è costituita da un tubicino che dalla boccuccia minuscola del piccolo raggiunge direttamente lo stomaco e il flusso del latte lo dai tu attraverso una siringa.

Entri in un luogo dove baci e carezze per il tuo bimbo sono proibiti perché pericolosi, il tocco della tua mano sulla sua pelle sottilissima e ultrasensibile, attraverso le fessure dell'incubatrice, deve essere fermo e deciso. Entri in un mondo perennemente in penombra perché i piccoli ospiti hanno quasi sicuramente sviluppato una retinopatia visto che i loro occhietti non sono pronti a vedere ciò che li circonda, un mondo dove gli unici suoni sono gli scampanellii dei sensori e dei monitor oltre che il ritmo dei tiralatte elettrici, perennemente in funzione e con i quali cerchi di spremerti, in modo innaturale, quelle tre gocce di latte che riesci a produrre.

Passano i giorni e tutto finalmente diventa familiare, la terapia intensiva neonatale si trasforma in TIN, parola che ha quasi un suono onomatopeico di scampanellii e la culla incubatrice è il tuo "pancione con gli oblò". Passano i giorni e il tuo bambino si stabilizza, tu impari a "tenerlo contenuto" a "fargli il nido" perché non si senta perso nel vuoto. Passano tanti giorni e finalmente hai il primo vero contatto, importantissimo, col tuo bambino, quando lui inizia a stare bene e puoi iniziare a fargli la "marsupioterapia".

Tieni in braccio il tuo bambino finalmente, stando attenta ai fili e ai sensori che si porta dietro quando esce dall'incubatrice. Passa il tempo e il tuo piccolo cresce di una manciata di grammi al giorno fino a somigliare piano, piano ad un "bambino vero". E poi pensi che nonostante tutto sei stata fortunata perché in fondo ti è andata bene.

A Viola sono stati necessari 2 mesi per raggiungere il peso di 1,900 gr, per imparare a coordinare suzione e respirazione e per essere dimessa dall'ospedale. A me sono stati necessari tre anni e un'altra gravidanza, questa volta giunta (quasi) al termine (ho avuto il mio secondo bimbo a 37 settimane) per guarire da quel senso di incompiuto e di maternità vissuta a metà che questa esperienza mi aveva lasciato.

Ora Viola Maria ha 4 anni, per i primi tre anni è stata seguita dall'ospedale con il follow up di prassi, ed è venuta su bellissima e sanissima. Io ho ancora nel cuore tutto il reparto di terapia intensiva neonatale dell'ospedale che mi ha seguito per la loro bravura, professionalità, ma soprattutto per la loro umanità. Grazie per aver voluto leggere la mia storia.

di Sabrina

(storia arrivata come messaggio privato sulla nostra pagina Facebook)

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