Quella sera mio marito va a dormire presto, ma io non ho sonno e non riesco a dormire. Verso l'una e mezza di notte scendo per andare in bagno, ma dopo essere nuovamente andata a dormire, provo la sensazione di "essermi fatta la pipì addosso". Torno in bagno e lì mi viene "un colpo": sto perdendo le acque!
Allora sveglio mio marito dicendogli: "penso che sia ora". Lui dice: "sicura?" E io gli rispondo: "ehm... guarda i miei pantaloni". La piccina ha fretta di arrivare!
Mezz'ora dopo siamo in ospedale a fare un tracciato: qualche contrazione piccina piccina, la dilatazione è ancora a 1 centimetro. Insomma, la strada è ancora lunga, ma quando si "perdono le acque", i dottori non ti lasciano rientrare a casa e ti fanno partorire entro 48 ore.
Ma c'è un problema in ospedale: le camere sono tutte occupate (notte di luna piena...), così mi mettono a dormire in sala travaglio. Il giorno dopo mi danno una camera e ho poi tutto il tempo per fare la doccia, leggere un libro, fare due chiacchiere. Insomma, fino a metà pomeriggio le contrazioni non accennano a farsi sentire, se non lievi, ma ben regolari.
Verso le 19 iniziano le VERE contrazioni, ben ravvicinate, ma ancora non c'è nessuna dilatazione. Finalmente, verso le 3 di notte del 26 febbraio, mi dicono che sono pronta per l'epidurale (che in Francia propongono di routine), ma me la fanno solo un'ora e mezza più tardi, dicendomi che durante la notte c'è un solo anestesista di turno, impegnato in "cose ben più importanti".
Alla fine, verso le 10:30, sono tutti pronti a far nascere la mia piccolina! L'epidurale finisce il suo effetto (così posso "sentire le spinte"), mio marito è carichissimo e motivato, le ostetriche sono "in posizione" e mi dicono: "Se non esce entro mezzora, dobbiamo far intervenire il dottore".
Mezzora passa in fretta, compio tre spinte per ogni contrazione, ma la piccola ha la testolina dietro il collo dell'utero e non riesce a uscire; lei è stanca dopo 16 ore di contrazioni e sono stanca anche io.
Allora chiamano il dottore.
"Non c'è più tempo da perdere" - dice il dottore - "dobbiamo usare il forcipe e la ventosa per aiutare la piccola a uscire". La parola "forcipe" per me è sempre stata sinonimo di terrore... inutile dirvi com'è impressionante quello strumento e che paura provo in quel momento.
Ma chiudo gli occhi, dato che non voglio vedere, e spingo. Per fortuna ho mio marito vicino, che mi sostiene, mi sprona e mi incoraggia, dandomi la forza di dare le ultime spinte, anche se sento di non avere più fiato. Ho un attimo di mancamento... ma subito dopo: eccola lì, davanti a me. Dimentico subito gli ultimi due giorni vissuti in ospedale in un attimo. Guardo i suoi occhioni e sento il suo corpicino caldo sul mio. Percepisco l'inizio di questo magico legame e sento un amore che ho mai provato prima, che, ad oggi, cresce sempre di più.
Rifarei tutto per lei e vorrei dire a tutte le future mamme che il parto per i bimbi è molto più difficile che per noi. Non siamo noi a dover aver paura! Naturale, cesareo, indotto, forcipe... per noi è uguale, l'unica cosa che ci deve preoccupare è che non sia troppo traumatico per questi esserini. Noi dimentichiamo in fretta!
di mamma Gessica
(storia arrivata all'email redazione@nostrofiglio.it)
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