Un anno passato a fare visite dai medici, ricoveri ospedalieri, lunghe e costose sedute osteopatiche o di agopuntura, risonanze magnetiche, tac, pet, spet, dat scan, tic tac e din don dan. Non so quante radiazioni assorbii quell’anno, non so più quanti medici, vedendo i miei esami, scossero la testa dicendo che non c’era niente di oggettivo. Cominciai a pensare di essere pazza, mi beccai la mia bella depressione reattiva e fui portata da mio marito a consulto da un notissimo luminare milanese. Il luminare era costosissimo, svolgeva la sua attività privata in un lussuoso studio in centro città, ed era molto avanti con gli anni. Questo mi rassicurava e mi dava l’idea che avesse un’esperienza almeno degna della sua fama.
Non so perché né come, ma ebbi un rigurgito di lucidità, pensai che il pazzo fosse lui, che forse era già in preda alla demenza senile. Non dissi nulla, ringraziai per le succose ipotesi diagnostiche, mi feci svuotare il portafogli dalla segretaria e uscii. Appena fuori dissi a mio marito che dovevamo consultare un medico brillante, ma più giovane, al passo coi tempi, che forse avrebbe formulato ipotesi diverse. Lui fu d’accordo con me.
“Ma che sclerosi e parkinson, signora bella, il suo caso è molto più semplice di così: lei soffre di una distonia al piede sinistro, neanche molto grave e curabile con la fisioterapia e i farmaci adatti”. Non so più quante volte lo abbracciai, sussurrandogli nell’orecchio che era un dottore meraviglioso, forse fino al momento in cui mio marito mi staccò da lui dicendomi che se continuavo così avrebbe chiesto il divorzio. Uscita dall’ospedale, ancora zoppa ma felice, cantavo a squarciagola “distonia, dolce amica mia…” facendomi ridere dietro dai passanti. Ma non me ne importava. Non ero condannata alla sedia a rotelle, avrei ancora potuto passeggiare mano nella mano con la mia bambina e con mio marito.
Ero pronta a rinascere dalle mie stesse ceneri...
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