Vivo nel Paese dei balocchi, quello che per intenderci da anni è classificato come il Paese più felice del mondo. Non lo avrei mai scelto se non fosse stato per un amore: la Danimarca era solo un puntino in Europa, se avessi potuto, avrei scelto orizzonti lontani, più appetibili.
Ma otto anni fa per amore mollo tutto (e con tutto intendo famiglia, amici e un lavoro che adoravo con contratto a tempo indeterminato) e mi getto nel vuoto.
E lo rifarei. Il Paese dei balocchi è anche il Paese dove molti educatori, a cominciare dal nido, non credono sia educativo un fermo "no".
E così i genitori. Forse è un problema generazionale. Forse sono stata allevata come un piccolo soldatino che obbediva, seppur questionando. Ma vedere un "no" ignorato, se non addirittura sbeffeggiato mi produce l'orticaria.
Ma è anche la nazione dove i bambini tornano da scuola o vanno a casa dell'amichetto in bici senza correre grandi rischi (Copenhagen a parte... ma chi ha detto che la Danimarca è solo Copenhagen?).
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E' il Paese dove i comuni offrono ai futuri genitori un vero corso pre-parto: non per la tecnica espira inspira, quanto piuttosto per dare un'infarinata di leggi, diritti e suggerimenti economici. La Danimarca è il Paese che offre un´ottima istruzione e che crede nel futuro dei propri studenti a tal punto da dare loro un piccolo contributo economico (cosa che quando io racconto di aver pagato libri e tasse universitarie salate, mi guardano come se venissi da Marte).
Ma è anche il Paese dalla lingue ostica (per me sia ben inteso, non per i due nani sfornati in terra vichinga), quella che per parlarla correttamente bisogna infilarsi una patata in bocca. Il Paese di un popolo molto nazionalista, che dà confidenza con le dovute tempistiche (che si prolungano nel caso di provenienze dall´est o colore molto scuro della pelle), fatta eccezione per l´Italia che "buoncibobelpaese", ma che una volta fatto breccia dividono con te qualunque cosa.
E' il mio Paese adottivo ormai. Che ho scelto e sceglierei ancora, per me ma ora soprattutto per i miei figli, sperando di potergli offrire un futuro migliore.
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Senza smettere mai di raccontare da dove vengono, di quel Paese che forse offre meno ma che, come l´Africa, ti lascia un segno nel cuore, una nostalgia che non va via.
Storia di mamma Nathalie
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