Ho vissuto in Tunisia gli ultimi 5 anni per lavoro. Ho conosciuto la realtà degli italiani là residenti per lavoro e di quelli nati e cresciuti lì da generazioni. Ho conosciuto la realtà sociale tunisina dei quartieri modesti, vivendo dapprima fuori città e successivamente la realtà dei quartieri "bene" quando mi sono trasferita nella Capitale.
C'era e c'è una grande cattedrale cattolica proprio in centro a Tunisi e una sinagoga tra l'altro, così come cliniche all'avanguardia e centri estetici ad ogni angolo. E tante banche! Mano a mano che passava il tempo, aumentavano le mie amicizie, la conoscenza del territorio. Ripresi anche a parlare francese che avevo studiato al liceo.
Ho imparato a destreggiarmi coi trasporti, uffici amministrativi, banche, spesa al souk (mercato popolare) e spesa nei grandi centri commerciali. Piano piano ho iniziato a sentirmi "tunisina" anche io, e quando comunicavo a casa in Italia con amici e parenti, raccontando loro come stessi bene, nessuno mi credeva (vittime com'erano dei soliti luoghi comuni sul velo, la religione, ecc.)!
Ho imparato poco l'arabo (tunisino), ma quel poco mi rendeva fiera. Con la gente tunisina mi sono integrata benissimo da subito, stando attenta alle normali regole di comportamento (e di buon senso) che dovevo adottare in quanto straniera: non esibire denaro; vestire in maniera consona e rispettosa delle usanze locali, al mare come in città; non uscire da sola di notte se non accompagnata (nonostante all'epoca ci fosse ancora il dittatore Bel Ali che garantiva sicurezza e protezione agli stranieri a suon di ronde di polizia).
In particolare ricordo l'attenzione nel periodo di Ramadan a non mangiare/bere davanti alle persone del posto, a non consumare i pasti in terrazza, ma dentro casa, e tante altre piccole cose che non mi disturbavano affatto.
Ricordo le cene dopo l'ora di IFTAR ("ropture" in francese, cioè la rottura del digiuno giornaliero) con tavole imbandite di ogni bene: la "chorba frik" ( una speciale minestra d'orzo), il "brik" (triangolo sottile di pasta croccante fritto, farcito di tonno, uova e formaggio), la "tajine" (frittata in diverse varietà, unica cosa che ho imparato a cucinare bene!), la "salsa Mloukia" (che pareva petrolio! ma buona da non credere!) , le "dita di Fatima" (involtini di pasta sfoglia ripieni di carne, formaggio, spezie) e tante altre cose buone.
Ricordo le famiglie numerose riunite a tavola, a mangiare, bere, ridere e festeggiare dopo il digiuno giornaliero, che in estate con le alte temperature della Tunisia era davvero duro. Ricordo la gente che usciva al fresco della sera a fare festa in strada e ad incontrarsi con gli amici per un tè alla menta o un caffè arabo (per non parlare delle interminabili e assordanti feste di "mariage", cioè di matrimonio, che seguivano al periodo di Ramadan, che la gente faceva sui tetti delle case grandi o nei giardini delle ville).
Devo anche dire che a fianco di gente tunisina devota che seguiva il mese Ramadan alla lettera, ce n'era altra che mangiava, beveva e fumava di nascosto (anche in aeroporto) . Questo in gran parte succedeva, e succede tutt'ora, perché non viene accettato dal pensiero comune chi tra gli arabi-musulmani non fa il digiuno. Tant'è che ci sono esercizi pubblici che in questo periodo rifiutano di servire i tunisini!
Ora che sono tornata in Italia da un paio di anni per via della maternità mi manca tutto questo, il calore della gente, l'odore delle spezie, i datteri, i tatuaggi all'henné, i vicoli intricati della Medina, le caotiche strade della capitale, le palme e il mare cristallino, i cammelli.
..
Vorrei di cuore trasmettere queste magiche sensazioni a mio figlio; vorrei che imparasse bene la lingua araba per comunicare coi suoi parenti paterni e come arricchimento culturale personale; vorrei che riscoprisse i legami famigliari, così stretti in Tunisia e l'accoglienza calorosa verso gli ospiti, dimenticando che sono "stranieri". La Tunisia: un luogo così simile e così diverso dall'Italia. Un posto dove le persone spesso hanno poco, ma te lo donano col cuore.
di Fedora S.
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