Avevo 21 anni quando lo conobbi. Fu amore da non capire più nulla, sin da subito. Dopo cinque mesi scoprii di essere incinta, subito provai gioia e felicità immense. Lui mi fece delle promesse. Sembravo essere io l'unica ad aver paura. Eppure le sue parole mi diedero subito la forza di affrontare tutto.
Non sapevo che però avrei dovuto fare tutto da sola! Pochissimi giorni dopo avergli dato la notizia, lui sparì nel nulla. Non si rese raggiungibile in alcun modo, né al telefono né al computer e sui social. Non lo trovavo neanche a casa. Ero disperata.
Un paio di settimane dopo lo trovai fuori dal mio lavoro ad aspettarmi. Aveva gli occhi gonfi di lacrime. Mi disse che la sua famiglia lo stava tenendo lontano da me e che erano contrari a questa gravidanza.
Lui però voleva stare con noi e mi disse che si sarebbe impegnato in tutto e per tutto a trovare un lavoro e una casa. In questo modo ci saremmo sistemati.
Decisi di credere alle sue parole. Il tempo passò, ma nulla cambiò. Io affrontai le prime ecografie. Mi accompagnava mia mamma a fare le analisi, La sera restavo spesso da sola, mentre lui usciva con gli amici. Andava allo stadio e in discoteca, per lui non era un problema lasciarmi da sola.
Il problema serio arrivò con l'estate. Sentì probabilmente il "profumo della libertà" e mi lasciò, dicendomi che non era pronto, che era una cosa più grande di lui e che non se la sentiva.
Io incassai il colpo e continuai per la mia strada. Nel frattempo scoprii di aspettare un maschietto. Sarebbe stato lui l'uomo della mia vita.
L'estate finì e lui tornò, stavolta con un lavoro. Ci cascai di nuovo, tanto che prendemmo una casa in affitto.
Ma due mesi dopo cambiò nuovamente idea. Mi disse di nuovo che non se la sentiva e, ancora una volta, se ne andò. Io continuai il mio percorso con accanto soltanto la mia famiglia, con il cuore a pezzi e il mio cucciolo che cresceva dentro di me. Solo lui mi dava la forza di vivere tutto questo, di affrontare le giornate.
Piangevo. Dio solo sa quanto piangevo. Mi sentivo sola, odiavo le coppie che aspettavano il momento dell'ecografia mano nella mano, guardavo la mia pancia e mi sentivo terribilmente sola. Il parto si avvicinava. Lui tornò ancora una volta, gli diedi stupidamente l'ennesima possibilità. Volevo una famiglia...
Era il 5 febbraio ed io ero di 39 settimane. Avevo fatto un tracciato in ospedale e, mentre andavo via ed ero in macchina con mia mamma, iniziarono i dolori. Tornai subito in ospedale. Lo chiamai e lui corse in ospedale. Iniziò il travaglio.
Rimase 12 ore con me in sala parto, mi aiutò e mi sostenne. Ero quasi sicura che tutto si sarebbe risolto, che appena avrebbe stretto tra le sue braccia suo figlio sarebbe cambiato e avrebbe dimenticato la discoteca, lo stadio e i drink. Ma così non fu.
S., mio figlio, nacque il 6 febbraio alle 2 di notte. La mattina successiva lui sparì, non venne più in ospedale. Non mi rispondeva al telefono. Sì, era di nuovo sparito. Piansi ancora di nuovo. Un'infermiera mi disse di andare all'ufficio anagrafe poiché stava per chiudere. Mi recai lì, piansi ancora di più mentre riconoscevo mio figlio, sbarrando la parte dove era scritto "paternità" e dandogli il mio cognome,
Due settimane dopo lui tornò di nuovo, ma per me era finita, una volta per tutte. Non gli avrei tolto la possibilità di fare il padre, ma ero certa che noi TRE non esistevamo più.
Io avevo il mio S., mio figlio, che era tutta la mia vita. Era il mio uomo, l'unico uomo che mi avrebbe protetta, non avevo più bisogno di nessuno.
I mesi passarono. Lui si comportava da buon padre, dedicando a S. tutto il suo tempo, ogni giorno portava una busta diversa di vestiti o giochi o alimenti per il bambino. S. raggiunse gli otto mesi, iniziai a ricredermi e a riavvicinarmi a lui. Accadde il miracolo che aspettavo da mesi: mi chiese di sposarlo.
Ma come riuscii a credergli di nuovo? Iniziarono i preparatavi, prenotammo la villa, poi i vestiti e infine le bomboniere. Tre mesi prima del matrimonio, mi lasciò di nuovo. Non potevo più sopportare le sue prese in giro, dovevo tutelare mio figlio. Lui sparì per mesi, mi mandava dei messaggi, ma non venne a vedere S.
Ripresi in mano la mia vita, ritrovai le mie amiche, continuai a lavorare e a vivere per il mio S. Una sera iniziai a chiacchierare con un amico di mio fratello su Facebook, finché lui mi chiese di uscire e io accettai.
Continuammo a uscire e tutto filò liscio. Andò talmente bene che... adesso abbiamo un altro splendido bambino di un anno di nome C. e stiamo crescendo insieme il NOSTRO S. che ora ha cinque anni, che ha fatto per mano con lui i suoi primi passi.
Lui mi ha finalmente dato la serenità che meritavo e che volevo. E' il "papà" che cercavo. Noi siamo una famiglia: noi quattro e non esistono differenze tra i nostri due figli. Il mio primogenito, S., adora il mio attuale compagno, da quando è nato C. lo chiama persino papà.
Il mio compagno consola S. quando si sbuccia le ginocchia, gli insegna ad andare in bici, lo porta a scuola, alle partite di calcio.
E' un papà, il papà migliore che potessi volere per i miei figli, per i nostri figli! Sono felice. Dopo aver vissuto l'inferno a 21 anni e dopo aver pensato che la mia vita fosse finita, adesso finalmente sono felice.
Il periodo più bello della vita di una donna (la mia prima gravidanza) per me è stato un incubo, ma con il senno di poi, sono felice di aver tenuto il mio S., di non avere mai pensato ad abortire, di aver provato per mesi a costruire un rapporto con il padre, di aver dato a S. il mio cognome.
Sono felice che qualcuno mi abbia preso per mano e tirato fuori dal tunnel. Sono felice di aver trovato un ragazzo che a 22 anni passava i sabati sera a casa con noi due a guardare cartoni animati e le domeniche al parco giochi. E lui? Il padre di S.? Lui continua ad andare in discoteca, a fidanzarsi ogni fine settimana con una donna diversa, ad andare allo stadio e non mi ha mai più chiamato da quando ho smesso io.
di Valentina
(storia arrivata alla pagina Facebook di Nostrofiglio.it)
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Aggiornato il 12.12.2017