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I miei gemellini sono volati via. Resteremo per sempre quattro cuori

di mammenellarete - 09.06.2022 - Scrivici

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Fonte: Shutterstock
I miei gemellini sono volati via dopo la nascita. Ci ho impiegato un mese e mezzo per guarire le ferite del corpo, quelle dell'anima e del cuore non guariranno mai. Ad oggi sono trascorsi sei mesi e la nostra vita non sarà più quella di prima, ma resteremo per sempre quattro cuori.

In questo articolo

Noi siamo mamma Roberta e papà Leo, due genitori speciali, anche se prima d'ora non sapevo nemmeno cosa potesse significare! La nostra storia ha inizio il 26 giugno 2021, con un test positivo cercato da tanti mesi. Parlavamo spesso di ampliare la nostra famiglia, ci siamo sposati il 13 giugno del 2019 e dapprima abbiamo dovuto terminare i lavori alla nostra casa per poterci finalmente trasferire.

Poi è arrivato il covid, dopo abbiamo deciso che non volevamo più aspettare e così, dopo aver penato un po', eccole finalmente, le due striscette rosa sul quel test tanto atteso. L'ho fatto di sabato dopo pranzo, ero sola in casa, aspettavo che Leo finisse di lavorare. Non si può spiegare l'emozione provata, mista a tanta paura e anche un po' di sensi di colpa nei confronti di chi da prima di noi ci stava provando, ma non aveva ancora realizzato questo sogno.

Ho avvisato subito mia madre, di conseguenza mio fratello, mia suocera e mia cognata. Nel frattempo, al ritorno dal lavoro, Leo ha trovato il test sul lavandino in bagno, ancora increduli ci siamo abbracciati e da quel momento ci siamo già sentiti genitori. Ma la gioia è durata poco: la mattina del 4 luglio vado in bagno e trovo perdite di sangue, chiamo immediatamente il ginecologo che mi dice di prendere un antiemorragico e stare a riposo, di fare le beta e recarmi successivamente da lui.

Così facciamo, una volta alla visita la scoperta: nel mio piccolo pancino non c'era solo un cuoricino, ma erano due (si tratta di gravidanza monocoriale bioamniotica, in parole povere i bimbi sono identici). Ma si tratta di una gravidanza particolare, a rischio, tuttavia proprio per questo il dottore consiglia di compiere la vita di sempre, sarà la natura a decidere per noi.

I giorni successivi sono un mix di emozioni, gioia immensa per la doppia scoperta, inevitabili progetti futuri e tanta paura.

Tuttavia i giorni trascorrono tranquilli. Le perdite si erano fermate e il mese di luglio è trascorso abbastanza tranquillamente. Finché esattamente dopo un mese, il 4 agosto, ero sola in casa, stavo preparando i festoni per la nascita della mia nipotina, che sarebbe avvenuta con parto cesareo il giorno seguente, quando ad un certo punto mi sento strana.

Corro in bagno, emorragia, chiamo il dottore,mio marito e i miei genitori, in ambulanza vengo trasportata in ospedale, tra le lacrime e il terrore ero convinta di averli persi per sempre, ero a 10 settimane. Giunta in ospedale, in un mare di sangue, vengo sottoposta ad ecografia, primo cuoricino, secondo cuoricino, i miei piccoli guerrieri sono ancora con me, aggrappati alla vita. Scoppio in un pianto liberatorio.

Vengo ricoverata, resto sola in ospedale per quattro giorni, alla fine dei quali vengo dimessa, con terapia e riposo assoluto (posso alzarmi solo per andare in bagno). Mi trasferisco dai miei genitori, dopo una settimana ho una seconda emorragia, in piena notte, altra corsa in ospedale, ma questa volta dopo l'eco mi fanno tornare a casa, mi dicono che è normale, che il distacco di placenta avuto con la prima emorragia si sta riassorbendo, quindi adesso mi sto pulendo.

Nel frattempo traslucenza perfetta, il test del DNA fetale ci rivela che sono due bei maschietti sani e forti e di lì comincia la ricerca dei nomi, che avviene dopo il 7 settembre quando ci viene detto che il distacco si è riassorbito del tutto, ma la situazione resta invariata, letto e terapia. Poco mi importa, l'importante è compiere il miracolo e dare alla luce i miei bimbi. I giorni, le settimane, i mesi, trascorrono tutti uguali e non appena la paura di perderli dopo la morfologica lascia spazio alla certezza di farcela, decidiamo di comunicare i loro nomi ai parenti.

Io ho scelto Nicolò, che significa vincitore dei popoli, dato che ero convinta che avrebbero vinto questa battaglia, Leo aveva scelto Mattia, che significa dono di Dio, effettivamente erano stati un dono ed aveva avuto un ruolo anche padre Pio, perché la prima volta che sono tornata a casa dall'ospedale mio padre mi aveva messo la sua immagine sulla pancia, dicendomi che avrebbe compiuto il miracolo e successivamente abbiamo cominciato a preparare il corredino e scegliere il passeggino.

I miei gemellini sono volati via. Resteremo per sempre quattro cuori

Io sono a letto perciò mi dedico al ricamo di lenzuolini e bavette e alla realizzazione del fiocco e ricordini nascita. Leo e i nonni si dedicano dedicati al resto. Tutto è perfetto, finché la notte del 20 novembre avverto la necessità di andare in bagno, ma non ci arrivo, penso di essermi fatta la pipì addosso.

