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1.100 grammi per 36 centimetri: il mio guerriero nato alla 27esima settimana ce l'ha fatta!

di mammenellarete - 05.01.2016 - Scrivici

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Fonte: Alamy.com
Rimasi incinta dopo la seconda ICSI (Inseminazione Artificiale con Fecondazione in Vitro). Una gravidanza tanto desiderata e cercata. Ma, già da subito... con tanti pensieri. A 20 settimane il mio piccolo voleva già nascere. Poi, a 27 settimane, nacque il mio piccolo guerriero di 1.100 grammi per 36 centimetri. Miracolosamente respirava già da solo. Per fortuna in Tin non ho trovato delle semplici infermiere, ma bensì una vera e propria famiglia! E quasi un anno fa, il secondo test di gravidanza positivo. A settembre è nata la sorellina del mio piccolo, grande guerriero.

Era il 17 marzo del 2014 quando, dopo la seconda ICSI (Inseminazione Artificiale con Fecondazione in Vitro), ottenni finalmente il mio tanto desiderato risultato finale: POSITIVO!

Non potevo credere ai miei occhi! Dopo tre anni e mezzo e tanti, ma tantissimi tentativi con ogni mezzo naturale, ormonale e medico, ce l'avevamo finalmente fatta! Ero di 4 settimane più 2 giorni e mi sentivo la donna più felice di questo mondo!

I giorni successivi proseguirono bene, ma all'ottava settimana di colpo iniziai a perdere sangue, prima poco, poi sempre di più. Corremmo all'ospedale, ormai era diventata una vera e propria emorragia. Iniziai a piangere tantissimo.

Mi ricordo che appena scesi dalla macchina davanti all'entrata del pronto soccorso sentii proprio "scendere" qualcosa, mi guardai in avanti e vidi le persone che guardavano con gli occhi sbarrati, allora mi guardai le gambe e i miei jeans azzurro chiaro erano ormai impregnati di sangue fino ai polpacci.

Non pensavo che si potesse perdere così tanto sangue. Corsi fino in reparto e seduta sulla sedia a rotelle con il sangue che ancora scorreva, mentre aspettavo di entrare con il massimo dell'urgenza, mi ricordo di una gentilissima donna, incinta. Io in lacrime mi chiedevo perché mi era accaduta una cosa del genere. Lei mi si avvicinò e mi diede un fazzoletto.

Fu un momento davvero strano: la odiai e la apprezzai allo stesso tempo. Pensai: "Guardala lì, tranquilla con il suo bel pancione, e io piena di sangue e tante lacrime". Giunse il mio turno, entrai e nel silenzio più totale le dottoresse mi fecero l'ecografia. Io ero girata dall'altra parte, mi rifiutavo di guardare, guardavo mio marito che in lacrime mi teneva forte la mano e mi diceva di stare tranquilla.

Invece dal nulla udii una dottoressa che disse: "Eccolo qua! Si muove e c'è il battito".

Giuro, non potevo crederci! La ragione per cui perdevo tutto quel sangue, mi dissero, era perché non avendo di mio il ciclo, quello era "sangue arretrato". Mi ricoverarono per 3 giorni con progesterone e assoluto riposo. Una volta a casa continuai con l'assoluto riposo e sembrò funzionare.

Passarono i giorni e le settimane e finalmente ci tranquillizzammo. Usciti dalla "zona pericolo", ovvero dopo la dodicesima/quattordicesima settimana, pensai che nulla più poteva accadere! Povera stupida! E così giunse il 16 luglio, io ero alla ventesima settimana.

Era una giornata qualunque, iniziata come sempre. Tutto andava bene, finché verso le 10.30, mentre ero fuori a fare una passeggiata con il mio cagnolino, iniziai ad avere dei dolori strani al basso ventre e alle gambe.

Così tornai a casa. Arrivata a casa, mi stesi sul divano ma i dolori aumentarono! Non riuscivo neanche a muovermi. Andai in bagno e avevo proprio pochissimo sangue, chiamai mio marito che ai tempi lavorava ad un'ora di distanza e gli dissi di raggiungermi all'ospedale. Nel frattempo arrivò mia suocera e corremmo all'ospedale.

Entrai d'urgenza, diretti in sala travaglio/parto, arrivarono le dottoresse. Ecografia e silenzio: mi dissero che era necessario visitarmi. Io acconsentii, prima mi visitò una dottoressa e subito lanciò un'occhiataccia alla collega che volle anche lei visitarmi, nel frattempo l'altra corse al telefono e chiamò immediatamente il primario.

