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Mamma Simona: "I nostri bambini mezzi moldavi"

di mammenellarete - 13.01.2010 - Scrivici

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Abbiamo la colf moldava. A metterla giù così, quest’espressione ha due grandi fallacie, una etica, l’altra logica: suona orribilmente borghese ed è falsa. Innanzitutto Valentina non può in nessun modo esser definita una colf. Se non “suonasse” ancora peggio, sarebbe meglio definirla una “serva padrona” di pergolesiana memoria. Ma non è neppure così.

Valentina pulisce e mette ordine secondo i suoi parametri, e noi le lasciamo fare perché i suoi parametri sono più efficaci dei nostri e il suo ordine tende a durare più di quello che noi tentiamo d’imporre, con sforzi immani, alla mole semovente di vestiti e giocattoli che abita casa nostra.

Se noi mettiamo qualcosa fuori posto lei si arrabbia, se la prende come una questione personale, poi si rimbocca le maniche, e sbuffando come un treno, rimette tutto a posto.

Valentina ha quarant’anni meravigliosamente portati, perché si sposta in bicicletta anche col freddo e con la neve e perché è sempre in movimento.

Quando mi vede scrivere al computer per ore, fumando svariate sigarette, con le spalle curve e gli occhi stretti nello sforzo di controllare ciò che i tasti inconsapevoli mi fanno digitare, per un po’ non dice niente. Ma poi non resiste:

- “Simona, qui tutto puzza di fumo, apri almeno la finestra”

- “Ma fa freddo”

- “Meglio, fa’ entrare aria fresca, pulita. E raddrizza quelle spalle. Dovresti fare attività fisica”

- “Lo so, Valentina, ma non ho tempo”

- “Bah...” fa lei. Ha ragione e lo sa, e lo so anch’io.

Valentina ha una figlia ventenne che si chiama Veronica. Siamo amiche e lei ha una passione per i nostri bambini. Quando ha tempo, non deve studiare o lavorare, li viene a trovare.

Xanthos e Sofia la accolgono felici. Lei è sempre piena di idee per loro. Per esempio disegna molto bene, legge le favole, canta canzoni e cucina buonissimi risotti come se fosse nata in Veneto invece che in Moldavia.

A volte porta squisitezze preparate da mamma Valentina, dolci tipici della sua terra e anche spuntini salati. I bambini li divorano contenti, come se fossero nati in Moldavia invece che in Italia.

Durante un gelido pomeriggio festivo sono uscita per fare delle commissioni – giusto mezz’oretta – sono tornata subito. Ero tranquilla perché Veronica stava in casa coi piccoli ma non mi andava di sfruttare la sua presenza con una mia assenza prolungata.

Ho aperto la porta di casa e mio figlio di tre anni mi ha accolto cantando. –Bene – ho pensato – è felice. Poi mi sono accorta che non cantava in italiano, ma in moldavo.

Gli ho chiesto di ripetermi per bene la canzoncina e ho capito – perché un po’ di moldavo l’ho imparato anch’io – che era la storia di un cagnolino che aveva rubato un galletto dal pollaio per mangiarselo, e che se ne andava in giro soddisfatto, dicendo a tutti che non era stato lui. Peccato che lo tradissero le piume variopinte che perdeva dal musetto.

Veronica mi ha guardato con orgoglio malcelato dai suoi occhialini da intellettuale, ha infilato il cappotto per andarsene e mi ha detto: “Ah la canzone del cagnolino, l’ha imparata in tre minuti”. Ed è sparita nella tormenta di neve che spazzava le strade in quei giorni.

I nostri bambini mezzi moldavi

Abbiamo la colf moldava. A metterla giù così, quest’espressione ha due grandi fallacie, una etica, l’altra logica: suona orribilmente borghese ed è falsa. Innanzitutto Valentina non può in nessun modo esser definita una colf. Se non “suonasse” ancora peggio, sarebbe meglio definirla una“serva padrona” di pergolesiana memoria. Ma non è neppure così.

Valentina pulisce e mette ordine secondo i suoi parametri, e noi le lasciamo fare perché i suoi parametri sono più efficaci dei nostri e il suo ordine tende a durare più di quello che noi tentiamo d’imporre, con sforzi immani, alla mole semovente di vestiti e giocattoli che abita casa nostra.

Se noi mettiamo qualcosa fuori posto lei si arrabbia, se la prende come una questione personale, poi si rimbocca le maniche, e sbuffando come un treno, rimette tutto a posto.

Valentina ha quarant’anni meravigliosamente portati, perché si sposta in bicicletta anche col freddo e con la neve e perché è sempre in movimento.

Quando mi vede scrivere al computer per ore, fumando svariate sigarette, con le spalle curve e gli occhi stretti nello sforzo di controllare ciò che i tasti inconsapevoli mi fanno digitare, per un po’ non dice niente. Ma poi non resiste:

“Simona, qui tutto puzza di fumo, apri almeno la finestra”

“Ma fa freddo”

“Meglio, fa’ entrare aria fresca, pulita. E raddrizza quelle spalle. Dovresti fare attività fisica”

“Lo so, Valentina, ma non ho tempo”

“Bah,,,” fa lei. Ha ragione e lo sa, e lo so anch’io.

Valentina ha una figlia ventenne che si chiama Veronica. Siamo amiche e lei ha una passione per i nostri bambini. Quando ha tempo, non deve studiare o lavorare, li viene a trovare.

Xanthos e Sofia la accolgono felici. Lei è sempre piena di idee per loro. Per esempio disegna molto bene, legge le favole, canta canzoni e cucina buonissimi risotti come se fosse nata in Veneto invece che in Moldavia.

A volte porta squisitezze preparate da mamma Valentina, dolci tipici della sua terra e anche spuntini salati. I bambini li divorano

contenti, come se fossero nati in Moldavia invece che in Italia.

Durante un gelido pomeriggio festivo sono uscita per fare delle commissioni – giusto mezz’oretta – sono tornata subito. Ero tranquilla perché Veronica stava in casa coi piccoli ma non mi andava di sfruttare la sua presenza con una mia assenza prolungata

Ho aperto la porta di casa e mio figlio di tre anni mi ha accolto cantando. –Bene – ho pensato – è felice. Poi mi sono accorta che non cantava in italiano, ma in moldavo.

Gli ho chiesto di ripetermi per bene la canzoncina e ho capito – perché un po’ di moldavo l’ho imparato anch’io – che era la storia di un cagnolino che aveva rubato un galletto dal pollaio per mangiarselo, e che se ne andava in giro soddisfatto, dicendo a tutti che non era stato lui. Peccato che lo tradissero le piume variopinte che perdeva dal musetto.

Veronica mi ha guardato con orgoglio malcelato dai suoi occhialini da intellettuale, ha infilato il cappotto per andarsene e mi ha detto: “Ah la canzone del cagnolino, l’ha imparata in tre minuti”. Ed è sparita nella tormenta di neve che spazzava le strade in quei giorni.

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