Così un po' allarmata con l'aiuto di Leo mi cambio e rimetto a letto, ma immediatamente ho un'altra perdita, allora capisco: mi si sono rotte le acque, mi crolla il mondo addosso, è troppo presto. Siamo a 25+3! Corsa in ospedale, confermano la rottura di entrambe le membrane.

Vengo ricoverata, i dieci giorni più lunghi della mia vita, in cui vivo il momento, durante i quali mi ripetono che un giorno in più nella pancia è un giorno in più guadagnato, dieci giorni in cui non posso alzarmi dal letto se non per fare pipì, ma nessuno mi aiuta a lavarmi, perciò ci provo da sola con le salviettine, dieci giorni in cui psicologicamente sono devastata, ma il Covid non permette visite, nonostante le partorienti escano fuori dal reparto per incontrare i loro parenti.

L'unica mia consolazione è ascoltare i loro battiti tre volte al giorno e sentire i loro calcetti. Prego ogni giorno con il rosario che non ho mai lasciato dal 4 agosto.

La notte a cavallo del primo dicembre inizio ad avere perdite di sangue e doloretti di pancia, ma l'ostetrica di turno sminuisce le perdite e paragona il mal di pancia a un po' d'aria.

Per farla breve dopo una nottata con dolori, in cui ad un certo punto da sola con il telefono cerco di prendere il tempo che intervalla tra una contrazione e l'altra, al mattino vengo creduta solo dopo avermi trovata a letto a vomitare. Mi attaccano il tracciato e mi fanno una puntura per bloccare il parto, ma il travaglio è cominciato oramai, perciò vengo preparata per un cesareo d'urgenza. Arrivata in sala operatoria cercano vene libere su due braccia martoriate da 10 giorni, tra una contrazione e l'altra fanno l'epidurale, comunico di sentire le gambe, ma mi rispondono che non importa, non devo sentire dolore e invece, taglio a crudo.

Urlo e mi addormentano, mi sveglio mentre mi stanno ricucendo, mi riaddormento e alla fine quando finalmente apro gli occhi, vedo al mio polso i braccialetti più belli della mia vita, le ostetriche mi fanno gli auguri. A 27 settimane sono nati alle 9,07 Nicolò Pio, 690 gr, alle 9,09 Mattia Pio, 890 gr di puro amore. Trasferiti in TIN ci dicono che la situazione non è malvagia, io torno nella mia stanza, mi riprendo dall'anestesia verso l'ora di pranzo e comincio a chiedere le loro foto, nell'attesa di riuscire ad alzarmi e poter andare da loro.

Sono consapevole che il nostro percorso sarà tutto in salita, ma sono convinta che adesso non può più fermarci nessuno e invece... Nel pomeriggio vedo entrare in stanza Leo con il neonatologo, vengono a riferirmi che le condizioni di Nicolò sono gravi, che quasi sicuramente non ce la farà. Non ricordo cosa ho fatto, non ricordo nemmeno se ho pianto, ricordo che ho pregato con tutte le mie forze e che non credo ad una sola parola.

Poco dopo vengo trasferita in una stanza singola, nessuno mi dà spiegazioni, finché non vedo arrivare mia madre, Leo e l'intera équipe, le mie orecchie ascoltano le ultime parole che un genitore non dovrebbe mai ascoltare. Ricordo solo di aver lasciato cadere il rosario dalle mie mani, che mi ripetevo che non era vero e non stava accadendo davvero, non a noi, che i miei bimbi non potevano essere volati via da me.

Mi hanno proposto di mettermi su una sedia a rotelle e di andare da loro, mi hanno detto che dovevo decidere in quel momento e che non potevo cambiare idea. Ho deciso di no, volevo ricordarli nella mia pancia. Ho trascorso quasi un'altra settimana in ospedale, perché da quella sera ho avuto febbre, in ospedale hanno cominciato a trattarmi male, pensavano che non volessi alzarmi per una questione psicologica.

Io invece ho febbre alta, la ferita infettata e il ferro basso. Dopo avermi firmato le dimissioni, nonostante io abbia chiesto di misurarmi la febbre, l'hanno fatto prima di farmi uscire, ma poi hanno cambiato idea e arrivati a quel punto avrei dovuto firmare se avessi voluto tornare a casa.

Durante quei giorni nessuna assistenza psicologica, un dottore mi ha detto che avevo perso solo due feti, le infermiere mi ripetevano che ci saremmo riviste in tempi migliori e la ginecologa che era con me in sala operatoria alla visita di dimissioni mi ha fatta spogliare da sola, nonostante non riuscissi nemmeno a camminare e stare in piedi per il dolore e per di più inutilmente, semplicemente perché la presenza di mia madre in quei giorni l'aveva infastidita. Dopo due giorni dalle dimissioni, l'8 dicembre sono tornata in ospedale, la ferita era in liponecrosi, era infettata, ma loro ovviamente non l'hanno ammesso.

Ci ho impiegato un mese e mezzo per guarire le ferite del corpo, quelle dell'anima e del cuore non guariranno mai.

Dopo un mese quasi dalla nascita e morte di Mattia e Nicolò, mi arriva una chiamata dall'ospedale, mi domandano se sono la mamma dei gemellini, vogliono sottopormi ad un sondaggio sull'allattamento. Inutile dire la mia reazione, alla fine mi dicono semplicemente che i miei bimbi erano finiti nella lista sbagliata... Ad oggi sono trascorsi sei mesi e la nostra vita non sarà più quella di prima, ma resteremo per sempre quattro cuori.

di una mamma 
 
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