Io in agitazione chiesi cosa stesse succedendo, ma l'unica risposta fu: "Bisogna aspettare il primario". Nemmeno un minuto dopo arrivò. Mi visitò e guardandomi negli occhi senza tanti giri di parole disse: "Signora, suo figlio sta per nascere, ora, ha il collo dell'utero accorciato, è dilatata di 4 cm ed è impossibile la sopravvivenza del feto, voglio che si prepari mentalmente a quello che sta per succedere, non ci sono false illusioni. L'unica cosa che possiamo provare a fare è una flebo che blocca le contrazioni e potremmo tentare un cerchiaggio d'urgenza, ma nel suo caso significherebbe dover spingere proprio nel vero senso della parola, il feto, rischiando la rottura della sacca, più in alto possibile e chiudere l'utero con il cerchiaggio".

E aggiunse: "Io da primario, non ci scommetterei nulla sulla riuscita dell'intervento".

Io non ci pensai due volte, almeno avrei potuto provare a salvare mio figlio! Poco dopo arrivò mio marito, non una parola. C'erano solo sguardi, pianti e tanta paura. Firmai le carte per l'intervento, firmai per me e firmai anche per il mio bimbo, una liberatoria dove non acconsentivo all'accanimento terapeutico.

Sala operatoria, epidurale e via. Alzarono il lettino tanto da mettermi quasi a testa in giù, mi ricordo che tremavo tanto, non per il freddo, mi ricordo le mani dell'anestesista (incinta di 30 settimane), che stringeva le mie e che mi diceva che sarebbe andato tutto bene, e mi ricordo che continuavano ad entrare dottori, specializzandi, infermieri.

Il mio era un caso interessante, dicevano! Finito di fare il cerchiaggio, mentre abbassavano il lettino, sentii proprio qualcosa che si "allargava". Era il cerchiaggio che si era appena rotto! Mi rialzarono di fretta e mi fecero velocemente un doppio cerchiaggio e stavolta andò a buon fine. Da quel momento restai ricoverata con l'obbligo di rimanere a letto senza potermi alzare fino al giorno del parto.

Era il 26 agosto 2014. Sette settimane dopo il ricovero iniziai a sentire dei "dolori strani". Si facevano sempre più intensi e vicini, allora lo dissi subito alle infermiere, mi fecero monitoraggi su monitoraggi, ma nulla, dicevano che non erano nulla, forse era il bimbo che "pesava" sul cerchiaggio e sentivo tirare per quello.

Arrivò il 27 agosto. Dopo una nottata in bianco per i dolori, convinta anche io ormai che non fosse nulla, feci l'ennesimo monitoraggio "piatto". Trascorse mezzogiorno, ma i dolori al posto di passare aumentarono e io iniziai a sentirmi sempre più irrequieta, tanto da chiedere una visita.

Giunse l'infermiera a "prendermi" con la sedia a rotelle, chiesi prima di andare un attimo in bagno.

E proprio nel momento in cui mi stavo "pulendo", scese il fatidico "tappo".

L'infermiera lo fece presente dopo al dottore che visitandomi mi disse che "avevo perso il tappo e nel momento della visita avevo perso anche un po' di acqua, ma che non era preoccupante perché ne avevo a sufficienza".

Mi rimandarono in stanza. Passarono al massimo due minuti, quando entrarono infermieri, dottori e primario, che mi dissero: "Signora dobbiamo far nascere suo figlio, entro oggi nascerà". Panico totale.

Chiamai mio marito che era a lavoro, lui corse in ospedale e ci incontrammo in sala parto, dove tramite ecografia scoprimmo anche che stavamo per avere un maschietto e non una femminuccia come ci avevano detto da sempre! (Da quel momento avrei dovuto capire che sarebbe stato davvero un monello).

Mi tolsero il cerchiaggio e mi fecero l'induzione, perché avevo i centimetri di dilatazione ma non avevo i "dolori giusti". Firmai le carte per un eventuale cesareo (per le settimane in cui ero era più facile praticare un cesareo, ma vollero comunque farmi provare a partorire naturalmente) e per fortuna ci riuscimmo.

Alle 22.18 del 27 agosto 2014 nacque il mio primo bimbo, un piccolo guerriero di 1.100 grammi per 36 centimetri che miracolosamente respirava già da solo! Quante lacrime, quanta paura e quanta felicità!

