Caro Papà,
ho sperato per molto tempo di poterti parlare, anche per cinque minuti. Speravo di poterti chiedere se erano vere le cose che ho scoperto di te, dopo che te ne sei andato, quel pomeriggio di 6 anni fa. Non ci siamo potuti salutare, ma si sa, queste cose van così.
Non potendoti abbracciare ti scrivo, che, in fondo, è l’unica cosa che so fare benino.
Noi quaggiù stiamo bene, spero sia lo stesso per te e per la mamma. Sta andando tutto bene, come mi dici spesso quando alzo gli occhi verso il cielo. Ti scrivo perché si avvicina la festa del papà e volevo raccontarti un paio di cosette sulla mia paternità, ora che sono solo padre e non più figlio.
Noi papà di oggi siamo smarriti, sbilenchi, confusi, stanchi. Le famiglie classiche, quelle come la tua, sono una foto in bianco e nero. Spesso siamo separati.
Sì, papà, mi sono separato anche io: so che non ti va giù, ma credimi è stata una decisione dolorosa quanto giusta. In generale abbiamo perso convinzione, forza e non abbiamo più nemmeno un punto di riferimento. Lavoro? Mah. Futuro? Boh. Soldi? Un ricordo.
In questo periodo mi sono proprio messo a scrivere di paternità e ho guardato negli occhi centinaia di padri. Volevo capire come esserlo, ora che mi manca un punto di riferimento. Qui giù ci son soloni che straparlano, dottoroni che sdottorano, giornalisti che ne scrivono: i problemi, però, restano e son sempre più grandi. Non sono più com’eri tu. Sono diversi, più sfuggenti, meno responsabili, più figli prestati alla paternità che padri. Ho lavorato su questo argomento alacremente, con il proposito di fare la fotografia di questa mia generazione che si nasconde, che corre, ma non sa bene dove.
Qui quelli che realizzano tanto sono pochi, quelli che guadagnano poco sono tanti. Hanno donne che non pazientano, relazioni che non arricchiscono, parole che non pesano.
In tutto questo guardare e scrivere, però, mi mancava qualcosa, papà.
Non sapevo che cosa fino a quando non sono arrivato a questa notte, a questo foglio elettronico, a questa lettera che ti scrivo piangendo.
Noi padri di oggi siamo padri senza padre.
Ecco il problema. Cominciamo a diventare padri quando non siamo più figli, quando voi trovate un bel posto dove riposare lasciandoci qui a respirare l’aria fetida di questa società senza ieri e senza domani, di questo posto liquido. La beffa ce la siamo servita da soli quando la comodità che ci avete regalato ci ha fatto procrastinare stupidamente il tempo della paternità. Sai papà, mi hanno chiamato nonno quattro volte davanti a mio figlio. Non va tanto bene, ma è vero. Sono il nonno di mio figlio. Ecco il problema. Sono diventato padre-nonno perché ho inseguito sogni più grandi di me per troppo tempo. Destino, sì, ma cinico e baro.
Ora avrò 61 anni quando mio figlio ne avrà 20. Li vedo, sai, questi padri dai capelli grigi che vanno contro il tempo con pargoli troppo piccoli tra le mani. Questi padri che non sono più figli e perdono sicurezza. Si avvicina la festa del papà e mi sto dando da fare per i padri separati come me.
C’è una marcia a Roma il 19 marzo, una marcia che le associazioni che aiutano i papà in difficoltà: chiedono di poter fare i padri davvero, chiedono di essere al centro della vita dei loro figli anche se si sono separati. Io non ci sarò, ma ho trovato il modo di essere presente facendo l’evento che puoi leggere qui. Grazie a una cosa che si chiama social network (una diavoleria di oggi, papà), chiedo a tutti di postare una frase e una foto che racconti quanto sia bello stare col papà. Magari fallo anche tu, mi basterebbe un tuo tweet, ma, insomma, so che hai altro da fare. Poi c’è anche lo zio, appena arrivato.
Chissà che passeggiate con tuo fratello. Io sarò sul Lago, ad Arona, con un gruppo di papà separati e ci daremo da fare. Sai con ‘sti social network puoi anche importunare qualche politico che si metta a risolvere i problemi dei papà separati in difficoltà. Lo farò e spero lo facciano anche tante altre persone. Anche se sono mamme, anche se sono sposate.
Ora vado, papà, saluta la mamma. Domenica ti penserò e penserò a quella frase che mi dicevi sempre: “Se la realtà non ti piace, guarda l’orizzonte”.
Sul mio c’è il sole. Spero anche sul tuo.
Con amore.
di Francesco Facchini

Sull'autore
Francesco Facchini, papà part time di professione, campo di scrittura su qualsiasi mezzo (dai tovaglioli dei ristoranti al web) e di immagini (spesso della mia fantasia). "Sono convinto di tre cose: mi pagassero un euro a errore che commetto sarei milionario, le migliori risate che faccio sono quelle su di me e l'elefante si può mangiare, ma soltanto a pezzettini. Il mio sito personale è www.francescofacchini.it".
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