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Nato a 24 settimane, il mio lottatore prematuro è finalmente a casa

di mammenellarete - 27.01.2016 - Scrivici

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Fonte: Alamy.com
Il mio primo parto è avvenuto alla trentanovesima settimana. Il mio secondo parto è stato molto più complesso: il mio secondo bimbo è nato a 24 settimane ed è stato operato agli occhi e al cuoricino. In più, è stato intubato un mese. Vi racconto la commovente storia del mio guerriero prematuro. Non è di certo un'esperienza da augurare, ma il lieto fine sì, auguro a tutti i genitori che attualmente staranno vivendo quello che abbiamo vissuto noi, un meraviglioso lieto fine.

A novembre 2012 feci il primo test di gravidanza: positivo. Purtroppo non fu una bella esperienza, poiché culminò poi in un raschiamento per uovo chiaro a ben 12 settimane!

Ma andammo avanti, la vita doveva continuare, eravamo giovani, quindi perché fermarsi al primo ostacolo? Così, a marzo del 2013, arrivò il secondo test positivo. Finalmente un cuore scalpitante, finalmente una vita dentro me.

Iniziarono le prime gioie. Io nemmeno lo conoscevo, ma lui già mi riempiva le giornate tra calci, singhiozzi, notti insonni, corredino da preparare, ecc. Tutto filava liscio. Ovviamente essendo il primo figlio, quindi il primo parto, iniziai a seguire un corso preparto.

Ogni settimana mi recavo a quell'incontro tanto atteso. Era bello potersi relazionare con altre neomamme, paure, dubbi, consigli, risate... Poi un giorno, durante quello che poi divenne l'ultimo incontro, una ragazza che era alla fine della gravidanza (39 settimane) ci parlò delle sue sensazioni fisiche, delle notti insonni, insomma tutto quello che le stava accadendo nell'avvicinarsi al parto.

Più parlava e più mi ci ritrovavo, più parlava e più mi ci rispecchiavo, più parlava ed io più pensavo "perché queste cose le sento anch'io che a differenza sua sono di 33 settimane?" L'ostetrica che dirigeva il corso, vedendomi impallidire, mi chiese il perché...

Ed io le dissi che sentivo provavo ed avevo pari pari tutte le cose delle quali parlava quella ragazza, finché lei disse: "E' da un po' che ti tengo d'occhio e non mi piace come stai, quindi appena terminiamo l'incontro vai in clinica e fatti visitare". Finito il corso, seguii le sue direttive e andai in clinica.

Mi fecero sedere per il tracciato, dicendomi: "Qualche contrazione c'è, ma di poco conto, irrilevanti". Chiesi ed insistetti per una visita e mentre ero lì sdraiata, la stessa persona del tracciato mi fa: "Sei dilatata di due cm, collo raccorciato, tocco la testa del bimbo, stai partorendo.

.. ma non puoi, è presto! Ti dobbiamo ricoverare urgentemente".

Mi crollò letteralmente il mondo addosso! Ansia, tanta ansia e paura di quello che poteva succedere... L'infermiera, vedendomi molto provata, andò fuori dalla stanza per far entrare un familiare. Ma non c'era nessuno con me. Ho sempre fatto tutto da sola, andavo e venivo con l'auto da casa mia in maniera indipendente. Perché dovevo cambiare le cose? Perché ero incinta? Forse però avrei dovuto farlo.

Quindi chiamai mio marito che chiamò mia madre che chiamò mia sorella. Mi ritrovai tutti nella stanza dove restai in degenza per 5 giorni. Sembrava non passassero mai, i boccioni di miolene ai quali ero attaccata mattina, sera e notte, non mi facevano avere più il controllo del mio corpo, sudavo, tremavo e avevo le palpitazioni h24.

Finita la mia degenza, me ne tornai a casa, di mia mamma stavolta, perché dovevo assolutamente arrivare almeno a 38 settimane stando a riposo totale. Ebbene, a 39 settimane, mi ritrovai a dover chiedere consiglio su come poter riattivare tutto, poiché ormai stanca di quei dolori che non erano mai andati via.

Il consiglio dell'ostetrica della clinica fu: "Bevi l'olio di ricino dalle 17 alle 22 di stasera e poi ricordati di tuo marito". Mi disse anche la dose ovviamente, ma non la ricordo e per quanto riguarda mio marito, a chi non l'avesse capito, intendeva dirmi di stare con lui "perché lo sperma aiuta".

