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Storia di Hayat, incinta di 7 mesi. Una migrante in fuga dall'Eritrea

di Sarah Pozzoli - 17.06.2015 - Scrivici

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Hayat ha 21 anni, già incinta ha iniziato il ‘viaggio della speranza’ dall’Eritrea all’Europa, attraversando il Mediterraneo su un barcone. L’abbiamo incontrata alla Stazione centrale di Milano (storia raccolta nel giugno del 2015)

"Mi chiamo Hayat e sono incinta di quasi sette mesi. Sono arrivata alla Stazione centrale di Milano con i miei compagni di viaggio: Balem, Solomon, Samuel e Amena. Abbiamo tutti 20 anni o poco più. Siamo scappati dall’Eritrea, dove la situazione è insostenibile*. Abbiamo raggiunto la Libia, da lì le coste della Sardegna e dalla Sardegna ci hanno portato a Roma Tiburtina. C’era anche mio marito nel gruppo, in Libia però è stato catturato dalla polizia.

Da tanti giorni non so più nulla di lui. Sono triste, confusa e piena di vergogna. Io sono musulmana. È una vergogna essere incinta e senza marito. Fortunatamente i miei compagni di viaggio si stanno prendendo cura di me.

Stamattina non mi sentivo bene e Balem mi ha procurato un po’ di cibo al centro di accoglienza migranti. Ho mangiato, ora sto meglio. Sono stati bravi gli italiani. A Roma ci hanno dato dei bei vestiti e da mangiare. Sempre gentili.

La mia salute non è un problema, il problema è che sono povera e sola. Da noi si dice ‘mamma felice, bambino felice’. Come potrà mai essere felice mio figlio in questi giorni? Sentirà la mia tristezza, la mia confusione. Prima ridevo sempre, è da giorni che non rido più.

Però so che il mio bimbo sta bene. No, non ho mai fatto controlli. Ma so che sta bene, io mi sento bene.

Non so se è un maschio o una femmina. Non importa, sarà quel che dio vorrà. Quello che mi importa è riuscire ad andare in Germania e avere notizie di mio marito.

Lui ha soltanto 28 anni. Chissà dove sarà ora …"

*L’8 giugno del 2015 l’Onu ha diffuso un report sulla situazione dei diritti umani in Eritrea. Le conclusioni contenute nel documento sono terribili. Si parla di “violazioni dei diritti umani sistematiche e diffuse” – tra cui torture sessuali e lavori forzati - e si sostiene che in Eritrea ci sia un governo totalitario e non ci sia alcuno stato di diritto. L’assoluta arbitrarietà dell’azione del governo “tiene la popolazione in uno stato di ansia permanente. Non è il diritto che regola la vita degli eritrei ma la paura” – conclude l’Onu.

**Hayat non parlava inglese. La sua storia si basa sulle domande tradotte da Balem, compagna di viaggio. Non è stato possibile verificare l’attendibilità del racconto se non attraverso domande ripetute e incrociate.

Aggiornato il 14.11.2017

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