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Sclerosi multipla: ecco come sono diventata una Super Mamma

di mammenellarete - 15.02.2017 - Scrivici

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Fonte: Pixabay
Questa è la mia storia. Questi sono stati i 3 anni più brutti della mia vita, anni difficili che mi hanno dimostrato quanta forza interiore ho dentro, che donna coraggiosa sono, di quanto sia ottimista e di quanto il mio attaccamento alla vita sia forte. Questo tutto grazie al mio bambino, la mia ancora di salvezza in questo mare buio, lui che col suo sorriso ogni giorno mi fa dire: ”Ce la posso fare, questo giorno sarà mio!”.

Appena ho scoperto di essere incinta e ho deciso di rivolgermi a una clinica privata, dove lavora una dottoressa a detta di alcuni, bravissima nel suo campo.

Io abito in un paese di provincia, dotato di un ospedale, ma essendo il primo figlio, per lui volevo il meglio e decido di rivolgermi a lei.

Alla prima visita vediamo la camera gestazionale, una semplice macchiolina nera che stava per cambiarci la vita.

Il 19.07.13 alla seconda visita per vedere se ci fosse il battito mi dice:” Signora il battito c’è, ed è questo puntino che pulsa, solo che non si sente”.

Passiamo il resto della visita ad analizzare i problemi di circolazione del sangue di mio padre e ci saluta con un avvertimento: “Il primo figlio di solito si perde, ma lei stia tranquilla”.

Il 24.07 iniziano le perdite, corro al pronto soccorso del mio paese e il medico di turno che mi visita, mi dice che il bambino era troppo piccolo e che non era cresciuto come avrebbe dovuto, aggiungendo che non c’era il battito.

Dopo un paio di giorni, a mente un po’ più lucida ho collegato le cose, i problemi di mio padre e il fatto che il bambino non sia cresciuto.

Ho pianto, nel vero senso della parola, per la prima volta in vita mia.

Ad oggi mi sento responsabile per la morte di mio figlio, se avessi saputo le cose come stavano, se avessi avuto il sospetto di aver ereditato lo stesso problema di mio padre, non mi sarei stata con le mani in mano, avrei fatto di tutto per salvare la sua vita. Ma qualcun altro si è preso il diritto di tacere ed io ero troppo felice per rendermi conto di ciò che stava accadendo.

Con la dottoressa che mi ha firmato il foglio di uscita dall’ospedale stabiliamo di effettuare analisi approfondite dopo che le beta si siano abbassate.

Viene fuori quello che avevo capito, mutazione genetica ereditata, detto in parole povere, il sangue è troppo denso e non arriva al bambino, probabilmente sarebbe bastata una cardioaspirina

Tra le analisi c’è l’elettroforesi (che mio marito aveva già fatto e il suo medico gli aveva detto che era sano) e ci dicono che io ero sana e mio marito portatore sano.

Arriva il secondo figlio. A 8 settimane vengo ricoverata per minacce, chiedo al medico delle visite di turno il risultato delle mie analisi di routine e mi dice:” Tutto bene, lei è solo portatrice sana”, mi si è gelato il sangue nelle vene, passo il pomeriggio a piangere.

A 13 o 14 settimane mi aspetta la villocentesi e dopo 3 giorni mi dicono che il bimbo è portatore sano di beta talassemia. (Leggi anche: Talessemia, tutto quello che c'è da sapere)

Le perdite continuano abbondanti e passo a letto tutto il tempo, fino all’8° mese.

La sera prima della morfologica mi reco al pronto soccorso per le perdite e il medico che mi visita mi dice che non riesce a vedere lo stomaco del bambino.

Altra nottata in bianco.

Il giorno dopo alla morfologica, mi dicono che il bambino è perfetto ed è un maschietto.

Nel frattempo, visto la situazione, col mio ginecologo stabiliamo il cesareo, perché a detta di lui: “Il parto naturale sai come inizia ma non sai come finisce”.

Essendo entrambi portatori sani abbiamo diritto alla donazione dedicata del cordone ombelicale, ovvero la conservazione gratuita, che purtroppo si effettua solo nell’ospedale principale della provincia.

Quello che succede nell’ultimo mese di gravidanza è questo: il mio medico mi diceva che con lui non c’era più bisogno di fare visite perché da quel momento mi avrebbero dovuto seguire all’altro ospedale, dall’altra parte mi dicevano che non mi avrebbero potuto seguire e che sarei dovuta tornare dopo la 42esima settimana per fare il parto naturale, rifiutando categoricamente il cesareo.

Se mi chiedete come funziona l’ultimo mese di gravidanza, io non ne ho idea, non ho capito niente.

