I miei giorni in ospedale passavano lenti. Ero lì, dopo aver subito il mio secondo aborto. La mia compagna di stanza nella disavventura era "Rosa", una giovane ragazza africana che aveva già vissuto quel dolore più volte. Le notti le trascorrevo studiando le possibili cause delle gravidanze extrauterine, mi confrontavo con lei, che, sistematicamente, mi ripeteva che credeva nella forza del destino, non in qualche frase buttata in un libro. Due modi di affrontare il dolore diversi. Il suo pianto però sul cuscino, durante la notte, non lo posso dimenticare.
La mattina ci guardavamo e lei mi rimproverava per luce accesa durante la notte! Per le mie registrazioni vocali o di cosa avevo compreso studiando, mi diceva: "Ti lamenti di noi africane, del fatto che siamo rumorose, che io canto troppo e tu sei la prima che non mi concede nemmeno di piangere al buio". Facevamo qualche lezione di italiano, questa frase la ripeteva spesso e perfettamente, poi ridevamo come stupide.
Ricordo che le dicevo che le lacrime al buio fanno paura, diventano enormi. Lei rideva, mi diceva:"Non capisco". Chissà se capiva o fingeva di non capire. Poi, come da copione, mi chiedeva cosa si prova a partorire, cosa si prova ad allattare, voleva vedere le foto di Ludovica, mi diceva che era bella come il sole, che avrebbe fatto un mare di treccine sui suoi lunghi capelli.
Spesso mi ripetevo che ero fortunata, una figlia l'avevo, stavo perdendo ulteriore tempo senza trascorrerlo con lei! Quanti pensieri, molte volte non sapevo nemmeno io cosa fosse la cosa giusta da fare, in fondo nessuno lo sa. Rosa, però, non mi giudicava, capiva la mia ricerca di ulteriore felicità, lei invece sapeva che in quel momento il suo era un destino ingrato.
Il marito non è mai venuto a trovarla, in pratica l'aveva lasciata ed era "scappato" dopo il suo ultimo ricovero. Mi disse poi, che forse era in Belgio... con una sua "amica". Lei non voleva parlare di questo argomento, sorvolava e io rispettavo, quindi lì era sola.
C'era una dolce signora sui sessant'anni che le faceva visita, l'aiutava a lavarsi, le portava dei dolci. Era una mamma che aveva perso la figlia trentottenne di tumore
un anno prima, si erano conosciute nell'autobus, lo stesso che portava lei al cimitero tutti i santi giorni e Queen (vero nome di
Battesimo di Rosa) a lavorare come badante per una signora malata di demenza senile.
Avevano entrambe dolori da condividere.
Si era affezionata a quella sfortunata ragazza in modo profondo. Rosa, come la chiamavo invece io, ringraziava sempre... che eleganza, noi non lo facciamo così spesso, per lei era facile come respirare. Fortunatamente, poi, il tempo anche con lei fu clemente, le regalò una bimbetta riccia, rotonda e deliziosa.
il nuovo amore di Queen era un bravo ragazzo, un italiano che lavorava sodo e la trattava da vera "Regina". Finalmente, il suo sogno lo aveva realizzato. Per me, purtroppo la battaglia non era che all'inizio. Durante il mio "soggiorno obbligato, solo a una cara amica avevo permesso di farmi visita, l'unica alla quale permettevo di guardarmi negli occhi.
Sembra strano, avevo subito il mio secondo aborto, eppure mi sentivo addosso un senso di vergogna, paura, come se per la prima volta mi sentissi vulnerabile. Ero forse stata "azzardata" a ricercare una gravidanza in modo troppo rapido dopo il primo aborto? I sensi di colpa erano continui, avevo intorno a me chi cercava di darmi sostegno, forse nel modo per me meno delicato.
Tornai a casa dopo il secondo doloroso aborto con il mio trolley, lo stesso che usai anni prima per la nascita di Ludovica, la mia primogenita. Mai avrei pensato di poter provare dolore nel contemplare un oggetto così banale. I miei cari, per primi, mi dicevano, dopo due aborti, di lasciar stare, di dedicarmi al lavoro, per quello in fin dei conti ero portata. Dovevo forse credere che fosse un segnale divino gli sventurati eventi?
La difficoltà estrema, per chi ha subito un trauma di questo tipo, è cercare di sollevare gli altri; subentra in noi, per chi generalmente viene considerato "forte", quell'atteggiamento per cui non deve deludere gli altri e che la gente si aspetta da te, sempre e comunque.
Per assurdo, chi generalmente viene considerato più emotivo, fragile o meno portato a gestire almeno in apparenza situazioni simili, viene avvolto in una sorta di coperta di "Linus": alcune volte avrei voluto sprofondarci pure io. Mi credete se vi dico che spesso mettermi in ascolto di chi aveva dei problemi mi faceva non pensare?
I problemi altrui che dovevo risolvere, le amiche abituate alla mia spalla... così mi scaricavo di pensieri e mi caricavo nuovamente di quelli altrui. Non è vero, sapete, che chi lavora a contatto con il pubblico fa un lavoro di quel tipo perché è "solare". La realtà è che, se lo fa bene, qualsiasi sia l'ambito, è perché sa incassare i colpi. Io forse, dovevo fare quello, sia al lavoro che fuori.