"Domani mattina ci vediamo in clinica per la visita e vediamo a che punto sei", terminò così la conversazione. In quella giornata feci quanto mi fu detto di fare ed alle 2 di notte iniziarono le contrazioni, ma erano forti, molto forti, quindi di corsa in clinica. Purtroppo non trovai l'ostetrica in questione, ma altre persone che di me e della mia situazione precedente non sapevano nulla.

Quindi mi fecero la visita, mi ruppero le acque, ma mi misero sulla sedia del tracciato dicendomi: "Signora è ancora presto, sono inutili le sue urla, anche perché se fa così ora figuriamoci dopo". E' vero, urlavo, perché quelle contrazioni sembrava mi spezzassero in due la schiena e quando mi misero sul tracciato non riuscivo neanche a star seduta.

Così, dopo l'ennesimo urlo, erano le 2,30, tornò l'ostetrica di turno e pur non credendomi, con fare da "so tutto io" mi fece la visita. La sua faccia? Non ci sono emoticon a descriverla, era di tutti i colori! "Subito in sala parto, la signora ha ragione, sta partorendo..." Non ebbi nemmeno il tempo di cambiarmi, ero in tuta, mi tolsero i pantaloni, andai in sala parto e mi chiesero di mettermi nella posizione che ritenevo più comoda per il parto.

Mio figlio, 3 kg, nacque alle 3.03 in piedi e nemmeno un punto! La mattina chiamai l'ostetrica e lei frettolosa al telefono mi disse: "Già stai là? Vabbè inizia a farti fare il tracciato che io arrivo". Scoppiai a ridere e poi le dissi: "Fai con calma che io ho pure partorito!"

Tanta tensione terminata in un bellissimo e magico momento, il mio batuffolo era nato! Oggi quel batuffolo è un bellissimo ometto di 2 anni.

Ma ora passiamo all'esperienza più recente. Il mio terzo test positivo giunse a febbraio del 2015, quindi facendo un po' i conti sarebbe nato il mio secondo pargoletto a fine novembre, quindi a due anni giusti dal primo.

Questa gravidanza pensavo di poterla gestire, pensavo che solo verso la fine sarei dovuta stare attenta. Mi sentivo forte, in grado di poter far tutto e badare a mio figlio senza problemi.

L'esperienza precedente mi aveva insegnato a far attenzione ad ascoltare ciò che il corpo ha da dire, ma forse avrei dovuto capire qualcosa in più.

Pensavo davvero che fosse stato semplicemente "un caso" la dilatazione a 33 settimane... ma oggi so che non è così.

Tutto iniziò alla perfezione, col passare dei giorni e delle settimane si pensava al nome da dare se fosse stato maschio o femmina, a come il Natale avrebbe avuto un profumo ancor più dolce con in casa un altro bimbo da coccolare, a come avrebbe reagito il mio primo figlio vedendosi arrivare la mamma con un altro bimbo tra le braccia.

Insomma, si sognava ad occhi aperti! Quand'è che il sogno è finito? Il 27 luglio. Ero stata dal mio ginecologo la settimana precedente per la strutturale. Un altro maschio in arrivo, la compagnia perfetta per il mio bimbo, tutto in ordine, tutto chiuso, tutto perfetto. Già, ma in una sola settimana e nemmeno, qualcosa era cambiato.

Mi sentivo stanca, affaticata, pesante, molto pesante. La mattina di quel 27 luglio, mentre pulivo casa, mi sentii qualcosa scendere. Andai di corsa in bagno e dopo aver fatto pipì, ritrovai con del muco sulla carta, ma era troppo compatto, troppo pieno per essere una semplice perdita e col timore di quello che in realtà fosse... chiamai il ginecologo, il quale mi suggerì di andare in clinica per ASSICURARCI CHE NON FOSSE IL TAPPO.

Chiamai mio marito a lavoro, ci portammo dietro il bimbo ed andammo in clinica. Al ginecologo di turno del pronto soccorso spiegai cosa avevo "perso" e lui subito mi disse: "Signora, lei è a 22 settimane. Dovesse avviarsi ora qualcosa non sarebbe un parto, ma un aborto, mi spiace".

Tutto prima ancora di fare la visita. Purtroppo quest'ultima servì solo a confermare quanto detto: "Dilatazione di 2 cm, collo dell'utero scomparso e sacco amniotico in vagina... " A quelle parole lascio immaginare come mi sia sentita. Ma il dottore pensò bene di darmi un'ultima stangata, quando io gli chiesi cosa si poteva fare.

Lui mi disse: "Pregare signora, potete solo pregare".

