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Lettera a una figlia da un papà: "Ho assistito alla tua nascita e ho pianto"

di mammenellarete - 23.03.2018 - Scrivici

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Cara Maya, la tua nascita per il tuo papà è stata un'esperienza senza eguali, un piccolo grande miracolo. Ti auguro di poter provare in futuro un'emozione così forte, un super potere senza limiti che ammetto di avere in parte invidiato. Per quanto mi riguarda, io porterò sempre nel cuore questi momenti: tu per noi sei la completezza di un lungo viaggio insieme, la nostra ciliegina sulla torta. Ti racconto il momento in cui sei venuta al mondo.

Ciao Maya, sono papà. Alle 22.54 del 4 settembre 2016 sei nata tu.

Io ho avuto il privilegio e l'onore di poter presenziare a questo fantastico evento, tanto che i ricordi sono ancora fortemente vivi in me. Ho deciso di raccontarteli.

Inizia tutto il 2 settembre. Decidono di ricoverare mamma. Nulla di grave, ma a causa di poco liquido amniotico nella placenta, si decide di fare un parto indotto. Tu saresti dovuta nascere il 30 agosto. Siamo tre giorni fuori termine e credimi, l'ansia è opprimente.

Inizia la procedura dell’induzione. E’ stancante, la mamma è visibilmente preoccupata, i minuti in ospedale sembrano ore e le ore giorni. La prima tecnica, la “fettuccina”, non ha alcun risultato. Restiamo delusi e molto amareggiati.

La domenica mattina iniziamo con i cosidetti “gel”. Accompagno la mamma al monitoraggio e successivamente iniziamo con il primo dei tre gel. Nulla. Nessun segnale. Sale la preoccupazione ed anche un po’ di tristezza. Ci facciamo coraggio a vicenda. Alle 14 arriva il secondo gel.

Dopo un paio d’ore di silenzio iniziano alcune contrazioni. Certe sono di una cospicua importanza. La mamma è felice e le affronta con il sorriso. Ride. Ormai ti vede già tra le sue braccia. Alle 20.30 facciamo un altro monitoraggio e un'altra visita con la ginecologa. ANCORA UN “CICININ” DI GEL E VEDRA’ CHE NEL PRIMO MATTINO PARTORIRA’. Queste sono le parole esatte della dottoressa.

Non vogliamo sentire altro. Sto con mamma. Dopo la visita è un misto tra gioia e preoccupazione. Arriva il dolore. Mamma lo affronta di petto, respira in maniera precisa e pulita senza andare in affanno. Io cerco di alleviarlo con piccoli massaggi alla schiena. Le contrazioni sono sempre più forti. Non si sono fatte attendere.

Raggiungono già il picco massimo. La mamma resiste. Stringe i denti e resiste. Continuano ad aumentare di intensità.

Controllo il monitor. Il tuo cuore ora batte più veloce e le contrazioni sono sempre più virtuose. La mamma sta soffrendo parecchio adesso. Qualcosa non va. Non scendono di intensità. Restano lì, in alto, dove il dolore è più acuto. È passata solo una mezz’ora dal terzo gel.

Non va bene. Troppo veloce. Mamma soffre tanto. Chiamo un’infermiera. Nulla. Chiamo una seconda volta l’infermiera. Decidono di visitarla. TUTTO NORMALE, VA BENE COSì. No, non va bene così. Mamma è sempre stata una dura, una che il dolore lo mangia a colazione. Non va bene così. Il dolore non accenna a diminuire e la contrazione non offre un secondo di respiro. Chiamo ancora l’infermiera: MIA MOGLIE STA MALE!!! Decidono di visitarla nuovamente e mamma con un filo di voce HO ROTTO IL SACCO.

La visita dà la conferma. Una piccola macchia di sangue sull’assorbente ne è la prova. In quel momento arriva Silvia, una graziosa e giovane ostetrica dai capelli color albicocca. Si prende in carico la mamma e capisce che non c’è tempo da perdere. Scopriremo poi che i tre gel hanno avuto un effetto esplosivo comune. Silvia è sveglia, pronta, prende la mamma e mentre percorriamo il corridoio chiede a me conferma per l’epidurale e chiama l’anestesista.

Attraversiamo l’intero corridoio velocemente e ci infiliamo in una camera. La camera GELSOMINO. La stanza non sembra di ospedale, ci sono poltrone singolari e sedie bizzarre, palle giganti e tanti altri attrezzi per facilitare il travaglio. Noi non abbiamo tempo. Tu, piccola mia, ora hai fretta di uscire, ma è ancora troppo presto, mamma non è pronta.

Io mi sento un birillo in mezzo a tutto questo. "Papà" vai lì, spostati qui, mettiti là, "papà" perché da quando entri in quella stanza tutti ti chiamano papà. MI PIACE UN SACCO.

