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Rinascere dopo una forte depressione, si può

di mammenellarete - 30.05.2016 - Scrivici

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Ho vissuto una forte depressione, causata dal vortice in cui sono finita dopo la morte della mia mamma. Avevo solo 13 anni quando se n'è andata. Un giorno ho avuto dei maledetti attacchi di panico e sono finita in ospedale. Ma ce l'ho fatta, grazie anche alla mia famiglia. Gli attacchi di panico non ci sono più e adesso ho imparato ad accettare che le cose vanno come devono andare. A non creare aspettative inarrivabili. Ho imparato che a volte le cose non vanno come tutti si aspettano. E che non devo essere sempre forte per tutti. Che quando ho bisogno devo chiedere aiuto. Non pensavo che proprio io sarei potuta cadere in questa brutta malattia. Eppure ne sono uscita.  

La maggior parte della gente vede la depressione come una debolezza.

 

Io, avendola vissuta, posso dire che è una vera e propria malattia. E che come ogni malattia va curata nel modo corretto. La mia storia cominciò quando io avevo 13 anni: dopo due anni di una grave e rara malattia, mia mamma morì all'età di 32 anni.

 

Lasciava me, che avevo 13 anni, mia sorella di 14, mio fratello di 2 e mio papà. Eravamo una famiglia bellissima ed era lei che aveva creato tutto, lei che sosteneva tutto. Una mamma da telefilm. Per fortuna vicino a noi viveva mia nonna materna, che fu basilare nella crescita di mio fratello e molto d'aiuto nella nostra. Anche se molto presente e indispensabile, certamente non sostituì mia mamma.

 

Mio papà dopo la morte della moglie non seppe riprendere in mano la sua vita. Perché mia mamma era il perno di tutto. Io sono sempre stata una bambina/ragazza in perenne confronto con la sorella maggiore, che si sentiva sempre inadeguata, anche se ugualmente era molto affiatata.

 

Ero anche sempre in conflitto con mio papà perché lui dopo la morte di mia mamma non seppe ricoprire il suo ruolo. Io e mia sorella crescemmo praticamente da sole, con a carico un bambino, che poi divenne presto un ragazzo.

 

All'età di 21 anni incontrai dove lavoravo un ex compagno delle elementari. Cominciammo a frequentarci e nacque l'amore. Ma eravamo molto diversi. Grande passione, amore, ma anche grandi litigate, pianti, ecc. Mia sorella l'anno dopo si sposò con un uomo fantastico. Lei aveva 23 anni, lui 25 anni.

 

Sempre stati un esempio per me e il traguardo cui attualmente voglio arrivare. Il mio ragazzo mi lasciò dopo tre anni. Lui non riusciva a condividere con me l'attaccamento ai miei fratelli e a mia nonna. Neanche in questo caso si può capire una cosa se non la si vive.

Tra tira e molla però, tornammo assieme.

 

Altri tre anni e mia sorella rimase incinta del suo primo figlio. Io mi innamorai di mio nipote. Attualmente sono come sempre molto presenti nella mia vita. Io iniziai a desiderare anche una famiglia mia e cominciai a pressare il mio ragazzo.

 

Fino a quando, tra tira e molla, lui che voleva vivere una gioventù che non aveva vissuto al momento giusto, io che volevo qualcosa di più, lascio io. Desideravo di più. Nel frattempo nel lavoro avevo assunto un ruolo di responsabile: non riuscivo più a ricoprire questo ruolo al 100% , la testa era da un'altra parte.

 

Una collega tentò di farmi le scarpe. Cercai di non far capire a nessuno la delusione. Il sentirmi fallita. Dopo 7 anni tutto finì. Tutti i miei progetti. Avevamo già costruito casa. Stesso paese. Amici in comune che ti dicevano che sapevano che non avrebbe potuto funzionare.

 

Mia sorella mi diceva che avrei potuto trovare di meglio. "Conoscenti" che mi dicevano che lui frequentava già un'altra e che frequentava brutte compagnie. Io uscivo con le amiche, mi divertivo, evitavo di pensarci.

 

Ci vedemmo di nascosto qualche sera. Io cominciai a perdere peso a vista d'occhio, mangiavo e vomitavo. Persi 10 kg in un mese. Andai dal dottore, che mi disse che era un'enterite. Non riuscivo ad andare al lavoro.

