All'età di 17 anni mi fidanzai con un ragazzo. Stavamo insieme da sei mesi e io ero innamoratissima. Lui era più grande di ne: aveva 24 anni. Decisi che la mia prima volta volevo fosse con lui. Ma il destinò giocò le sue carte. Si ruppe il preservativo.
Panico. Rimasi incinta. Non volevo abortire e non avevo ben chiaro cosa volesse fare lui. Ma lo dicemmo ai nostri genitori e decidemmo di sposarci. Io però dovevo aspettare di essere maggiorenne. Rimasi incinta a marzo e avrei compiuto 18 anni ad agosto.
Nonostante tutto ero felice. Ero innamorata di lui. Cosa c'è di meglio che sposarsi e avere un figlio dalla persona che ami? Anche lui sembrava felice almeno da quel che diceva a mia madre e in giro. Lui iniziò a sistemare l'appartamento sopra casa dei suoi, per poter poi ospitare me, lui e il bambino.
Comprò i mobili, io lo aiutai come meglio potevo. Ma stavo ancora studiando. Feci gli esami di stato di terza superiore mentre ero incinta del mio bimbo e poi decisi di fermarmi, anche perché la mia vita stava cambiando. Anzi era già cambiata.
Arrivò l'8 agosto: facemmo consenso in comune e decidemmo la data per il matrimonio. Sarebbe stato il 24 settembre del 2005. Cominciammo però ad avere delle discussioni anche perché io ero piccina. Il mio carattere era ancora in formazione e mia mamma mi dava dei consigli su come poter affrontare la vita con lui. Avevo gli ormoni che in quel periodo facevano un po' quello che volevano.
A settembre io ero incinta di quasi sei mesi. Dopo l'ennesima incomprensione lui mi disse che doveva pensare, che non era più sicuro e che preferiva una convivenza. Inoltre mi disse che aveva anche paura che io facessi quel passo per denaro, anche perché lui e la sua famiglia stavano un pochettino meglio di me.
A quel punto mi sentii umiliata e gli dissi che se questo era tutto l'amore che provava per me era inutile anche una convivenza, che gli avrei dato tempo di pensare e che se si rendeva conto che davvero ci teneva a me e questo bimbo noi l'avremmo aspettato.
Mi cadde il mondo addosso: tutto quello che avevo sognato fu distrutto in un attimo. L'amore della mia vita stava sparendo di colpo. Da quel giorno non lo vidi più, (a parte il giorno dopo il mio parto) fino a due anni fa. Dopo che sparì dalla mia vita, iniziò a mandarmi un SMS alla settimana con il testo: "Ciao, come va? Come sta il bambino?". Fino ad arrivare a un messaggio ogni due settimane... Il tempo passava e, giorno dopo giorno, arrivò la data del parto. Io mi ero informata: avvocato e ostetriche mi avevano detto di tutelare il bambino e di dargli il mio cognome. Se lui avesse voluto, avrebbe potuto aggiungere il suo cognome o riconoscerlo comunque. Il 16 dicembre nacque mio figlio.
Al "padre" lo comunicai il giorno dopo. Lo venne a vedere dalla vetrata e qualche giorno dopo mi chiamò dicendomi cosa avrebbe dovuto fare. Io gli dissi semplicemente che il bimbo aveva il mio cognome e che, se aveva intenzione di riconoscerlo, poteva informarsi con l'avvocato. Quella fu l'ultima volta che si fece vivo. Io iniziai a vivere la mia vita insieme a mio figlio e mia madre.
Ringrazierò per sempre mia madre, perché se non ci fosse stata lei non so come avremmo fatto. Gli anni passavano e nessuno si faceva vivo, finché un giorno, all'età di sette anni, mio figlio mi chiese perché lui non aveva il papà.
In quel momento non seppi cosa rispondere. Io avevo ancora il suo numero di cellulare in testa.
Decisi di provare a contattarlo con un messaggio. Mi rispose che non aveva più il mio numero. Un'altra botta.
Gli dissi che avevo bisogno di incontrarlo perché avevo bisogno di risposte a tante domande. Lui ci dovette pensare due mesi prima di dirmi che ci potevamo vedere. Il percorso che decisi di intraprendere per mio figlio (cioè contattare il padre) era seguito passo passo dalla psicologa di mio figlio. Quando ci fu l'incontro quello che mi disse lui fu: "Sapevo che prima o poi ti saresti fatta sentire".
Peccato che erano passati quasi otto anni. Lui sapeva dove abitavo, dove lavoravo e gli amici che frequentavo. Io pensai: "Ma sei sparito e mio figlio è cresciuto senza un padre vero e... tu mi dici che sai tutto di noi?"
In quel momento pensai solo a mio figlio, perché la mia reazione istintiva fu quella di andare via senza più voltarmi. Decise di conoscere il bimbo, ma prima parlò con la psicologa perché doveva sapere come comportarsi. La psicologa scoprì che lui era stato influenzato dalla madre, che non aveva mai voluto il nostro matrimonio. In poche parole, lui era uno senza carattere e aveva fatto "vincere la madre".
Sono passati quasi due anni da quando mio figlio e il padre vero si sono visti per la prima volta. Ancora oggi non c'è un riconoscimento effettivo. La priorità di lui ancora oggi non è suo figlio, ma è finire di costruire la casa con la sua attuale compagna.
Io, sempre per il "quieto vivere" di mio figlio, non alimento polemiche. Penso solo al fatto che il bimbo è contento finalmente di essere come gli altri bambini che conosce, cioè di sapere che ha un papà vero.
Io ora ho 28 anni. Mi sono sposata con un altro uomo e aspetto un secondo bimbo. Mio marito fa il papà a mio figlio ed è sempre presente per qualsiasi cosa.
Il suo vero padre ancora non lo fa: non è la sua priorità. Spero solo che un giorno si renda conto di quanto ci ha fatto soffrire.
E spero che anche sua madre si renda conto di ciò che ha combinato in passato, pensando che io volessi sposare il figlio solo per il denaro. In dieci anni di vita di mio figlio non ho ancora chiesto un centesimo a loro. A mio parere la paternità non è biologica, "padre" è chi cresce ed educa i figli. Ho comunque voluto dare la possibilità a lui e alla sua famiglia di far parte in un modo tutto loro della vita di mio figlio.
di mamma Alessia
(storia arrivata sulla pagina Facebook di Nostrofiglio.it)
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Aggiornato il 30.11.2017