Ma torniamo a mamma. Arriva l’anestesista e adagiano mamma sul lettino. Le contrazioni non calano, sono sempre molto forti. Tu ora, amore mio, stai spingendo molto. Silvia chiede a mamma di resistere e di cercare di trattenere piuttosto che spingere.

Mamma è forte e resiste. L’anestesista prepara l’epidurale e Silvia prepara il lettino per il parto. Io sono inerme. Resto a guardare. Cerco di controllare che tutto sia fatto alla perfezione, ma poi guardo solo mamma. Lei resta calma. La fatica e il dolore le inducono un tremolio su tutto il corpo. E' normale, dice Silvia. È il momento dell’epidurale. Mettono mamma seduta sul lettino e la svestono per poter agire sulla schiena. L’anestesista inizia a preparare tutto l'occorrente.

Mamma ora è calma, le contrazioni si sono attenuate, ora è il momento giusto per l’anestesista. Deve agire ora. Ok capisce ed inizia. Scarta siringa, prepara il catetere ed altri piccoli aggeggi che non conosco. Ci mette troppo però, controlliamo il monitor e la contrazione sta per arrivare. Troppo lenta: l’anestesista deve essere più veloce.

Eh sì, bambina mia, la contrazione era al massimo e l'anestesista stava ancora lavorando. Chiede quindi a mamma se riesce a resistere senza muoversi. Piccola Maya, tua mamma è riuscita a stare immobile durante una contrazione e fare l’epidurale. Un Caterpillar!! Spengono le luci e puntano un faro verso mamma. La adagiano piano e preparano il letto per le spinte. Maniglie e poggiapiedi compaiono da sotto il letto.

Tu intanto continui a voler uscire, ma l’epidurale non ha ancora fatto effetto. Silvia a questo punto rassicura mamma e le dice di fare ciò che sente. Mamma afferra le maniglie, che lascerà solo alla tua nascita ed inizia a spingere. Le spinte sono forti e copiose, iniziano a "gruppi di due" ma Silvia le suggerisce di aggiungere una terza.

Mamma non si fa desiderare ed esegue.

Sono ormai le 22, l’epidurale inizia a farsi sentire, i dolori delle contrazioni calano e mamma si può concentrare solo sulle spinte. L’anestesista se ne va e restiamo solo io, mamma e Silvia nella stanza. Le spinte di mamma continuano, Silvia l'aiuta confortandola con le parole BRAVA LAURA, FORZA LAURA, STAI ANDANDO BENISSIMO LAURA. Io avevo preparato 1000 cose da dire in quel momento, ma nulla. Capisco che sarebbero inutili e decido di stare zitto.

Silvia si rivela come una "guida per un disperso, il faro per una nave". Mamma la segue, la ascolta, cerca di fare tutto ciò che dice. Mamma spinge e spinge sempre più forte, non si ferma più. Le mani che afferrano le maniglie sono ormai bianche perché non c'è circolazione (le faranno male le braccia per due giorni). Silvia le chiede di rallentare, di prendere più pause, di aspettare le contrazioni giuste per non faticare a vuoto. Io sono lì di fianco alla mamma, le bagno la fronte con un panno umido e di tanto in tanto la faccio bere.

Osservo con affascinata ammirazione mia moglie, uno scricciolo di 50 chili, riuscire a scatenare una forza ed un coraggio tali da impallidire qualsiasi uomo. Le spinte continuano, mamma ha un buon ritmo, ma durante una di queste sta male e vomita. Io mi spavento moltissimo, penso che qualcosa non vada bene. Silvia capisce e spiega che può accadere durante uno sforzo del genere.

Mamma continua e tu sei sempre più vicina. Il suo viso ormai è affaticato: durante le spinte, nonostante la penombra percepisco tutta la sua fatica. Le vene della fronte si gonfiano per l'immane sforzo e lei diventa di colore paonazzo. Non urla mamma. Non spreca energie con le urla. Me lo aveva detto che ci avrebbe provato.

Silvia si prepara. E' vestita con il solo abito bianco ospedaliero, ma a un certo punto indossa camice verde, cuffietta, occhiali trasparenti. È tutto pronto. Silvia mi guarda e gentilmente mi chiede se ad un suo cenno posso premere il campanello posto dietro mamma. Ok, ok! Penso che sia un segnale per avvisare qualcuno, magari la ginecologa. Mamma intanto prosegue inarrestabile, ora più che mai è forte e continua nonostante i rigurgiti. Io la tengo pulita e cerco, malgrado il mio grande dispiacere nel vederla soffrire, di non lasciarmi andare.

VEDO IL CIUFFO DI CAPELLI!, esclama Silvia. VEDO IL CIUFFO DI CAPELLI! DAI LAURA! Al suono di queste parole, tua mamma è diventata ormai una schiacciasassi, le sue spinte sono incessanti e sempre più potenti. Al cenno di Silvia, con un po’ di agitazione, premo il famigerato campanello. Nel mentre mi allungo e sbircio il monitor posto ormai sul lato opposto e poco visibile. Tutto regolare, le tue pulsazioni sono regolari e le contrazioni ancora notevoli.

