di Monica Schirru
"Ecco, ci siamo, quella gravidanza tanto cercata – almeno due anni e mezzo – alla fine è arrivata quando meno me l'aspettavo, anzi quando meno ce l'aspettavamo. E fu un emozione, seppure non era proprio il momento migliore con un trasloco imminente.
Ma l'avevamo cercata così tanto che non c'importava niente!
La gravidanza fila liscia, niente nausee, niente dolori, perdite, niente di niente, tutto ok.
La pancia cresceva, il peso aumentava, ma eravamo felici.
Lui, perché poi s'è scoperto essere un lui, cresceva nella media, e cominciavamo a scervellarci per trovare il nome perfetto.
Intanto traslochiamo, io ero sempre più grossa ed il momento si avvicinava, passa l'estate e anche se i giorni sembravano non passare mai, invece il tempo volava.
Da ragazzina mi ero ripromessa che non avrei mai avuto figli, avevo troppa paura del parto, sentendo i racconti sempre terribili di quei momenti atroci vissuti da mia madre, non capivo, non sapevo che ogni donna è diversa, ogni parto è diverso.
Poi quando lo vivi, non ci pensi poi tanto, o almeno, io non ci pensavo così tanto, sì, saltuariamente mi veniva in mente, ma poi lasciavo correre, dicendomi che c'era tempo e non doveva per forza essere così tremendo, che magari per me sarebbe stato diverso.
Intanto facevo tesoro dei racconti invece tranquilli delle mie amiche o conoscenti e mi rassicuravo in quei pochi momenti in cui mi concedevo il lusso di preoccuparmi.
Arriva ottobre, un primo ricovero per una scemenza, 5 giorni in ospedale e stranamente, anche se mi dicono che potrei avere un parto prematuro e i medici e le infermiere intervengono per prepararsi ad ogni evenienza, le preoccupazioni non mi sfiorano nemmeno.
Un mese passa veloce e Lorenzo non voleva decidersi ad uscire dalla pancia, passa la ddp e nulla si muove, nonostante delle piccole e frequenti contrazioni mi accompagnassero da luglio/agosto.
Faccio i tracciati, e nulla cambia.
Rischio il cesareo. Mi crolla il mondo addosso, piango come una bambina, non lo voglio, di tutte le mie paure si realizza proprio quella che temo di più.
Dopo i preparativi di rito, ci rechiamo in ospedale, io tranquilla contando le contrazioni e cronometrandole con l'orologio, non pensavo sarei stata così tranquilla.
Mi ricoverano e l'ostetrica mi dice che secondo lei entro l'indomani avrei partorito, cerco di dormire un paio d'ore, le contrazioni non mi disturbano – infatti si erano diradate – e riesco a riposare.
Ma l'indomani non succede niente. Ossitocina in flebo e via, così forse il magico meccanismo del parto si metterà in moto.
Passano le ore e tutto tace, arrivati all'ora di pranzo i medici si consultano e tramite l'ostetrica vengo a sapere che rischio. Rischio, cosa, esattamente?
Mi dice chiaro e tondo che rischio il cesareo. Mi crolla il mondo addosso, piango come una bambina, non lo voglio, di tutte le mie paure si realizza proprio quella che temo di più, nonostante se ci pensassi il parto naturale mi terrorizzava avrei voluto provarlo nonostante tutto, vedere fino a che punto sarei arrivata, provare quel dolore per poi sostituirlo con la gioia più grande dimenticandolo, testare la mia resistenza e il mio coraggio.
Mi prepararono, mi portarono in sala operatoria, chiacchiere con anestesista, infermieri, mi distraggono, mi rassicurano, spinale e via, non sento nulla.
Dopo nemmeno 15 minuti, capisco che lui è fuori dalla mia pancia, mi dicono che non vuole piangere, lo sculacciano di più e alla fine esce un vagito fortissimo e continuato!
È nato, finalmente, sono la più felice del mondo, lo avvicinano al mio viso e vedo il suo faccino rosso rosso – mi avevano lasciato tenere gli occhiali sotto mia richiesta per poterlo vedere – e piango di nuovo dicendogli “Ciao amore mio, finalmente ti vedo”.
Ho auto la fortuna di passare un buon cesareo, un buon post-cesareo, ma quella curiosità del parto naturale mi è rimasta e penso spesso a come sarebbe andata diversamente, poi lo guardo e non ci penso più: lui è qui con me e questo solo conta."
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