Non ci vediamo da qualche mese, anche se viviamo a pochi chilometri di distanza le une dalle altre. “Sei abbronzata! Sei stata in Italia?” Effettivamente sono appena stata una settimana dai miei, mentre le scuole in Svizzera erano chiuse.
Secondo me si sbaglia; non sono molto convinta che il flebile sole di Milano nei giorni di febbraio abbia avuto un tale effetto sulla mia pelle. Lei è inglese, dunque naturalmente sempre più pallida di me. Comunque, sto al gioco. Oso anche risponderle che credo di tornare in Italia a breve per mantenere la mia abbronzatura.
Effetto del sole sulla mia pelle a parte, vero è che l’occasione per ripassare il confine non si farà attendere molto. Sul calendario le prossime vacanze scolastiche sono già segnate in rosso, tra poche settimane. Già, perché nelle scuole primarie e secondarie svizzere, a ogni due mesi d’insegnamento circa segue una pausa di quindici giorni.
A poco più di un mese dal ritorno sui banchi dopo le vacanze natalizia, ecco arrivare a metà febbraio la pausa scolastica d’inverno. Qui la chiamano “pausa sportiva” (Sportferien). Con le scuole chiuse tutti i bambini si dedicano al loro sport preferito invernale: fare a bobbate e pallonate sulla neve. Chi può permetterselo va anche a sciare, ovviamente.
Noi siamo stati però appunto in Italia.
Tra poco più di un mese arrivano le vacanze di Pasqua che quest’anno sono seguite subito dalle vacanze di primavera (Frühlingsferien).
A metà maggio scuole chiuse ancora per il lungo ponte dell’Ascensione (mi chiedo se questa pausa scolastica sia stato voluta, per via referendaria ovviamente, dalle guardie svizzere della Città del Vaticano). Al mare ci si va durante le vacanze estive che nel cantone dove abito io si fanno tra la metà di luglio e la fine di agosto.
E poi, in attesa delle vacanze di Natale, che durano 3 settimane, ci sono due settimane di pausa d’autunno (Herbstferien).
Mi sono a lungo chiesta il perché della frequenza di queste pause scolastiche.
Perché non è verosimile pensare che famiglie intere in Svizzera vivano con la valigia in mano e si mettano costantemente in viaggio quando le scuole sono chiuse. Qualcuno dovrà pur lavorare, giusto? Giusto! Infatti pochi viaggiano di continuo. Per lo più, il papà continua a lavora, la mamma continua a fare la mamma; e il calendario scolastico è a dir poco irrilevante.
Storicamente, è possibile giustificare la frequenza delle vacanze scolastiche guardando al ciclo dalla vita dei campi. Ma oggi? Oggi, che a lavorare nei campi non ci vanno di certo più i bambini, il modello scolastico svizzero rimane (in modo drammatico) una difesa della famiglia che qui definiscono ‘tradizionale’.
La donna è mamma e il suo posto è la casa.
Anche alle porte di Zurigo, troppo ruota ancora intorno al famigliare, al locale: la squadra di calcio locale, la piazza locale, il parco giochi locale, perfino la farmacia e il supermercato locali. Io stessa sono in qualche modo prigioniera di questo go local: con i miei figli mi ritrovo sempre ad andare negli stessi punti di ritrovo e incontrare sempre gli stessi bambini, che fanno gli stessi giochi e poi merenda sempre nello stesso ordine. Con me ci sono sempre le stesse mamme, che non lavorano o sono impegnate solo part-time. Per scelta o perché non possono fare diversamente, nel sistema lavorativo e sociale svizzero.
Mamme che durante le pause scolastiche non hanno parenti lontani dove andare, in Italia, in Francia o altrove, per uscire dalla routine familiare quotidiana (e opprimente, a mio avviso). Mamme che sono loro a cucinare, portare al parco i bambini, fare la spesa; e lo fanno sia con scuole aperte che con scuole chiuse. Tanto loro a casa ci sono, sempre e comunque. Queste mamme. E però che resta del loro essere donne?
di Valeria Camia
Mamma di due bimbi, con un marito sempre in viaggio per lavoro, scrive delle sue avventure e disavventure giornaliere in Svizzera
http://mammaimpara.blogspot.ch