Nella stanza entra ora Barbara, chiamata forse dal mio campanello. Veloce, non si è fatta desiderare! Barbara è una simpatica signora che si occupa del “nido”, capelli ricci e nerissimi e l’aria un po’ mascolina. Mi guarda e mi chiede gentilmente di andare dal lato opposto di mamma, vicino al monitor, lei si mette al mio posto. Confabula con Silvia. TUTTO OK, MANCA POCO, SI VEDE IL CIUFFETTO DI CAPELLI. Manca poco?!? Manca poco?!? L’adrenalina sale anche a me.

Io mi son sempre considerato un forzuto, uno che non teme nulla, ma ad un avvenimento del genere non so come reagire. Cerco di stare calmo, ma piccole lacrime scendono sul mio viso. Faccio finta di niente, non voglio che mi vedano e soprattutto voglio lasciar tranquilla mamma. Lei intanto con sempre più vigore continua con le spinte.

Controllo e tocco le sue mani, sono sempre più pallide fino a metà avambraccio e molto fredde.

Il resto del corpo emana una stupenda energia ed un credibile calore mancano... mancano poche spinte. VAI LAURA!! Queste le parole di Silvia, circondata ormai da Barbara e da una non più giovane infermiera che assisterà mamma a fine parto e la coccolerà con un ottimo tè caldo. Mamma prende fiato, recupera. Capisce che forse sta per arrivare il momento più duro.

Un forte grido accompagna un’energica spinta. E' la prima volta che la sento urlare. Sposto lo sguardo verso il basso e vedo il tuo piccolo volto. Sei girata verso la gamba destra di mamma, verso di me. Riesco a distinguere nitidamente il tuo volto, il tuo profilo, il naso, l'orecchio, la bocca, sei bellissima. Il colore non è dei migliori, tendi un po’ al grigio, ma è normale, acquisterai successivamente un bel colore rosa. BRAVA LAURA, DAI ANCORA UNA SPINTA!

Mamma è molto stanca, queste ultime spinte l’hanno messa a dura prova. ORMAI LA TESTA è FUORI, dice Silvia. Mamma con palese preoccupazione e tirando su un po’ la testa dal lettino, come quasi a voler controllare che tutto sia ok, dice PERCHÉ NON PIANGE? Un esiguo filo di voce risuona nella stanza: PERCHÉ NON PIANGE?

Bambina mia, nonostante tutto il dolore e la fatica mamma ormai già pensa a te e per te si preoccupa. A Silvia, Barbara e all’infermiera non più giovane scappa una tenera risata. ASPETTA LAURA, DEVE USCIRE TUTTO IL CORPO. Due spinte, due spinte sono quelle che mamma fa per concludere. Io con gli occhi puntati verso il basso ti vedo uscire ed in men che non si dica inizi a strillare e a guadagnare velocemente un bel colorito.

Sei bellissima e lacrime ora scendono copiose sul mio viso.

PAPÀ VUOI TAGLIARE IL CORDONE?, mi chiede emozionata Silvia. Mamma ci tiene tantissimo a questo particolare: SE NON RIESCI DIMMELO CHE LO FACCIO IO. Così mi aveva detto più volte durante i nove mesi di gravidanza. Accuso molto il sangue, sono un debole di stomaco, temo gli aghi e tutti gli attrezzi, ma come posso tirarmi indietro dopo tutto quello che mamma ha fatto? Questo è veramente niente a confronto.

Lascio il capezzale di mamma e vado verso Silvia la quale tiene il cordone. Io devo tagliarlo nel mezzo, tra una e l’altra clam. Mi porge una forbice da sala, molto lunga e sottile,l a impugno e con timidezza la avvicino al cordone. QUI? QUI DEVO TAGLIARE? Un attimo prima della mia domanda, Silvia mi spiega dove tagliare, ma con zelante scrupolo la invito ad indicarmelo nuovamente.

SÌ QUI, dice lei con infinita pazienza. Un taglio deciso e netto ti rende libera da questo prezioso legame. Prontamente Silvia ti prende e ti adagia con tenerezza sul petto di mamma che nonostante la stanchezza e il dolore ti prende e ti stringe forte tra le sue braccia. Io mi avvicino a voi e ci fermiamo in un magico abbraccio. Siamo felici. Sono le 22. 54.

Qui si conclude il mio racconto piccola mia. Questa per il tuo papà è stata un'esperienza senza eguali, un piccolo grande miracolo. Ti auguro di poter provare in futuro un'emozione così forte, un super potere senza limiti che ammetto di avere in parte invidiato. E ho ammirato la capacità, nonostante il dolore, di poter gioire ed esultare per questa magia. Per quanto mi riguarda, io porterò sempre nel cuore questi momenti: tu per noi sei la completezza di un lungo viaggio insieme, la nostra ciliegina sulla torta. Ed ora andiamo a divertirci.

Di papà Roberto

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