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Parto prematuro: il piccolo ha rischiato di soffocare, ma si è ripreso miracolosamente

di mammenellarete - 21.05.2018 - Scrivici

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Fonte: Pixabay
Il mio secondo figlio venne alla luce prematuro, a 30 settimane. Dopo 18 giorni in Tin, tornammo a casa, ma quasi un mese dopo fu colpito da una polmonite "ab ingestis": il latte gli finì nei polmoni e smise di respirare. Cercai di fargli la respirazione bocca a bocca e chiamammo un'ambulanza. Fu portato in ospedale, ma i dottori ci dissero che non sapevano se ce l'avrebbe fatta. Eppure lui si è ripreso. Ecco la storia del mio guerriero.

Il mio bimbo nacque prematuro a 30 settimane. Il piccolo pesava 1400 grammi, poi scese a 1280 grammi. Restò in terapia intensiva per 21 giorni: fortunatamente respirava da solo non ci fu bisogno di intubarlo. I medici gli fecero utilizzare solo la maschera per il nasino, per aiutare i suoi polmoni non ancora sviluppati del tutto (il nome tecnico è C-pap).

Non ebbe problemi mentre era in Tin e, anche per questo, devo ringraziare i medici bravissimi. Per me fu un evento traumatizzante vedere il mio bimbo così piccolo in quelle condizioni, così come non poterlo toccare. Fu difficilissimo guardarlo attraverso un vetro e poterlo andare a trovare ogni due giorni perché abitavo lontano.

Dovetti tornare a casa subito dopo il parto anche perché la mia prima figlia di due anni aveva bisogno di me. Ricordo che quando mi dimisero fui assalita dai sensi di colpa, che mi stavano divorando. Mi sentivo in colpa perché uscivo dall'ospedale senza il mio cucciolo. Allo stesso tempo mi sentivo in colpa anche nei confronti della bimba: anche lei aveva bisogno della sua mamma.

Prima di uscire una dottoressa mi vide piangere e mi portò dal primario che mi consigliò di tornare a casa insieme alla bimba. Lui mi disse che anche se fossi rimasta, non avrei potuto fare niente, se non far soffrire ancora di più la bimba.

Così tornai a casa, ma io non ero lì "realmente". Ero assente, distratta, volevo il mio bambino con me. Andavamo a trovarlo ogni due giorni e ogni volta era straziante tornare a casa senza di lui. Quando il bimbo iniziò a respirare da solo senza maschera, lo trasferirono all'ospedale vicino al quale io abitavo.

Qui rimase per altri 18 giorni e poi finalmente venne a casa con noi. Dopo quasi un mese fu colpito da una polmonite "ab ingestis": il latte gli era finito nei polmoni e aveva smesso di respirare.

Improvvisamente divenne bianco e svenne: me ne accorsi subito e chiamai mio marito, dicendogli di avvisare subito l'ambulanza.

Poi iniziai a soffiare nel nasino e nella bocca, così lo feci vomitare e riprese a respirare a fatica. Mio marito era terrorizzato, non riusciva a chiamare l'ambulanza poiché era sotto shock. Così chiamò la nostra vicina, giunta a casa nostra dopo aver sentito il trambusto. La bimba piangeva spaventata, tanto che si nascose sotto il tavolo. Io continuavo a fare la respirazione bocca a bocca al mio bebè e mi alternai un altro po' con mio marito. Alla fine l'ambulanza per fortuna arrivò.

Il bimbo giunse in condizioni critiche al ospedale: era praticamente in fin di vita. Lo intubarono. Il dottore aveva paura che il giorno dopo, una volta stubato, non ce l'avrebbe fatta a respirare da solo. Invece lui è un guerriero: il dì seguente il mio piccolo respirava da solo e piano piano si riprese. Dopo tre settimane lo dimisero.

Adesso sta facendo fisioterapia. Ha accusato il colpo, ma fortunatamente non è niente di grave: dobbiamo solo insegnare alla parte sinistra del corpo a fare di nuovo le cose che faceva prima (manine in bocca, aprire la mano, ecc.). I dottori hanno detto che se non fosse stato per me, che se non gli avessi fatto la respirazione bocca a bocca sarebbe arrivato morto in ospedale. E' stata l'esperienza più brutta della mia vita. Ringraziando Dio, il piccolo ora sta benissimo, è un bambino meraviglioso.

di Crina

(storia arrivata come messaggio privato sulla nostra pagina Facebook)

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