In tutto questo, senza sintomi, contraggo la mononucleosi ma non viene riconosciuta quindi non curata, inoltre a 40 settimane mi viene una parestesia facciale e finisco nel reparto di neurologia…

Continuo ad essere rimbalzata da una parte all’altra come una palla da ping pong, la mia fortuna è stata trovare dei medici, del mio ospedale, che hanno preso a cuore la mia situazione visitandomi e monitorando la situazione…

In tutto questo casino sento il bambino fare dei movimenti strani, spingeva verso il basso e tornava indietro come una molla, come se fosse trattenuto, a 41+3, temendo che fosse un giro di cordone intorno al collo, chiamo il mio medico, do di matto, dico addio alle staminali e mi fissa il prericovero per il giorno dopo, per fare il cesareo.

Il giorno dopo nasce mio figlio, e santo istinto materno, aveva il cordone attorcigliato al collo.

Io non ho sentito di rischiare, non dopo tutto quello che ho passato.

La sera del parto iniziano i problemi provocati da due anni pesantissimi, ho problemi di equilibrio e incontinenza, mi dicono che sono dovuti al cesareo e di avere pazienza.

Passano i mesi ma la situazione non cambia, a 7 mesi dal parto, nell’arco di 3 giorni perdo l’uso delle gambe, sentivo una sensazione strana, come un’anestesia che saliva dai piedi e in poco tempo ha raggiunto l’addome.

In 3 giorni sono passata da fare passeggiate di 2 ore al giorno a non poter camminare senza sostegno. Inizio a contattare medici e anche qui vengo rimbalzata da una parte all’altra, tra chi mi diceva che il tutto era dovuto al peso del seno (ho una VI) e che avrei dovuto contattare un esperto di malattie psicosomatiche, a chi mi avrebbe voluto operare immediatamente all’ernia cervicale, il tutto accompagnato da una carrellata di risonanze magnetiche, fatte senza contrasto perché secondo loro non ce n'era il bisogno.

Ad un anno dal parto ho la fortuna di trovare un medico che mi sa indirizzare, mi manda in un centro specialistico, dove mi fanno i potenziali evocati e il prelievo del liquor e mi mettono in attesa per l’ennesima risonanza questa volta col mezzo di contrasto.

Dalle risonanze fatte si evinceva la lesione al midollo, ma non si vedevano le lesioni al cervello, per questo motivo si ipotizzava una malattia demielinizzante rara, poco studiata e che non ha terapie al momento. Mi dimettono e torno a casa.

Ne parlo col pediatra, inizia ad indagare e mi dice che questa malattia si trasmette con la gravidanza, in parole povere c’era la possibilità che io e mio figlio saremmo finiti in sedia a rotelle nell’arco i pochi anni.

Dopo pochi giorni mi comunicano i risultati del liquor, positivo…

Per la seconda volta in vita mia ho pianto, non vi so dire se sia peggio avere un figlio perso o avere la salute di tuo figlio nelle tue mani e vedere che questa rischia di sgretolarsi e tu sei lì inerme senza poter far niente.

Arriva il giorno della tanto attesa risonanza e mi dicono che si tratta di Sclerosi Multipla: non potete capire la gioia che ho provato.

Per quanto riguarda questo, mi hanno salvato due grandi donne che lottano contro questa malattia da più di 20 anni, mi hanno fatto capire che essa si nutre di stress, ansia e negatività.

Ho fatto mia la frase che erroneamente si attribuisce a Darwin:

“Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento”.

Ho fatto un lavoro interiore notevole e difficile, ho cambiato radicalmente il modo di concepire la vita, da mamma con Sm sono diventata una Sm ovvero un Super Mamma.

Ho trovato la terapia giusta per me, sono ritornata a camminare e nonostante le varie difficoltà vivo la mia vita in pieno.

Ho imparato ad ascoltare il mio corpo e a dare delle priorità, passare il tempo a disposizione che a volte ho prima che la stanchezza prenda il sopravvento con mio figlio e non con il cesto di panni da stirare.

Forse sarò un’incosciente o essendo all’inizio della malattia ancora non l’ho provato in pieno e non ho la minima idea di quanto più in là rischia di diventare pesante. So che probabilmente il giorno del matrimonio di mio figlio non potrò fare un lento con lui perché sarò in sedia a rotelle, ma ora la mia priorità è far vivere a lui un’infanzia felice, dimostrandogli che si può vivere e non sopravvivere, nonostante le avversità.

Questa è la mia storia… questi sono stati i 3 anni più brutti della mia vita, anni difficili che mi hanno dimostrato quanta forza interiore ho dentro, che donna coraggiosa sono, di quanto sia ottimista e di quanto il mio attaccamento alla vita sia forte.

Questo tutto grazie al mio bambino, la mia ancora di salvezza in questo mare buio, lui che col suo sorriso ogni giorno mi fa dire: ”Ce la posso fare, questo giorno sarà mio!”.

di mamma Himika

Storia arrivata come messaggio privato sulla pagina Facebook di nostrofiglio.it

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