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Essere papà: mio figlio è la mia vita

di Saby - 27.08.2013 - Scrivici

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Ricordo ancora il giorno in cui, dopo un anno e mezzo di matrimonio, mia moglie mi disse: voglio un figlio. Avevamo deciso insieme di aspettare, avevamo dei progetti, una casa da acquistare, un affitto da pagare e mia moglie aveva appena cominciato a lavorare. Ma il suo desiderio di diventare madre era troppo grande, più grande di qualsiasi altra cosa e… al diavolo tutto il resto, volevamo il nostro bambino. Da immaturi, ingenui, un po' superficiali, pensavamo che il solo aver deciso ci avrebbe dato un figlio, non era così. I giorni cominciarono a passare, le settimane anche, poi il primo mese, il secondo e anche il terzo…quel figlio non arrivava. All'inizio la cosa non ci spaventò molto, riproviamoci! Ma ogni mese la situazione era identica al mese precedente, e l' ansia, la paura, lo sconforto cominciarono a tormentare i nostri sogni. Il mio rammarico poi diventava quasi dolore quando tornato da lavoro trovavo mia moglie in lacrime, la sua delusione era una lama che trafiggeva il mio cuore, quello che potevo fare era solo infonderle coraggio. "Vedrai che il mese prossimo sarà quello giusto". Io credevo nelle mie parole, le mie non erano solo le parole di un uomo che doveva confortare la sua donna, sentivo dentro me che prima o poi quel figlio tanto desiderato sarebbe stato nostro.

E mentre aspettavamo il mese giusto sognavamo quel bambino, che fosse

 

maschio o femmina per me non faceva differenza, "l'importante è che sia sano e forte" dicevo... Mia moglie invece voleva un maschietto, aveva deciso già il suo nome e lo immaginava uguale a me.

 

Ogni sera prima di andare a letto fantasticavamo sul suo futuro, parlavamo del tipo di educazione da adottare, ci chiedevamo se essere genitori prima o poi sarebbe stata la nostra realtà.

 

I mesi però inesorabili continuavano a passare, i parenti cominciavano a chiedere quando avrebbero avuto un nipotino, e mia moglie diventava sempre più insofferente, nervosa, stanca di un attesa che non aveva messo in conto.

 

6 mesi, poi 7, e poi 8, parlavamo di dottori e ginecologi. "Il mese prossimo ci andiamo, è deciso, vedrai che è tutto a posto". Con queste parole confortavo mia moglie e cercavo di infondere coraggio anche a me stesso.

 

Una mattina però, una domenica mattina, nella nostra casa nuova (sempre in affitto), ho sentito odore di felicità.

 

Mia moglie non era accanto a me, sentivo i suoi passi in cucina, c'era profumo di caffè e tintinnio di posate.

 

Una grande tazza da colazione capovolta, le brioche e il latte caldo, un foglio sotto il piatto.

 

"Papà, sto arrivando, tra 9 mesi saremo in tre". Un paio di calzini gialli di cotone da neonato, e le lacrime di mia moglie sulle mie labbra. (LEGGI ANCHE: 10 MODI PER DIRE AL TUO COMPAGNO CHE SEI INCINTA)

 

Ammetto, ero felice e spaventato, non sono mai stato un uomo molto espansivo. Per un secondo, forse un minuto, forse 5 minuti, ho perso cognizione di tempo e realtà.

 

Ero padre, ero un uomo che aspettava un bambino da sua moglie, l'attesa era finita, quel figlio era mio, era nostro!

 

Tutto andò bene, beh, mia moglie diventava sempre più panciuta e non pesava più 50 kg.

A volte mi svegliavo di notte e la trovavo che dormiva sul divano: l'ansia, la sciatica, il dolore alla schiena erano ormai il suo pane quotidiano. Ma i 9 mesi passarono. (LEGGI ANCHE: TUTTE LE STORIE SUL PARTO)

 

Dopo una lunga notte insonne in attesa della telefonata dall'ospedale che avrebbe stravolto la mia vita, mio figlio, alle 11, 20 di un sabato mattina, davanti ai miei occhi viene al mondo.
L'ho visto nascere mentre stringevo le mani di mia moglie, ho sentito il suo primo gemito, il suo primo pianto a squarcia gola, l'ho preso in braccio ancora sporco di sangue e placenta, ho percepito la forza del suo amore quando l'ho guardato negli occhi e nella mia mente ho detto: "Tu sei mio figlio!" (LEGGI ANCHE: PAPA' IN SALA PARTO, LA MIA ESPERIENZA)

 

Siamo tornati a casa con quello scricciolo piagnucolone ma bellissimo tra le nostre braccia. Non abbiamo dormito per tantissime notti, le sue colichette erano il nostro incubo più grande. Ammetto le prime settimane a casa non sono state serenissime, ma adesso riguardando in dietro rifarei e rivivrei davvero tutto.

 

Per quel figlio io farei tutto, è la mia gioia, la mia felicità, la mia vita, il mio coraggio.

 

Anche adesso, a casa, aspettando il contratto da firmare per il mio nuovo lavoro, lui è il mio coraggio, lui è la mia forza. Quando corre nel lettone e mi stringe forte forte, tra le sue braccine, io ritrovo la voglia di andare avanti e non arrendermi a un periodo di crisi e difficoltà che sta mettendo a dura prova la nostra vita.

 

Mio figlio non assomiglia a me come sognava mia moglie, mio figlio è uno scricciolo di ormai 5 anni che va a scuola e mi chiede una sorellina. Mio figlio crede in me e lo vedo in tutto ciò che fa, si fida di me ogni volta che mi fa domande, condivide con me l'amore per gli animali e con sua madre inventa storie fantastiche e divertenti su mondi marini, squali e pesci parlanti.

 

Lui è la mia vita, e per lui io, finché avrò fiato nei polmoni, non mi arrenderò mai.

 

Sono papà Antonio, ma per mio figlio semplicemente…il mio papà.

 

Papà.

 

(La storia di papà Antonio scritta da Saby – io con mio figlio)

 

Sull’autrice

Saby è pugliese e madre di un bambino di 5 anni. E’ autrice della pagina facebook Io con mio figlio e del sito internet http://www.ioconmiofiglio.it

 

 

redazione@nostrofiglio.it

 

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