Diventava ovvio, quindi, il loro chiedere: "Come stai? Tutto bene?", che equivaleva a "Ti prego, dimmi sì! Ho bisogno che ascolti me!". Pensare che quel loro briciolo di egoismo mi ha salvata. Certo, perché non pensavo, mi concentravos su di loro, volevo essere veramente un valido aiuto. Per carità, poi nel mucchio trovi le amiche che soffrono come e più di te, problemi a casa, lutti, problemi al lavoro, abituate anche loro a ruggire davanti al dolore.
Ti guardano e ti dicono: "Sì, sì benone". E' il coraggio di chi ogni giorno lotta per non far pesare agli altri il dolore o pensa che, semplicemente, non dicendolo ad alta voce il problema forse possa sparire. Nessuno dovrebbe subire, però, un
castigo simile.
Intendo l'aborto, non le amiche... ( in teoria, dovreste ridere).
Mi chiedevo: "'Perché capita a me?". In realtà, io sono sopravvissuta al dolore, incanalando le perdite in una lotta con me stessa, andando a fondo per capire cosa nel mio corpo non funzionasse. In fin dei conti avevo già procreato, non ero nemmeno così avanti con l'età, eppure, con il tempo, i miei quattro angeli mi hanno salvata. Ognuno di loro, purtroppo si è sacrificato, per farmi avvicinare ai vari specialisti, alla diagnosi e alle cure.
Più di una volta, mi è stato detto, le morti improvvise, nei letti, i famosi "infarti" spesso sono trombi, non diagnosticati, problemi pressori, tanti fattori collegati. Il sentirmi ripetermi che forse ai 40, 45 anni non sarei arrivata mi fa venire i brividi.
Purtroppo, la strada non è stata in discesa, ma è stata un saliscendi continuo. Cambiai ginecologa, dopo il secondo aborto questa mi sembrava competente, iniziò a farmi fare degli esami di routine, pap test e venne riscontrata un'alterazione della flora batterica vaginale.
Non ero ancora informata bene come lo sono ora, ero ancora fiduciosa verso il prossimo, nonostante il dolore passato. Mi curai e pensai: "Tutto qui?". Mi disse che spesso gli aborti succedono per motivi futili. Non mi fece fare nessun controllo, eppure, dopo il secondo aborto, iniziai a percepire spesso un senso di gonfiore, dolore agli arti e una costante febbre sopra i 37.5 gradi , ormai convivevo con questo nuovo "status". Anche al lavoro, si rideva sul fatto che ero sempre acciaccata, ma presente, sempre.
Mi alzavo di notte con crampi allucinanti, testa che scoppiava, febbre costante e una bimba comunque che necessitava delle mie attenzioni. Non capivo cosa mi stesse succedendo, avevo dolori atroci e non capivo perché, ero intrattabile; quando si soffre o qualcuno tocca le corde della propria soglia di sensibilità, la reazione è istintiva, come l'ape che sa che non dovrebbe pungere, perché poi è finita anche per lei. L'istinto però ha sempre, purtroppo, la meglio, non è detto che sia giusto, ma ognuno sopravvive al dolore come può.
Io non mi sono mai lasciata investire dallo sconforto. Ancora oggi il mio motto è "mai arrendersi, nemmeno quando è finita". Perfino mia figlia lo ripete come un loop, devo dire che questo modo di vedere le cose aiuta. Anche se perfino l'ottimismo è genetico, se non nasci con le sequenze corrette, spronarti nel diventarlo, richiede energie.
Parecchie cose ho imparato nel tempo, non solo sulla fertilità, ma anche sulle malattie genetiche, sulla trombofilia. Ho in realtà compreso che non necessariamente devo subire consigli non richiesti e giudizi altrui. La vita mi ha portato ad essere più dura e selettiva, forse per vivere meglio non è obbligatorio sempre mediare, accettare ciò che ci viene detto dall'altra parte. Certo il rischio è poi di perdere anche degli amici. Ecco, perdeteli, rischiate, non lo erano già da prima, solo che non avevate il coraggio di tagliare.
Ad oggi consiglio vivamente a chi mi chiede supporto questa frase: "Ricordati di chi era al tuo fianco quando tutto andava male, perché la vera amicizia, i rapporti sinceri, puoi comprenderli quando tutto va a rotoli". Sembra banale, in realtà non lo è. E' meglio se condividi pezzi di vita con chi ha i tuoi valori o perlomeno non devi circondarti di persone effimere. Altra pillola di saggezza: se un rapporto di amicizia si chiude un motivo c'è, non riscaldate minestre, prese magari da quattro moine. L'amicizia vera non ti molla quando sei a terra, ti dice: "Se vuoi, quando vuoi, ci sono". Si litiga, si discute, ma se è reale, non ci si perde.
Questo permette di non disperdere energia positiva con chi non lo merita. Soprattutto, diffida di chi davanti fa grandi sorrisi ma, dietro la schiena, conficca i coltelli più acuminati. Se hai in tasca queste regole di sopravvivenza, nulla ti piega o quasi. Potrei sembrare cinica e rabbiosa, in realtà, ad oggi, mi sento libera e serena e la libertà a volte è un dono che dà ebbrezza, con tutti i risvolti del caso.
di Mari
(storia arrivata a redazione@nostrofiglio.it)