Sognate mai di cadere? Avete presente quella bruttissima sensazione che si ha durante un sogno così? Il mio purtroppo non era un sogno, ma quella caduta la vissi tutta ed in piena coscienza. Mio marito non era con me, ma con nostro figlio nell'androne della clinica perché ai minori era vietato l'accesso. Ripiombai di nuovo in quell'inferno di due anni prima e di nuovo tutta sola.

Mentre finivano di compilare la mia cartella con su scritto MINACCIA D'ABORTO, io chiamai mio marito e gli dissi del ricovero, ma non di quanto fosse grave la situazione. Passarono un paio d'ore prima che mi portassero nella stanza di degenza e quindi di nuovo chiamai a raccolta tutti.

Le parole di conforto si sprecarono, ma nella mia testa rimbombavano solo quelle parole: "E' un aborto, pregate". Il dolore di quelle parole me lo porto ancora dentro ed a fare ancora più male era la consapevolezza del fatto che non era lui a voler nascere ma era il mio corpo che lo stava "mandando via".

Se volevo dare speranza a mio figlio, se volevo che avesse la possibilità di vivere dovevo restare lì, immobile in quel letto almeno per 2 settimane, almeno ad arrivare a 24 per dar modo a loro di iniziare una cura più consona visto che nelle settimane in cui ero mi si poteva somministrare solo un palliativo.

Nel frattempo mio figlio, 19 mesi, fu portato dai miei genitori, io non potevo vedere lui e lui non poteva vedere me. Fu tutto uno strazio. Stando ferma e immobile in quel letto di ospedale, si pensava per davvero che magari c'era la possibilità di arrivare a quelle benedette 24 settimane, ma la speranza iniziò a svanire dopo il dodicesimo giorno di degenza.

La sera del 7 agosto intorno alle 22 iniziai a sentirmi strana, sentivo delle lievi contrazioni e la sensazione di dover andar spesso in bagno, quindi feci chiamare il ginecologo di turno per una visita.

Mi disse che non era il caso di fare una visita in quanto la situazione era troppo delicata e quindi di aspettare la mattina seguente per un consulto con gli altri ginecologi sul da farsi.

Purtroppo due ore dopo, andando in bagno, trovai del sangue sulla carta e quindi lo feci richiamare. Mi portarono nella medicheria per effettuare la visita ed ecco ricominciai a 'cadere': "Signora mi spiace ma la sacca è scesa ancora di più, tocco i piedi del bambino, la dilatazione è aumentata. Mi spiace, ma non si può fare più nulla. Lo sta perdendo".

Il mio bambino stava bene, la camera gestazionale era integra, lui non voleva nascere. Ma allora perché non iniziare quella maledetta cura per bloccare le contrazioni? Quando glielo chiesi, mi disse che non si poteva, ma intanto io ero a 23+6 e il giorno dopo sarebbero state le 24 tanto decantate... perché non poter iniziare un giorno prima?

Fu tutto inutile, non voleva saperne. "Mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace", sapeva dirmi soltanto questo. Quella notte fu un inferno, vennero mia madre e mio marito per starmi vicino, per consolarmi.

Ma potevano esserci solo pianti e disperazione per un bimbo che voleva restare con la sua mamma nonostante il corpo non lo permettesse! La mattina mi mandarono una giovane ostetrica per l'ecografia ed io lì andai fuori di testa: "Mi hanno detto che lo sto perdendo, che non si può fare nulla, che addirittura non verrò trasferita in sala parto, ma dovrò restare ad ESPELLERLO in camera... Che me la fai a fare l'eco se lo danno già per morto?"

Non vi dico lei che faccia fece, appena terminata l'ecografia mi rispose: "Tuo figlio è vivo e sta bene e questa struttura è dotata di una delle migliori TIN al mondo, chi ti ha detto che non hai speranza? Ora ti chiamo i pediatri della TIN e parli con loro".

La speranza, quella giovane dottoressa mi riaccese la speranza. Dopo pochi minuti intorno al mio letto si erano raccolti il ginecologo di turno (non quello della notte), due pediatri della TIN e due infermiere. Il ginecologo mi fece subito la visita e mi disse che la situazione era sì, cambiata, ma non degenerata e che comunque al momento opportuno sarei stata portata in sala parto a PARTORIRE e non ad ESPELLERE.

I pediatri ci tennero a rincuorarmi e ad assicurarmi che mio figlio avrebbe avuto tutta l'assistenza necessaria o la cura compassionevole se proprio in condizioni critiche! Non vi chiedo di immaginare il mio stato perché suppongo nel leggere questa mia esperienza alcune abbiano già versato lacrime, quindi vi chiederò semplicemente di continuare nel leggermi, perché non è ancora finita.

