Avendo come la maggiore parte degli italiani un complesso d’inferiorità più o meno manifesto nei confronti di tutti quei popoli che abitano sopra il 450 parallelo, avrei messo la mano sul fuoco che l’Olanda fosse il paradiso della mamma lavoratrice. Finché mi ci sono trasferita tre anni fa.
Imbottita di statistiche catastrofiche e report deprimenti sulla condizione italiana, pensavo a un mondo rosa zeppo di scuole materne all’avanguardia e il potere non solo alla fantasia ma anche alle donne. In parte le mie aspettative si sono confermate: in Olanda i padri ottengono il part time, gli anni sabbatici esistono per davvero e ci si rimette sul mercato del lavoro dopo una pausa di qualche anno; ma in generale la mia si è rivelata provinciale illusione italiana.
Ebbi il primo sentore che qualche ulteriore differenza passasse tra l’Italia e i Paesi Bassi – oltre ai tulipani e alle bitterballen – quando, il giorno del primo colloquio, la maestra dell'asilo inglese strabuzzò gli occhi alla mia richiesta di poter iscrivere i pargoli a scuola per l'intera settimana lavorativa. La signora, dall’alto del suo metro e novanta, mi interrogò sui motivi di questa scelta insolita se non azzardata e mi venne pure il timore che da qualche parte appuntasse il mio nome come potenziale caso sociale.
La verità è che le madri lavoratrici sono mosche bianche da queste parti ed ergo nessun bambinello è affidato alle cure altrui per cosí tanto tempo. La prova del nove è presto fatta: alla scuola dei miei figli sono l’unica mamma che lavora full time e solo altre 3 donne (di cui un’italiana, appunto) hanno un impiego part time.
Non va meglio al dopo scuola, che è addirittura chiuso il mercoledì per mancanza di iscrizioni, e non va meglio alle mie amiche madri e lavoratrici: alla scuola tedesca sono in 2, a quella olandese in 3, in un’altra classe forse un misero paio.
Liberazione dall’obbligo del lavoro o dannazione del genere femminile batavo? Nemmeno 20 anni fa nella paciosa "Padania", la percentuale di casalinghe raggiungeva queste quote vertiginose e io stessa ricordo, a Milano, qualche anno fa, le mammine – stanche, frustrate, dinamiche o di successo vedete voi – arrivare trafelate alle riunioni pomeridiane dell’asilo nido con la borsa del lavoro sottobraccio e l’incombenza di dovere lavorare dopo cena per recuperare le ore perse!
Ora le mie amiche – portoghese, greca, italiana – oppresse dai sensi di colpa, hanno chiesto e ottenuto il part time (in effetti la facilità con cui si ottiene è una conquista non da poco) per la gioia della loro prole. Il circolo di immigrate (o expats che dir si voglia) di cui sopra ha tentato di dare spiegazioni etiche, sociali ed economiche del fenomeno, in un paese in cui tutti i ristoranti hanno il seggiolone ma i doposcuola non esistono. Io resisto, per egoismo, convinzione e stoffa da highlander. Fatemi in bocca al lupo.
Consapevoli che molte neo mamme sono ben contente di archiviare cartellini e dinamiche da ufficio, noi di Mamme nella Rete siamo totalmente solidali anche con tutte quelle donne che ogni giorno, come Cristina, cercano un equilibrio nel marasma di impegni familiari e lavorativi, lottando strenuamente per soddisfare le esigenze della prole senza rinunciare alle proprie ambizioni.
C'è qualche altra expat mum tra di voi che ha voglia di raccontarci la sua esperienza? Scriveteci!