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Intervista a Laura Miola, influencer di positività

di mammenellarete - 12.04.2021 - Scrivici

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Laura è conosciuta sui social come una influencer di positività. Affetta da una malattia rara che l'ha portata a vivere su una sedia a rotelle, è una mamma giovane e solare. Ecco l'intervista a Laura.

In questo articolo

L'intervista è dedicata a Laura Miola, che abbiamo avuto il piacere di ospitare in occasione di una nostra diretta Facebook sul tema della disabilità. Laura è affetta da una malattia rara che l'ha portata a vivere su una sedia a rotelle.

Laura è conosciuta sui social come un'influencer di positività. È stata una sua follower a definirla così e da allora Laura si è affezionata a questo titolo. Sul suo profilo Instagram condivide pezzetti della sua quotidianità, dove ad accompagnarla c'è sempre il sorriso.

Ecco l'intervista a Laura.

Parlare di disabilità a volte è scomodo. Come vorresti che fosse raccontata la disabilità sui social e dai media?

«A me piacerebbe tantissimo che la disabilità venisse vista come qualcosa di normale, come un'altra normalità. La disabilità fa paura perché non la si conosce: mostrare il lato quotidiano di una persona con disabilità aiuta le persone ad avvicinarsi ad una realtà sconosciuta. 

Sono felice perché i social stanno andando in questa direzione. Ci sono molti influencer che fanno un ottimo lavoro al riguardo, e sono percepiti al pari di tanti altri influencer "in piedi"». 

Si parla molto di inclusività, ma la nostra società non è sempre pronta. Cosa si può fare per avere uno sguardo diverso?

«Penso sia fondamentale "progettare" con uno sguardo più ampio. Non mi piace parlare di "integrazione", perché significa che occorre "integrare" qualcosa all'interno di un contesto già esistente. Invece "inclusione" significa che il contesto abbraccia già tutto, fin dalla progettazione. Solo questa visione di inclusione può aiutare tanto: quanto più qualcosa può includere tutti, tanto è migliore e maggiormente inclusiva». 

Quali sono le discriminazioni e le barrieri mentali e fisiche più difficili da scardinare nello sguardo e nel comportamento di chi si rapporta a un disabile?

«Sicuramente le barriere architettoniche sono quelle che fanno stare più male, perché mettono nella condizione di differenza. Ci saranno sempre persone che la pensano diversamente, ma ciò non deve precludere una vita sociale al 100 per cento. E una società più inclusiva aiuta soprattutto i bambini - i grandi del futuro - ad avere un occhio diverso.

Le barriere mentali che fanno più male sono quelle legate alla presunzione delle persone, in particolare quando credono che tu abbia una vita triste, limitata. Sono individui che si fermano a supposizioni e a conoscenze limitate. Guardare più in là del proprio naso aiuterebbe. Ciò non significa che occorre far finta che la disabilità non esista: è invece opportuno parlarne, scherzarci sopra».

Hai scoperto a 24 anni la diagnosi esatta della tua malattia e hai poi scoperto che potevi affrontare una gravidanza. Quali sono state le emozioni in quel momento?

«È stato il momento più bello di tutta la mia vita. Quando il mio medico mi disse che il mio gene era di tipo recessivo e che non avrei trasmesso la malattia, ho vissuto un momento meraviglioso.

Sono uscita da un tunnel buio: non so spiegare la gioia provata, ma sono uscita da un tunnel buio. Sapere che potevo affrontare la gravidanza come tutte le altre donne è stata, per me, una gioia grandissima».

Il rapporto con il tuo compagno è di complicità, divertimento, supporto. Qual è la cosa più bella che ami in lui come donna e come mamma?

Vorrei ringraziare mio marito perché esiste semplicemente. Grazie a lui sono una persona migliore, mi ha insegnato ad amarmi attraverso i suoi occhi. Quando lui mi ha iniziato ad amare, io ho iniziato ad amare lui, ma non amavo me stessa come lui amava me. Attraverso i suoi occhi mi ha permesso di riscoprirmi. 

Lo ringrazio perché lui è sempre gioioso e allegro».

Qual è il tuo rapporto con i social? Ormai è diventato un lavoro per te. Qual è la richiesta più strana e quella più bella che ti è arrivata da un cliente?

«Sono felice e grata del fatto che i social siano diventati anche un'opportunità lavorativa per me. La richiesta più bella è stata quella di un famoso cartone animato, che ha inserito un personaggio che ha una disabilità. Io sono stata chiamata a sponsorizzarlo e sono felicissima di averlo potuto fare. 

La richiesta più strana: ho ricevuto la proposta di parlare di sesso e disabilità. Non mi è piaciuto molto: secondo me questo tema deve essere percepito come naturale, non "strano"».

Alcune donne passano una vita intera a trovare il modo per farsi rispettare, prima di tutto da se stesse. Quale consiglio ti piacerebbe dare loro?

«Il mio consiglio per tutte le donne (e in generale per tutti) è quello di non pensare che ci manchi sempre qualcosa per essere complete, migliori, più belle o più brave.

Ognuno è unico al mondo e fantastico. Bisogna guardarsi allo specchio e vedere ciò che si ha, sentendosi grati ogni giorno». 

Il ricordo più bello legato al tuo essere mamma di Ferdinando?

«Una cosa che mi stupisce sempre è il suo modo di aiutare, anche se ha 3 anni. Per esempio, se c'è una salita lui viene dietro di me e prova a spingermi, come se volesse aiutarmi. Il fatto di sentirti mamma è qualcosa che non si può spiegare a parole. Lui è il mio sole ogni giorno, un dono».

Cosa auguri a tuo figlio?

«Mi auguro che possa essere felice e che possa sentirsi amato ogni giorno della sua vita. Spero che sia circondato da amore in qualsiasi cosa lui faccia».

La tua top 3 di mamme, donne, uomini o papà che segui su instagram e che consiglieresti al nostro pubblico e perché?

«Voglio consigliare Alessandra D'Agostino, mamma dolcissima che ha avuto la fortuna di incontrare. Poi "Una casa alla volta": una persona dolce e disponibile, mamma e designer incredibile, che mi ha aiutato ad arredare la casa. 

Al terzo posto vorrei consigliare "Vita in blu", perché è una community di mamme e future mamme nella quale ci si aiuta a vicenda, si parla di problemi, si offre supporto».

Quali sono le etichette, che vengono date alla disabilità o che ti sono state affibbiate, e che più ti infastidiscono?

«Sicuramente quando mi dicono "poverina": mi fa innervosire tantissimo. Di tutto posso dire della mia vita tranne che "poverina". Quando lo sento vado su tutte le furie. La presunzione delle persone è grande: come si permettono di dire che sono stata sfortunata? 

Questa è la cosa che mi dà più fastidio».

Come si fa a comunicare l'idea che la disabilità sia semplicemente un'altra faccia della normalità? Una faccia che si conosce poco e per questo fa paura

«Penso che la comunicazione più efficace sia l'ironia. Io sono sempre riuscita ad arrivare al punto usando l'ironia e l'autoironia: ciò mi ha aiutato ad avvicinare le persone.

Anche la quotidianità mi ha aiutato tanto per far capire che la vita delle persone che hanno una disabilità non equivale a tristezza».

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