Alla fine di quell'incontro il ginecologo dispose per me la somministrazione di miolene e cortisone. Al via di nuovo con tachicardia, tremori e sudorazione elevati, ma non mi interessava. Mi era stato detto che anche un'ora in più per mio figlio sarebbe stata importante e quindi restai stesa a letto tutta la giornata.

Purtroppo le contrazioni riapparirono per diventare sempre più intense ed il ginecologo mi chiese l'autorizzazione ad aumentare il miolene (era già al limite del consentito), ma per mio figlio anche un'ora in più valeva tanto quindi gli diedi autorizzazione.

Ovviamente aumentò tutto, tachicardia e tremori soprattutto, ma purtroppo le contrazioni erano sempre lì. Sentendo che ormai ero agli sgoccioli (erano le 20.30 più o meno), chiesi di farmi spostare nel blocco parto e così fecero. Mi spostarono nella stanza preparto e mi misero su di un lettino a testa in giù.

Un ultimo tentativo per cercare di guadagnare ancora un po' di tempo! Il miolene, se pure in dose elevata, ormai non faceva più effetto, le contrazioni via via sempre più forti ed intense, ma io non volevo partorire quindi cercavo in tutti i modi possibili di restare calma e di respirare.

Mio figlio non voleva nascere, appena iniziarono le contrazioni da parto si rannicchiò in un angolino del mio utero ed io da mamma come potevo non ascoltarlo?

Combattevo contro il mio corpo, combattevo contro quelle maledette contrazioni tanto forti da levarmi il respiro, ma mio figlio doveva restare lì il più possibile. Si fecero le 22 circa, ero stremata, urlavo, urlavo, urlavo e piangevo e poi... ecco che si ruppero le acque. Mi portarono in sala parto, ma io non spingevo, il mio piccolo non voleva uscire, iniziai a perdere troppo sangue, fu chiamato il cardiologo perché il miolene in circolo era troppo e la tachicardia stava per sfociare in infarto.

Iniziarono a dire che se non fosse nato da solo, pur di salvare almeno me, avrebbero dovuto fare un cesareo con non so quali conseguenze per il bambino visto che non era più nella posizione che avevano visto ore prima. A queste parole non ci vidi più, e mentre un ginecologo tentava di tenermi ferma e l'altro metteva i guanti decisi di spingere. Nel frattempo fuori ad ascoltare le urla disperate di una moglie e figlia c'erano mio marito e mia madre ai quali il medico aveva già detto che la situazione era disperata.

Due spinte sono bastate a far nascere quel piccolo scriccioletto. Da lì ricordo solo tanti movimenti frenetici intorno a me, ma il mio pensiero era mio figlio. Mi avevano detto che nascite così premature purtroppo non vanno a buon fine. Mio figlio è nato alle ore 23 del 8 agosto 2015 per 650 grammi di peso. Lo vidi il giorno dopo.

Gli orari di visita restrittivi non mi permettevano di vederlo prima delle ore 12.30, ma per me fecero un'eccezione. Si temeva non arrivasse a sopravvivere tanto e quindi mi fecero entrare alle 8. Non posso raccontare tutto quello che ho visto e vissuto, non si può davvero.

Sono cose che fanno tremendamente male, ma per chi ha ancora la speranza di un lieto fine eccolo.

Mio figlio fece il calo da 650 grammi a 400 grammi, a 3 giorni dalla nascita ha avuto un'emorragia cerebrale che col tempo si è riassorbita, gli abbiamo visto aprirsi gli occhi dopo 15 giorni perché ancora FUSI, è stato intubato un mese, ha subito un intervento al cuore, ma lo ha superato, ha avuto un intervento agli occhi superato egregiamente anche quello.

Oggi mio figlio ha 5 mesi anagrafici, 1 mese corretto, pesa 3.100 chili, è vispo, di carattere, ribelle. È il figlio di tutti i medici ed infermiere della TIN, amato e coccolato da tutti. Oggi mio figlio è diventato simbolo e speranza di tutti quei genitori che attualmente risiedono in quella TIN. E finalmente il mio piccolo guerriero è tornato a casa!

Non è di certo un'esperienza da augurare, ma il lieto fine sì, auguro a tutti i genitori che attualmente staranno vivendo quello che abbiamo vissuto noi, un meraviglioso lieto fine. Gli ostacoli saranno tanti, vi sembrerà di non scendere mai da quell'altalena di ansie e di paure, ma abbiate fiducia nei vostri piccoli, che combatteranno con le unghie e con i denti pur di vivere la vita! A voi tutti, buon lieto fine.

di Elena

Aggiornato il 12.10.2017

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