Non lo vidi fino ad un'ora dopo, mio marito riuscii a fare delle foto proprio mentre usciva, e poi subito via, incubato e dopo le prime cure, lo portarono in clinica (in Germania funziona cosí, non c è il nido nell'ospedale né la Tin, è in una separata sede).

Io a distanza di un'ora dal parto mi sentivo bene, non so se era l'euforia o la voglia di vedere mio figlio, ma rifiutai di stare sdraiata ancora per due ore (come routine) e insieme a mio marito andammo dal nostro fagottino in clinica (nel mio caso fortunatamente era l edificio accanto all'ospedale).

Penso che quel momento mi accompagnerà per tutta la vita, non tanto per il ricordo, ma soprattutto per le sensazioni: arrivammo nel piano della Tin dove c'erano i "prematuri gravi" e in isolamento.

Stanza 512, entrammo nell'anticamera della stanza: copri-scarpe, camice, mascherina, disinfettante e guanti e finalmente fummo nella stanza. In mezzo un incubatrice attaccata a mille tubi, mille fili, mille cavi e mille monitor. E lì dentro un piccolissimo omettino immobile e indifeso.

Che emozioni contrastanti: passavo dalla felicità al terrore nel giro di un secondo. Era un mondo nuovo quello della Tin e faceva davvero paura. Infilai le mani nelle fessure dell'incubatrice, confesso che avevo paura a toccarlo, era così piccolo che sembrava potesse quasi "rompersi".

Superato l'ostacolo del toccarlo, ce n'erano mille altri: saranno in grado di assicurare il meglio per mio figlio? Staranno attenti? Lo tratteranno bene quando io non ci saró? Se piange qualcuno lo consolerà? Avranno la pazienza e la delicatezza?

Ebbene si, lì in Tin, non ho trovato delle semplici infermiere, ma bensì una vera e propria famiglia! Si vedeva che facevano tutto con estremo amore, si impegnavano a conoscere il mio piccolo e a fare sempre il meglio per lui. Si impegnavano a consolarlo e mi facevano sempre trovare delle foto o qualche frase carina e amorevole su un libretto che mi regalarono ad inizio percorso da tenere lì e appuntare tutto quello che volevo.

Sono stati 70 giorni in cui ho vissuto con il fiato sospeso, ora a distanza di tempo mi rendo conto che vivevo davvero appesa ad un filo, ero sempre in Tin, a volte anche di notte, quando invece ero a casa per cambiarmi o mangiare comunque chiamavo per sapere se era tutto okay.

Non l'ho vissuta bene né io né quelli che mi stavano intorno, anche se non so se sia possibile comunque vivere bene un'esperienza simile.

Dopo 70 giorni di Tin, senza per fortuna nessun problema a parte una trasfusione, il 3 novembre 2014 portammo finalmente a casa il nostro piccolo grande guerriero!

Ora ha quasi 15 mesi, è un bimbo sano e la prematurità non sembra essere un problema. E oltre ad essere un guerriero è da 2 mesi che sappiamo che avrà anche un fratello maggiore.

Il 26 gennaio 2015 ho scoperto di essere miracolosamente di nuovo incinta. Dopo tanti dubbi e tanta paura, ho portato avanti una gravidanza senza problemi, seppur molto seguita e controllata: ho comunque fatto il cerchiaggio alla quindicesima settimana e un ciclo di cortisone per lo sviluppo dei polmoni del feto alla ventottesima settimana.

Così è nata la sorellina il 15 settembre 2015 a 40+0, una bimba sana di 3,610 grammi per 52 centimetri! Per concludere posso solo dire che, la prematurità e il percorso che c'è dietro resterà sempre dentro al mio cuore, le paure, le sensazioni, l'ansia, le lacrime e le domande.. Faranno sempre parte di me.

Però una cosa vorrei dirla: c'è ancora tanta, troppa disinformazione riguardo la prematurità! Vorrei che ci fosse più sensibilizzazione da parte di dottori, ginecologi e quant'altro! Ogni benedetto giorno in tutto il mondo 1 bambino su 10 nasce prematuro!

Ogni volta che lo dico o lo scrivo mi vengono i brividi! Chi non ci passa non sa davvero cosa significa, pensano solo che sia questione di grandezza e peso. Ma la prematurità è molto di più, a volte significa anche morte!

di Serena

(storia arrivata sull'e-mail della redazione)

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Aggiornato il 13.07.2018

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