Voglio raccontare la mia storia. Avevo 14 anni e a scuola superiore conobbi il mio ex ragazzo e rimasi incinta all'età di 16 anni.
Io non mi sentivo pronta ad affrontare una gravidanza però mi dissi che non ce l'avrei fatta a interrompere la gravidanza, si trattava di un bambino e io avevo cresciuto i miei fratelli quando erano piccoli e i miei genitori lavoravano.
Parlai con il mio ex e gli comunicai che ero incinta e lui mi rispose che eravamo minorenni e che aveva paura dei suoi genitori. Ma io tenni duro.
Lui raccontò ai suoi della gravidanza e loro gli suggerirono di farmi partorire e dare in adozione la bambina. I miei genitori, invece, dissero: "Ti è piaciuta la bicicletta? Ora pedala!" E così ho pedalato e sto pedalando.
Arrivò il momento del parto e l'ostetrica mi chiese se il mio ragazzo sarebbe venuto. Così provai a chiamarlo, ma il telefono risultò spento.
Nacque mia figlia e nessuno si fece vivo. Ero sola con mia madre e mia figlia, mio padre ci raggiunse nel pomeriggio.
Tornata a casa, dopo un mese, ero in giro con la carrozzina e il mio ex mi ferma per vedere la bambina e io stupida gliela feci vedere. Disse che era molto bella. Lo ringraziai e me ne andai.
Dopo un anno mi chiama l'assistente sociale perché i suoi genitori erano andati a dire che io maltrattavo mia figlia e loro volevo vedere se era vero o una bugia. Io spiegai che non era vero niente.
Dopo un mese arriva la lettera dal loro avvocato: vogliono avere la bambina e allontanarla da me.
Andai anch'io da un avvocato che per fortuna mi rincuorò: "Cara" mi disse, "non possono fare niente perché loro non l'hanno riconosciuta quindi la bambina per loro è un estranea".
E mi consigliò di non lasciarla mai con loro, se no avrei rischiato di perderla per sempre.
Passato un anno lui voleva riconoscere mia figlia ma io gli dissi di no, dopo tutto lo schifo che avevano fatto, non si doveva avvicinare. La mia risposta lo fece infuriare: alzò le mani contro di me, mentre la bambina piangeva e gridava "mamma si fa male" e "mamma non piangere".
Corsi dai carabinieri e gli feci vedere cosa mi aveva fatto.
Mio padre era molto arrabbiato, ma evitò di affrontarlo: "Presso gli scemi si perde tempo" disse. Cosi facemmo una diffida per non avvicinarsi più a noi.
Ora vivo da sola con mia figlia e lavoro. Non le manca nulla e sono contenta di lei perché non sembriamo madre e figlia ma sorelle.
Storia di Rosy, editata dalla redazione.