 

Non ne avevo la forza. Appena entrai nel luogo di lavoro, mi mancò l'aria. Se c'era troppa gente, non riuscivo a stare. Cominciai a non uscire più. Avevo paura anche di guidare. Poi una notte, quella notte.. Alle 4 mi svegliai di scatto. Mi mancò l'aria. Non sentivo più le gambe. Pensai ad una paralisi. Mi trascinai a stento in camera di mio papà. Non avevo la voce per chiamarlo. Mi sentivo la gola che mi stringeva.

 

Andai di corsa al pronto soccorso dove rimasi per 12 ore.

Ero semi-incosciente. Deliravo e mio papà restò sempre accanto a me. Piangeva, sentendosi in colpa. Fu il mio primo attacco di panico. La sera venne lui a trovarmi: mio papà l'aveva avvisato.

 

L'unica cosa che riuscivo a dire era: "E' colpa tua". Lui piangeva e mi diceva: "Ricostruiremo tutto, tu pensa a star bene". Ritornai a casa, ma non uscivo quasi mai. E avevo altri piccoli attacchi di panico. Mia sorella veniva tutti i giorni, mi portava a camminare all'aria aperta.

 

Mi guardò negli occhi e mi disse: "Hai gli occhi vuoti. Domani mattina ti porto dal dottore". Andammo e lui mi mandò da uno psichiatra all'Asl. Ci andai consapevole di aver bisogno di aiuto. Mi sedetti davanti a lui. Mi guardò, ma io non riuscivo a parlare. Lui mi disse: "Signorina non sono venuto io da lei. Mi dica, perché è qua ? Due sedute a settimana, per 6 mesi".

 

E piano piano ripresi in mano la mia vita. Ritornai al lavoro dopo un mese, in un altro posto... Ricominciai ad uscire con il mio ex. Lui diceva di essere cambiato, diceva che voleva un futuro con me. Una famiglia. E che aveva capito che la sua vita senza di me non valeva niente. Andai con calma. Non rientrò in famiglia.

 

Lui si sentiva a disagio e io anche. Lo psichiatra non mi spiegava niente, mi ci faceva arrivare da sola: la storia con il mio ragazzo era solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Un vaso che avevo cominciato a riempire quando era morta mia mamma. Il bisogno di avere tutto sotto controllo. Che tutto andasse secondo i piani. Secondo le idee della società.

 

Adesso ho imparato ad accettare che le cose vanno come devono andare. A non creare aspettative inarrivabili. Ho imparato che a volte le cose non vanno come tutti si aspettano.

E che non devo essere sempre forte per tutti. Che quando ho bisogno devo chiedere aiuto. Che c'è qualcuno sempre accanto a me. La mia famiglia. E che sono debole. E non forte come tutti e anch'io credevo.

 

Adesso siamo sposati da 2 anni. E da 25 giorni è arrivata la cosa più bella della mia vita... Nostra figlia. Eravamo molto preoccupati perché con una depressione alle spalle ero tendenzialmente portata a soffrire di depressione post partum. Ma così non è stato.

 

Grazie anche ai consigli e all'aiuto di mia sorella e di mia nonna. Sempre presenti. Sempre pronte a darmi consigli, ma solo quando richiesti. E ad un bambina bravissima che mangia e che dorme bene. E se anche abbiamo affrontato qualche notte in bianco, l'abbiamo affrontata serenamente.

 

Perché al mattino c'era sempre qualcuno pronto ad aiutarmi. Non mi aspetto di essere una mamma perfetta. Faccio il mio meglio. E poi guardo lei. Così piccola, ma per me una cosa così grande. Mi chiedo sempre come io, proprio io, abbia potuto fare una cosa così bella e immensa.

 

Mio marito sta imparando a fare il papà. E questa cosa non è così scontata. Cresciamo insieme, sempre litigando un po'. Abbiamo due teste dure, ma se in quei giorni non avessi avuto mia sorella e mia nonna, che mi costringevano ad uscire. Che mi hanno portato dal dottore. Non pensavo che proprio io sarei potuta cadere in questa brutta malattia. E se quel giorno mia sorella non avesse visto i miei occhi vuoti, io non li avrei visti.

 

di Valentina

 

(storia arrivata alla pagina Facebook della redazione)

 

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Aggiornato il 06.07.2017

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