I suoi occhi non erano magici alla nascita, anzi erano occhi marroni, tanto comuni che sua madre si rammaricò che non avesse preso quelli del padre, di un bel verde acquamarina. Per altri versi, la signora Mariella Galli in Luzzardi sperava con tutto il cuore che la bambina, nata in otto mesi, non avesse preso altre parti del consorte.
Aveva fretta, Adele, di venire al mondo, ma la sua precocità dovette pagarla con continue bronchiti e polmoniti nel corso dell’infanzia e non solo. Si dice che chi nasce di otto mesi avrà per tutta la vita problemi a respirare: Adele ha fatto la sua ultima broncopolmonite sei mesi fa, alla tenera età di sessantatre anni.
Quando Mariella se la portò a casa dall’ospedale e la paragonò alla sorella maggiore, Annina, bionda con gli occhi grigi e l’incarnato rosa, rimase un po’ delusa: Adele aveva la pelle scura, da “terrona”, e una massa di capelli neri e scompigliati. Certo, non potevano assomigliarsi troppo due sorelle nate da padre diverso. Così Mariella fece di necessità virtù e, in breve tempo, quella strana neonata che già dal suo terzo giorno di vita le rivolgeva larghi sorrisi divenne, per lei, la più bella bambina del mondo.
A nove anni, durante gli interminabili pomeriggi estivi, Adele si aggirava per i campi dietro casa sua, al Lorenteggio, con uno stuolo di bambine più piccole, dai quattro ai sei anni. Le portava dentro una delle tante case in costruzione del circondario e giocava con loro alla scuola.
Lei, nel gioco, era la maestra, solo che alle bambine insegnava cose vere: canzoni, filastrocche, poesie e anche un po’ di matematica. E com’era orgogliosa quando la più piccola, Ilaria, riusciva a ricordare a memoria un’intera poesia!
Tuttavia, le signore del vicinato non vedevano di buon occhio questa sua attività e, un bel giorno, la più anziana di loro, la Fumagalli, andò a parlare con mamma Mariella.
“Tua figlia è strana, mi dispiace ma devo dirtelo” esordì mentre aspettava che il caffè offertole si raffreddasse un po’. “Perché dici questo?” disse Mariella soffiando sulla tazzina la sua rabbia ben nascosta. “Ha quasi dieci anni e passa tutto il suo tempo in giro con bambine più piccole, perfino con l’Ilaria che va ancora all’asilo.
Ma dico io, non ti aiuta neanche un po’ in casa? Non ha il suo da fare?” “Certo che mi aiuta, ma fa in fretta e poi corre a giocare”. Mariella controllava a fatica la voglia di dirle “pussa via, vegia strega”. Sapeva, nella sua posizione, di dover essere cortese se voleva mantenere un buon rapporto con le famiglie vicine. “Be’, fai bene a darle un po’ più da fare, perché ormai è una signorina. Che lasci giocare le bambine piccole fra loro!”
“Va bene, Carla, proverò a convincerla, ma sai che è testa dura” “devi farlo per il suo bene, che non si ritrovi a sedici anni a pensare con la testa di una bambina piccola”.
Mariella faticò a calmarsi, quando Carla uscì: dalla nascita di Adele aveva pregato ogni giorno che dio mandava in terra che la bambina fosse “normale di testa”.
Ormai era certa che in Adele non c’era nulla di strano.
Tuttavia certe allusioni non mancavano di gettarla in un inferno di rabbia, da buon segno di fuoco qual era. Si sentì costretta a ordinarle di smettere con i suoi pomeriggi di “insegnamento”. Aveva faticato troppo per fare accettare la sua famiglia “scandalosa” dal vicinato, e non aveva intenzione di mandare tutto a monte per i capricci della figlia minore.
Ma Adele di capricci non ne faceva.
Obbedì alla madre, come al solito senza neanche chiedere spiegazioni. Una Gemelli sa passare senza batter ciglio da un interesse a un altro: da allora spese gran parte delle sue giornate alla biblioteca comunale, a leggere tutto ciò che le capitava a tiro>. Un po’ capiva un po’ no, ma le parole scritte le sembravano tutte bellissime, molto più belle delle parole dette e molto meno dolorose, anche quando, a volte, raccontavano i dolori degli altri.
A quattordici anni Adele, nonostante avesse solo la terza media, riuscì a quattordici anni a farsi assumere come impiegata presso una ditta edile. Faceva bene i calcoli e non aveva problemi a tenere una semplice contabilità.
Contribuiva al bilancio familiare e questo non era poco, dato che suo papà percepiva solo la pensione d’invalidità.
Mariella era orgogliosa di lei, gli occhi le luccicavano quando pensava alla sua nitida intelligenza, e le paure che aveva nutrito durante l’infanzia della figlia volavano via.
Comìè cominciata la storia della signora Luzzardi?