Scrivo la mia storia per dare speranza a qualche mamma. Subito dopo i primi acquisti, periodo in cui l‘arrivo di un figlio diventa una cosa imminente e nel quale ormai la pancia è evidente, è iniziato il nostro calvario.
Esattamente a 29 settimane, di sera, verso le 21.30, mi recai in ospedale per avere un certificato di maternità. Nei giorni precedenti la mia ginecologa non mi aveva risposto al cellulare e quando finalmente lo fece non era di turno in ospedale, quindi mi mandò da una sua collega.
All’inizio la collega infastidita voleva visitarmi, poi la sala fu occupata di nuovo. Insomma tra un tira e molla disse di voler solo sentire il battito del bambino, mi fece sdraiare e mi disse di non scoprirmi tanto, tanto lei avrebbe solo sentito il battito con la sonda. Ad un certo punto mi chiese senza preavviso: "Da quanto tempo non ti controlli?". Quella fu la prima frase del nostro calvario, un calvario lungo 4 mesi. 4 mesi di pianti, lacrime e disperazione.
Quella sera la dottoressa disse che aveva trovato qualcosa che non andava e che avrebbe avvisato lei la mia ginecologa, perché a suo avviso la situazione era grave. Per tutto il tragitto di ritorno a casa, io ero arrabbiatissima nei confronti di questo medico che a mio parere mi aveva fatto violenza psicologica.
Insomma ero stata al pronto soccorso ostetrico quindici giorni prima ed era tutto nella norma. La mattina seguente chiamai la mia ginecologa e lei con molta disinvoltura, mentre mangiava, mi disse di festeggiare Capodanno (era il 30 dicembre) e di tornare da lei il 2 gennaio.
Io ero preoccupatissima. Usavo continuamente l'angel sound, anche se lo sentivo muoversi. Quei giorni furono tremendi: angoscia, ansia e ricerche su internet (sbagliatissimo). Il 2 gennaio ci recammo io e mio marito allo studio privato della ginecologa, guardai tutti gli esami fatti dall'inizio della gravidanza e tutte le eco che lei stessa mi aveva fatto.
Mi disse che il problema era grave e che il bambino aveva un'ascite, ma che sarebbe finito tutto in una "bolla di sapone". Mi consigliò di non fasciarmi la testa, mi prescrisse degli esami da fare e mi disse di chiamare l'ecografista per un'eco di secondo livello. Mi disse che il bimbo stava bene, che il liquido era okay e di avvisarla subito per ogni problema.
Il 5 gennaio mi recai a fare un'altra ecografia da questo dottore che già conoscevo perché avevo fatto da lui la strutturale. Con le lacrime agli occhi lui ci disse che il bambino sarebbe dovuto nascere il giorno dopo: era una situazione estremamente grave. Io avevo un 'polydramnios severo', ossia il liquido 3 volte al di sopra della norma.
Per questo lamentavo di non poter respirare e non riuscivo ad ingoiare. Fu un eco che durò ben 2 ore, ma purtroppo per noi ci informò del fatto che il bambino non aveva nessuna malformazione e che la causa era ignota.
Mi disse che la mia ginecologa mi doveva ricoverare la sera stessa perché rischiavo la rottura dell'utero oppure la rottura della cicatrice del cesareo precedente. Andai via con il cuore spezzato: iniziai a chiamare la ginecologa che da quel momento si rese irreperibile.
Arrivo l'esito degli esami del sangue: io non avevo nessun virus da poter giustificare un aumento del liquido. Stavo sempre più male, i giorni passavano e mi decisi ad andare al pronto soccorso. La mia ginecologa mi disse che non aveva posti per ricoverarmi e mi mandò a casa. Tramite conoscenze fui ricoverata in un ospedale a 150 km da casa, dove nacque dopo 10 giorni il bimbo, anche prematuro di 7 settimane. La situazione era grave, anzi "gravissima", come dissero i neonatologi. Addirittura il neonatologo che mi venne a parlare il giorno prima del parto mi disse chiaramente che il bimbo non sarebbe sopravvissuto.
Un caso mai visto. Un'ascite congenita con natura da determinare. Piccoli passi in avanti: estubato poi rintubato, poi con cannule. Non dimenticherò mai il primo giorno che lo vidi. Il giorno dopo la nascita era piccolo, indifeso e gonfio. I dottori iniziarono una terapia sperimentale con un ospedale di Roma, dove poi fu trasferito il bimbo dopo 23 giorni dalla nascita. La terapia era stata inefficace, quindi il bimbo doveva subire un intervento al sistema linfatico dell'intestino.
