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Depressione post-partum e baby blues: quali differenze?

di mammenellarete - 09.02.2015 - Scrivici

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Che cosa è il baby blues? La depressione post-partum? E la psicosi post-parto? Quali differenze? In una società in cui si da per scontato “l’istinto materno” e sono legittimate solo emozioni positive rispetto ad una nascita, spesso accade che la madre viva con senso di colpa le difficoltà legate alla depressione e se ne vergogni. Il commento di Maria Grazia A. Flore, psicologa, specializzata in psicoterapia psicoanalitica

Sappiamo che la gravidanza e il parto, benché siano dei momenti unici ed emozionanti della vita di una donna, sono anche fonte di stress, che spesso scatenano nelle neo-mamme una serie di disturbi dell'umore. Ma come distinguere queste forme depressive? E come capire che tipo di aiuto chiedere?

Il parto è un evento emotivamente e fisicamente stravolgente e rappresenta anche il momento in cui la donna va incontro a tante trasformazioni: fisiche, emotive, ormonali, nei ritmi e nello stile di vita. Psicologicamente rappresenta il momento di passaggio dal ruolo di figlia a quello di madre e il momento in cui per la prima volta la madre vede il proprio figlio vivere fuori ed indipendentemente da lei. E’ “fisiologico” che durante la gravidanza e la crescita del bambino, si riattivino nell’inconscio della donna difficoltà nei rapporti con i propri genitori (anche senza loro colpa), vissuti da neonata o durante l’infanzia.

Andiamo a vedere nello specifico come si presentano i diversi tipi di vissuti depressivi.

Il baby blues è uno stato d’animo che compare nella prima settimana dopo il parto, in particolare tra il 3° e il 6° giorno; ci si sente malinconiche o di umore variabile, si piange e ci si irrita facilmente, a volte si prova ansia e paura di non farcela, difficoltà di memoria e concentrazione. Tuttavia non si perde la capacità di prendersi cura nel neonato e di provare gioia. E’ importante che questi sintomi vengano intercettati e indagati dal personale sanitario (psicologhe, ostetriche, infermieri, medici) che possono fornire spiegazioni alle mamme sul loro vissuto e rassicurarle.
In genere i sintomi tendono a regredire nell’arco di alcuni giorni, soprattutto se la donna riceve un adeguato sostegno dalla sua rete sociale nella gestione del piccolo, della casa e di sé. Importante anche la condivisione della nuova esperienza con altre madri, che può aiutare a sentirsi adeguate nonostante le difficoltà che si stanno affrontando.
Il baby blues colpisce tra il 50% e l’80% delle neo-mamme, è quindi molto diffuso.

La depressione post-partum invece comporta sintomi molto simili a quelli del disturbo depressivo maggiore: ansia, angoscia, umore depresso fino ad ideazione suicidaria, incapacità di provare gioia e piacere, irritabilità, senso di colpa e di inadeguatezza per il ruolo materno, colpevolizzazione (ci si sente una cattiva madre) insonnia (talvolta mascherata dall’allattamento notturno), calo dell’appetito e del desiderio sessuale, ridotta capacità di concentrazione e dell’attenzione. Talvolta si sente un’eccessiva preoccupazione per la salute del neonato o il non provare sentimenti di amore verso il bambino, fino a pensieri di infanticidio.
Dato che molto spesso queste donne affermano di non sentirsi depresse è fondamentale che l’aiuto arrivi da chi sta intorno a loro. E’ necessario il sostegno della rete sociale, in particolare del partner, ma soprattutto un aiuto specialistico da parte di psicoterapeuti e medici.

In pochi casi estremi (1-2%) potrebbe manifestarsi una psicosi post-parto i cui sintomi sono: allucinazioni, deliri, pensiero disorganizzato, comportamento disorganizzato e distorsione dell’affettività. C’è il rischio elevato di suicidio o di infanticidio.

In una società in cui si da per scontato “l’istinto materno” e sono legittimate solo emozioni positive rispetto ad una nascita, spesso accade che la madre viva con senso di colpa le difficoltà legate alla depressione e se ne vergogni. I sintomi vengono nascosti, mascherati, talvolta anche alle persone più vicine. Tuttavia le conseguenze possono essere disturbi di attaccamento madre-figlio e conseguenti disturbi psicologici e psicosomatici per il bambino.

Chi lavora nell’ambito della maternità sa che tante, troppe madri soffrono nella più grande solitudine: nella società attuale con i suoi “valori” di progresso e performance la sofferenza difficilmente si può esprimere. Le madri sentono di doversi dimostrare capaci nonostante le difficoltà, in grado di risollevarsi indenni nel difficile passaggio da donna a madre.

Tuttavia questo ha un costo: in termini di salute e benessere delle madri, dei bambini, della famiglia nel complesso e di conseguenza dell’intera società.

Per questo è fondamentale che una madre non sia mai sola, e che trovi sostegno, comprensione ed aiuto dal partner, dalla rete sociale, dalla rete con altre madri e dai professionisti.

Autrice:
Maria Grazia A. Flore, psicologa, specializzata in psicoterapia psicoanalitica e membro del direttivo di Calliope Associazione Bio-Psico-Sociale.
Si occupa prevalentemente di psicoterapia e sostegno alla genitorialità come libero professionista.
Il suo sito: “www.mariagraziaflore.com

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