A 29 anni rimasi incinta della mia prima figlia. Fu un'ottima gravidanza senza problemi, che si concluse a termine con un parto abbastanza lungo, nonostante fossi arrivata in ospedale già dilatata di 8 centimetri.
Purtroppo la bambina non riusciva più ad uscire, le contrazioni erano troppo corte ed io, stanca, non riuscivo a spingere correttamente. Il ginecologo decise di effettuarmi la "kristeller", manovra non più usata perché potenzialmente pericolosa. Ma io allora non lo sapevo.
Per fortuna andò tutto bene e anche il post parto filò liscio come l'olio. La mia curiosità mi spinse nei mesi successivi ad informarmi molto su allattamento, post parto, ecc. E scoprii un mondo di cose, tra cui che l'utilizzo dell'ossitocina per velocizzare il travaglio e il parto può compromettere il normale decorso delle cose, che la kristeller a me eseguita era quasi "vietata", perché estremamente pericolosa per il feto. E molto altro.
Comunque ormai era andata. Finché una cara amica di mio marito, dopo una gravidanza fisiologica e perfetta, morì tre giorni dopo il parto a causa di un trombo di liquido amniotico. Questo fatto ovviamente mi colpì molto e quando, dopo tre anni, rimasi incinta per la seconda volta, il pensiero di tutto quello che avevo scoperto riguardo al parto e l'idea di questa "mamma mancata", la cara Simona, mi bloccarono molto.
Cominciai ad avere davvero molta paura. Sapevo perfettamente che il parto è una condizione fisiologica naturale, che la mia bimba era sana e posizionata bene, che non avevo criticità... ma niente da fare, ero spaventatissima. Guardavo e giocavo con mia figlia e mi veniva da piangere perché pensavo che avrei potuto non farlo più.
Faticavo a dormire, dovevamo acquistare la cameretta nuova ed ero restia perché avrei potuto "non avere abbastanza soldi per il mio funerale", preparavo la roba per la nuova bimba comunicando continuamente a mio marito dove e come mettevo le cose perché avrei potuto non esserci più.
Era incredibile.
Io, spirito positivo per eccellenza, mai un cedimento psicologico, una personalità sicuramente emotiva, ma molto forte, stavo cedendo a una miriade di paranoie che mandavano in pappa il mio cervello. Finché, durante un'eco di controllo, il ginecologo mi disse che la bambina si era messa podalica e che quindi avremmo dovuto programmare un cesareo.
Dramma. Io ho il terrore della operazioni, delle anestesie, della spinale. Decisi quindi di rivolgermi ad una casa maternità della mia città dove operavano una fantastica osteopata, specializzata in donne in gravidanza e bambini, e una bravissima ostetrica. Con loro iniziai un percorso con l'intento di far girare la mia piccola in grembo.
L'osteopata, dopo aver eseguito alcune manovre, mi disse questa frase: "Se la tua bimba a questo punto della gravidanza si è girata, un motivo c'é, e parte da te. C'é qualcosa che ti blocca e lei lo sente. Pensaci". Mi si aprì una porta. Mi giunse uno schiaffone enorme. Capii tutto. La mia paura e il mio terrore mi stavano bloccando. La mia paura di partorire naturalmente mi stava preannunciando un cesareo ancora più difficile.
Ma io non volevo il cesareo. Io volevo un parto naturale. Allora la paura del cesareo (che si presentava come ormai certo) fu più forte della paura di morire (che avrebbe potuto non essere certa). Dopo questa "accettazione" con l'aiuto fisico e morale di queste due grandi donne, con il supporto sempre costante di mio marito e con la mia forza di volontà, riuscii a scacciare quei pensieri funesti. L'unico mio pensiero diventò unicamente FAR GIRARE la bimba.
E così fu. A due settimane dal termine la piccola si rimise in posizione corretta. E io ero talmente felice di non avere più (o quasi più) pensieri negativi... che sparirono del tutto all'inizio del travaglio, durante il quale tutte le mie energie erano focalizzate sulla nuova vita che stavo per donare al mondo.
Sioux nacque in cinque minuti in ospedale, dove arrivai già dilatata di 9 centimetri. Lei era bella, sana e io stavo da Dio. I miei fantasmi erano spariti. Le nostre paure hanno un'origine. Non bisogna combatterle, ma accettarle, comprenderle. Occorre farle altrui comunicandole, sviscerandole, non tenerle dentro. Non è stato facile, ma ora a quel pensiero sorrido perché è stata un'esperienza che oggi mi viene addirittura chiesto di raccontare.
di Ylenia
(storia arrivata sulla pagina Facebook)
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