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Mamma Simona: rigurgiti di creatività

di mammenellarete - 21.09.2009 - Scrivici

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Con due figli piccoli e il lavoro, che ripresi quasi subito dopo il parto, di tempo per fare altro ne rimaneva pochissimo.

Eppure la mia fame di creatività che, per alcuni mesi, sembrava soddisfatta dalla doppia maternità, ritornò improvvisamente a tormentarmi una mattina uggiosa di novembre.
Mi svegliai di soprassalto, come in preda a un sonnambulismo visionario.
Scarmigliata e con gli occhi incollati dal sonno mi gettai sul computer, senza sapere ancora - almeno a livello cosciente - cosa avrei scritto.

 

Cominciai a battere sui tasti come una forsennata e non mi fermai finché non fu l’ora di svegliare i piccoli e prepararli per la scuola.
Il pomeriggio, rientrata dal lavoro, ripresi a scrivere fino all’ora di andare a prendere i bambini.

 

La sera, dopo cena, mollati i figli al consorte, ripresi la mia instancabile attività.
Fu così per molti giorni, addirittura per mesi. Era iniziata l’odissea dei miei cari, saliti con me sulla nave di un’ispirazione perpetua.
E questa nave era spesso in preda ai marosi: “tutti fuori dallo studio” urlavo senza alcuna pietà per le faccine impaurite dei bambini “non voglio nessuno tra i piedi per almeno tre ore”.
Mio marito mi stava alla larga, studiando da lontano la mia espressione da Menade nel bel mezzo di un Baccanale.

 

Una sera mi disse: “se continui così, io e i bambini ce ne andiamo”.
Io gli risposi, implorandolo: “sopportatemi ancora un po’ di tempo, non mi manca molto per finire la prima stesura, poi tutto sarà più facile”.

 

Che cosa stavo scrivendo con tanta foga, mettendo a repentaglio la serenità della mia famiglia? Una raccolta di racconti sulle persone che avevo conosciuto negli ospedali e negli ambulatori dei medici ai tempi del mio girovagare clinico, e sulle loro patologie.

 

I ricordi dei loro discorsi su come la vita cambiasse per sempre, in seguito a una patologia neurologica o neuropsichiatrica, si erano acquattati per mesi in un anfratto del mio cervello, e adesso tornavano tutti fuori, insieme a una galleria di volti giovani, anziani, di mezza età, dallo sguardo intensificato dal male o perso dietro ai fantasmi creati dalla loro mente.

 

E tutti, tutti questi volti, mi chiedevano a gran voce di scrivere di loro, che almeno la loro difficile esistenza, i sogni interrotti, gli amori perduti, le speranze ritrovate e perse non venissero inghiottiti dal limbo dei continui ricoveri e delle emergenze da gestire, che la patologia imponeva.

 

Com’è ovvio per chi scrive, tutelai la privacy delle persone che avevo realmente conosciuto: presi solo spunti dalle loro storie e poi le articolai con la mia fantasia, inventandomi intere esistenze, teorie di familiari di vario grado, storie d’amore infelici o difficili e chi più ne ha più ne metta.

 

Ogni tanto avevo delle crisi, che mio marito doveva placare prima che si trasformassero in attacchi di panico: “i racconti fanno schifo, non troverò mai un editore, non piaceranno a nessuno” dicevo fra i singhiozzi. Lui mi diede un suggerimento che si rivelò valido: “a me piacciono, ma io sono di parte. Devi trovare un lettore autorevole e obiettivo che ti dica il suo parere senza mezzi termini”.

 

L’idea mi attraeva e mi terrorizzava insieme, ma ero anche spinta a cercare una via d’uscita dal calvario che stavo infliggendo alla mia famiglia.
Mi rivolsi, in preda a un’ansia da conato di vomito, a una celebre editor padovana, una giovane donna, bella e con una forte carica umana. Quando la incontrai, seppe mettermi subito a mio agio, mi promise di leggere i racconti e di essere, con me, sincera fino alla durezza, nel caso occorresse.
I giorni che passarono dopo la consegna dei racconti furono una tortura cinese per me, e per la mia famiglia di conseguenza.
Quando l’editor mi chiamò per comunicarmi l’esito delle sue letture, le gambe mi facevano “giacomo giacomo”. Il responso fu positivo, un po’ di editing e poi si poteva tentare di proporre i racconti alle case editrici.

 

La mia gioia era insostenibile.

Per settimane divenni una madre e una moglie ideale, non toccavo più la tastiera, ma preparavo pranzi e cene da grande chef per cercare di farmi perdonare l’abiezione in cui ero caduta nei mesi precedenti.

 

La felicità toccò lo zenit quando, dopo solo un mese di tentativi, trovai l’editore disposto a pubblicarmi.

 

Simona Castiglione

 

Storie senza fine

 

Com’ è cominciata la storia di Mamma Simona? Ecco il riassunto delle vecchie puntate!

 

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