La storia di Daniela, Leonardo e la loro lotta contro la malattia
Leonardo è uno sportivo, una promessa del canottaggio. A 13 anni, mentre si stava preparando per i campionati nazionali, si ammala. La diagnosi sarà devastante: una leucemia linfoblastica acuta. Oggi Leonardo sta bene e continua a coltivare la sua passione per lo sport. Il sostegno di sua madre Daniela è stato fondamentale. Questa è la loro storia.
Quando avete scoperto che Leonardo aveva una leucemia linfoblastica acuta?
Era il 22 giugno 2012 e l'abbiamo scoperto perché Leonardo aveva tanti puntini sulle gambe, che nel corso di una giornata sono aumentati tantissimo. In più, era tanto stanco. L'ho portato a fare una visita dalla pediatra e lei ci ha consigliato urgentemente di andare al Bambin Gesù per fare un emocromo. Lì ci hanno dato la diagnosi: si trattava di leucemia linfoblastica acuta, in forma molto grave. Lo hanno ricoverato immediatamente. La seconda notte di ricovero è stata la più brutta perché la sua malattia stava progredendo in maniera così veloce che era fuori da ogni limite di sopportazione umana. La situazione era gravissima. io non volevo capire quello che dicevano.
Allora il medico mi ha tenuto le mani e mi ha detto: "Signora questa sarà l'ultima notte di suo figlio, perché ora l'evoluzione della malattia porterà a un'emorragia cerebrale". Poi per fortuna è arrivato il professore Franco Locatelli, che è il primario del reparto Oncoematologia del Bambin Gesù e ci ha chiesto se volevamo far parte di un protocollo sperimentale, perché il protocollo tradizionale per Leonardo non era efficace. Naturalmente abbiamo detto di sì e grazie al cielo è andato tutto bene. Lì al Bambin Gesù hanno la farmacia centrale, che realizza i farmaci chemioterapici 24 ore su 24. Quindi già a mezzanotte gli hanno potuto dare questa chemioterapia d'urto, che ha funzionato benissimo. Da lì sono partiti tutti i cicli e sono durati un anno, divisi in varie modalità.
A distanza di un anno abbiamo fatto il trapianto di midollo osseo, fino ad arrivare alla guarigione completa. L'anno scorso a marzo ci hanno detto che potevamo terminare i controlli al Bambin Gesù, ma fare solo per altri tre anni un emocromo di sicurezza, uno all'anno.
Quali sono state le reazioni di Leonardo alla scoperta della sua malattia?
La prima reazione di Leonardo è stata la rabbia. Si è arrabbiato tantissimo perché pensava che io lo avessi fatto ricoverare per un eccesso di protezione nei suoi confronti, per un eccesso di zelo. Quando ha capito che non poteva più allenarsi e gareggiare, ha preso a calci il letto. Poi è subentrata la paura perché quando ha iniziato a perdere molto peso e forza, tanto da non reggersi più in piedi, si è spaventato e si è chiesto: "Che mi sta succedendo? Sono davvero tanto malato?". Non riusciva più a riprendersi.
Cosa ti porti dietro di quest'esperienza?
Mi sento cambiata nel modo di affrontare la vita. Nel senso che vorrei fare tutto perché mi sono accorta che la vita dura proprio un attimo. Ho dunque voglia di fare mille esperienze. La mattina insegno a scuola. Il pomeriggio faccio l'allenatrice di canottaggio. La notte studio perché sto prendendo la specialistica per la mia materia. La prima cosa che ho fatto quando sono uscita dall'ospedale? Ho buttato via pigiami e pantofole.
C'è un oggetto cui sei particolarmente legata che ti ricorda la storia di Leonardo?
Sì l'oggetto che mi ricorda della storia è simbolicamente il telefono. Perché grazie alla tecnologia, di cui mio figlio ora abusa anche, Leonardo ha potuto rimanere in contatto con l'esterno, con i suoi amici. Con i messaggi, con qualche telefonata, ecc. E il telefono è stato acquistato anche per il fratellino piccolo, che aveva la possibilità di chiamarmi in qualsiasi momento. Anche per lui è stata molto dura: non vedermi più per due mesi e oltre... è stato difficile.
Da mamma a mamma
Vorrei dire alle persone che si trovano ad affrontare momenti difficili come quelli che ho vissuto io di non perdere mai la speranza, perché è proprio quella che ha aiutato me e Leonardo. L'atteggiamento positivo e l'idea che c'è un futuro e che esiste la certezza di guarire aiuta tantissimo, non soltanto i genitori, ma soprattutto i ragazzi che in quel momento stanno male e che non vedono la fine.