A quel tempo non sapevo che solo un anno dopo avrei atteso la mia primogenita, precisamente sarei stata al quarto mese di gravidanza. Grazie a questa poesia vi confido che si può esser mamme anche prima di diventarlo, così come non lo si è a volte (purtroppo) pur avendo partorito. Ho amato i miei figli ancor prima di vederli. Ho augurato loro ogni bene ancor prima di metterli al mondo. E ancor prima di abbracciarli ho saputo che mi avrebbero dato un amore immenso. Essere mamma è un dono, una missione, una splendida e non sempre facile avventura. I protagonisti sono sempre i figli e il loro bene. Il nostro, di bene, è una causa e una conseguenza del loro.
Già amo il bambino che stringerò al seno,
già piango se penso a quando mi chiamerà mamma.
Già ringrazio Dio di avermi fatta donna,
e donna io sarò,
donna dell’uomo che amerò
e che custodirò,
donna della casa che curerò,
donna madre di tanti bambini
che uno più dell’altro adorerò
come tesori preziosi
che mi renderanno tanto tanto ricca.
Già sento una vita dentro me
che vuole nascere,
già ho le guance calde
per quando griderò partorendo.
Già ho gli occhi lucidi,
bagnati.
Già voglio essere madre.
Avevo ventuno anni, una vita piena di punti interrogativi e queste intime certezze che mi scaldavano dentro.
È la mia storia, ma può essere estesa a tutte le donne, perché è una storia al femminile, al nostro primordiale desiderio di creare, di essere le regine di una casa, le donne di un uomo, le madri di bambini che ci chiamano “mamma”, una piccola parola pronunciata mille volte, ma con dentro la forza della vita che continua, perché se ancora “mamma” si pronuncia, ancora un’altra vita è nata e se siamo noi quella madre il cuore ci si apre e non ci sono più parole.
Sapete, le grida che ho nominato nella mia poesia sono state le più dolorose e le più vere di tutta la mia vita.
Ho sofferto troppo durante i miei parti, ho creduto di non farcela, eppure qualcosa mi portava a spingere ancora, a continuare, e in quelle lacrime, in quel sudore io sentivo che c’era tutta la vita. Un dolore fisico così intenso e insopportabile è cessato di colpo appena i miei figli sono usciti da me.
Tagliato il cordone ombelicale ci siamo divisi, eppure è stato da lì che è nata la nostra vera unione. Le guance calde, gli occhi lucidi, le grida sono i segni che una mamma porterà con sé per sempre e inconsapevolmente ce li portiamo già dentro prima di diventarlo, come è successo a me in quel freddo autunno di dieci anni fa. Perché noi donne siamo nate per diventare madri.
di Lucia Carluccio
Sull’autrice
Lucia Carluccio è studiosa dell’universo infantile e mamma di due bambini. Insegna e vive in provincia di Milano.
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Aggiornato il 29.09.2017