I dottori ci chiamarono a colloquio e ci dissero che il bimbo doveva continuare a fare la terapia che stava facendo e che per l'intervento ci volevano mesi. Mi crollò il mondo addosso: una bambina a casa lontana 400 km, ritrovarmi ad aver partorito ma a non avere un figlio, ad essere sola... insomma volevo solo addormentarmi e risvegliarmi dopo un anno. Finalmente dopo quasi un mese dalla nascita lo presi in braccio. Era piccolo e morbido, non ci credevo, la psicologa mise di sottofondo una musica dolce e io lo guardai per oltre un’ora. Dopo quasi due mesi il piccolo uscì dall’incubatrice, dove lo tenevano per le difese immunitarie basse.
Un giorno ci dettero la bella notizia che il bimbo aveva superato questo problema, peccato che si fosse intasato il dreggio. Così restò senza terapia per oltre un mese, in cui gli furono poi dignosticati la stenosi ipertrofica del piloro, una malrotazione intestinale e due ernie che si andavano ad aggiungere ad un ascite chilosa congenita e a un ipotiroidismo. Dopo due mesi dal ricovero a Roma gli fu fatta una linfografia a scopo terapeutico per chiudere il sistema linfatico che gli compromise ancora di più la tiroide e dopo una settimana con quattro ore di intervento fu operato di stenosi del piloro e malrotazione intestinale. La ripresa fu difficile, lenta e difficile caratterizzata da momenti di sconforto e di condivisione con gli altri genitori.
Eravamo diventati una grande famiglia: i loro figli erano quasi un po' come miei e mio figlio era un po' anche loro.
Quando ci fu detto che il bimbo aveva preso un batterio era il Sabato Santo, e quando si capì finalmente di che batterio si trattava, i medici iniziarono con l'antibiotico, iniziammo poi con l'alimentazione che, con grande sorpresa, fu tollerata bene. Fino al quel momento il bambino era stato alimentato con l'infusione di parenterale. I giorni passavano e fummo stati spostati in una sala nella quale potevo stare più con il bimbo. Vedevo carrozzine dietro la porta del reparto, la mia era ancora a casa, vedevo andare via bambini e... il mio momento?
Un giorno le infermiere notarono dei 'puntini' e la dottoressa che lo venne a visitare mi disse che davvero il bimbo la stava sorprendendo, che ogni giorno ce n’era una nuova e che per lui c'era un piano di dimissioni. Quel momento lo ricordo bene perché mi sentii quasi svenire. Io non ci credevo, proprio no, mi ricordo della psicologa che mi veniva a parlare per convincermi che era vero che sarei andata a casa a breve. Così, dopo una ventina di giorni, dopo aver richiesto il vaccino, con tanta incredulità lasciammo Roma. Esattamente dopo 108 giorni il mio bimbo avrebbe conosciuto casa sua. Il viaggio in macchina fu senza fermate, nemmeno per andare in bagno.
Dopo ben 4 mesi eravamo una famiglia. Mi aspettava una scala piena di fiocchi celesti e palloni. Alle 23:55 entrai in casa e da quel momento iniziò la nostra vita finalmente. Oggi, dopo 10 mesi a casa, la nostra vita è stupenda: facciamo psicomotricità e neuromotria dayhospital per la tiroide, seguiti da un dottore eccezionale e soprattutto umano. Facciamo anche controlli in dayhospital al Bambin Gesù. E altre visite varie, ma siamo felici!!!!! I momenti brutti ci sono stati e sono stati molti, se penso anche alle trasfusioni che ha avuto il piccolo, ma è stato una forza.
Ha ripreso ad alimentarsi normalmente, ci avevano detto che non avrebbe potuto mangiare grassi, mentre invece la tiroide va meglio, sta rientrando in valori normali. E' un bimbo sorridente e socievole: dovrà essere operato di ernia, ma supererà tutto. Ho conosciuto persone fantastiche, medici fantastici e ho fatto bene a "non addormentarmi", perché avrei perso un anno con mio figlio, un anno d'amore. Mai disperare, mai.
La mamma di un GUERRIERO
(storia arrivata sulla pagina Facebook)
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