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Evviva la noia e l'ozio dei nostri bambini!

di Francesco Facchini - 27.02.2017 - Scrivici

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Fonte: pixabay
Riempiamo il vuoto della nostra vita con mille palliativi. Il problema? Facciamo la stessa cosa con i nostri bambini. Le giornate passano come un vero turbine, producendo cuccioli sovraeccitati o devastati dalla stanchezza. Se poi sei un papà separato hai anche il groppo in gola che deriva dalla necessità di impattare davvero sulla vita di un figlio. Che fare allora? Convincere i bimbi al relax, all’attesa, alla pazienza.

Non c’è speranza, riempiamo il vuoto della nostra vita con mille palliativi. Il problema? Facciamo la stessa cosa con i nostri bambini. Ho visto cose che voi umani… ho visto agende di cinquenni che manco Elon Musk, patron della Tesla, ne ha una così fitta. Ho visto padri separati trasformare dei week end in tour de force che il “Giro del mondo in 80 giorni”, in confronto, è ‘na passeggiata de salute.

Spesso l’overload dei figli parte direttamente dai genitori e da quel senso di orrido vuoto che prende quando si scopre che “bisogna far fare qualcosa” al marmocchio nelle successive ore, perché la scuola non c’è o è finita. Certo la vita è complicata, certo i soldi mancano, certo il periodo è quello che è, ma vedo bene (e forse le noti anche tu) le dinamiche di moltiplicazione seriale di impegni, corsi, corsetti, gite, gitarelle, sport (mammasantissima ci sono bambini che si fanno un fondello come dei decatleti), corse, appuntamenti, eventi, feste, ricchi premi e cotillon. Le giornate passano come un vero turbine, producendo cuccioli sovraeccitati o devastati dalla stanchezza. La paura, però, è dei genitori e di quel loro vivere travolto dal dover essere, apparire, fare, chattare, updatare, facebokkare, lettera e testamento.

Se poi sei un papà separato hai anche il groppo in gola che deriva dalla necessità di impattare davvero sulla vita di un figlio, magari in poco tempo, magari in condizioni difficili. Tuttavia, se hai già letto quello che scrivo, sai che non regalo scuse o alibi nemmanco ai babbi.

Allora dico: è un errore.

Nel tuo tempo con tuo figlio, cerca di essere normale, cerca di far diventare straordinaria la quotidianità e di gestire lo straordinario come qualcosa da preparare e da godere insieme.

Vivo come tutti un periodo di difficoltà, ma cerco di strappar via a questo tempo difficile momenti in cui sto, in pienezza, con il mio marmocchio.

La cosa più incredibile è che vivere le ore in cui stiamo insieme, come ore dedicate a lui, non diminuisce le possibilità di lavoro che ho.

Semplice il motivo: quando sto con lui cerco di dedicarmi a rilassare la mente, a uscire dal mio contesto e dai miei casini, a considerarli per quello che sono davvero: qualcosa che, se continuo a progettare la ripresa secondo progetti nuovi, coerenti, “futuribili”, passerà. Di conseguenza penso meglio ai miei progetti, osservo meglio le opportunità, miro meglio i miei sforzi. Per questo quasi ringrazio la mia condizione difficile. Essa mi permette di vivere il quotidiano come qualcosa di speciale, di apprezzare anche la possibilità (spesso ai più scontata) di mettere insieme qualcosa nel piatto per mangiare. Non avere soldi, poi, mi aguzza l’ingegno: mi ritrovo spesso a pensare a imprese o avventure da fare insieme con il solo requisito del “costo zero”. Ce ne sono migliaia.

C’è, però, anche la necessità di far imparare ai bambini che esiste anche l’ozio, esistono anche i viaggi in autobus passati a guardare fuori dal finestrino, esiste anche la noia, il riposo, il relax. Prendiamo quelle agende da amministratori delegati che hanno i pupotti oggi e pensiamoci bene. Cerchiamo di portarli a fare le cose che li possono far innamorare, quelle che piacciono davvero, ma lasciamo anche spazio alla comprensione dell’attesa, della malinconia, del silenzio, del riposo.

Lo so, stai pensando che è difficile convincerli al relax, all’attesa, alla pazienza: d’altronde mangiano talmente tanti input, talmente tanti stimoli durante la giornata, che non riescono a comprendere cosa sia l’assenza degli stessi.

Io e la mitica zia Anna, l’altro giorno, abbiamo provato il gioco della noia: consisteva nello stare fermi a occhi chiusi per il maggior tempo possibile. Lui ci ha provato, ma si è messo subito a ridere.

Poi ci ha riprovato e ha cominciato a prenderci gusto. Poi mi ha detto “Ah, adesso vado a casa e mi rilasso”. Ho camminato a un metro da terra per tutto il breve tragitto dalla bettola cinese nella quale avevo cenato con zia e marmocchio: ero felice e lui con me. Quando torna ci riproviamo: evviva la noia, evviva l’ozio.

di Francesco Facchini

Sull'autore

Francesco Facchini, papà part time di professione, campo di scrittura su qualsiasi mezzo (dai tovaglioli dei ristoranti al web) e di immagini (spesso della mia fantasia). "Sono convinto di tre cose: mi pagassero un euro a errore che commetto sarei milionario, le migliori risate che faccio sono quelle su di me e l'elefante si può mangiare, ma soltanto a pezzettini. Il mio sito personale è www.francescofacchini.it".

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