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Ho fatto l'amniocentesi e ho perso il mio bambino

di mammenellarete - 11.11.2015 - Scrivici

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Fonte: Alamy.com
Era fine giugno scorso quando ho scoperto di essere incinta. Incinta, alla quarta settimana. Per me sarebbe stato il secondo figlio, sono già mamma di Roman, 20 anni. Ho vissuto questa gravidanza con qualche pensiero in più e avendo 38 anni ho deciso di fare l'amniocentesi. Quando è arrivato il giorno dell'appuntamento, l'amniocentesi mi è stata fatta non dal medico che pensavo, ma da una giovane assistente. Dopo essere uscita da quella sala, ho pianto per tre giorni, spaventata. Il terzo giorno, ho perso il bambino.

Sono Anna, ho 38 anni e vengo dal Kazakistan. Sono già mamma, mio figlio si chiama Roman, ha 20 anni. Studia a un'ora di distanza da casa, frequenta l'università. Abitiamo in una città del Nord Italia.

Se sto raccontando questa storia è perché spero se ne parli il più possibile e possa aiutare qualche futura mamma. Perché possa servire a fare informazione sull'argomento amniocentesi e i suoi rischi.

A giugno di quest'anno, la scoperta insieme a mio marito Giuseppe, che è italiano, della gravidanza. Era il 25 giugno... ero alla quarta settimana. Mi sono attivata subito per fissare tutti gli esami del caso. Sono andata in ospedale, ho chiesto all'infermiera che prende gli appuntamenti che cosa avrei dovuto fare. Visto che ho 38 anni, mi ha consigliato i test di screening e anche l'amniocentesi. Ho pensato: inizio a prenotare, poi nel caso non ci vado. Ma almeno ho già una data fissata con gli esami. Avrei dovuto anche prenotare la prima visita ginecologica ma, si presenta il primo problema: la prima data libera libera sarebbe stata addirittura dopo l'amniocentesi! Non avevano posto.

Decido quindi di affidarmi a un ginecologo privato. Lo vedo a luglio e, oltre ai vari esami del caso, mi parla della panoramica [il test del DNA fetale, ndr], al posto dell'amniocentesi. Ma costerebbe sui mille euro. Siamo indecisi, non sappiamo bene che cosa fare. Tutti parlano però dell'amniocentesi, è passata gratuitamente dal servizio sanitario, la percentuale di aborto è bassa. L'idea della panoramica sfuma... restiamo con l'idea dell'amniocentesi.

17 agosto: la data dei test di screening, faccio la translucenza nucale. Il risultato è incoraggiante. 1,1 millimetri e per l'età gestazionale in cui ero, era un buon risultato. Da quello che ho capito, mi sarei dovuta preoccupare per un dato superiore ai 2,5 mm. Ma manca un pezzo e io non lo sapevo perché nessuno me lo aveva detto: per avere un dato più affidabile avrei dovuto combinare il test con un esame del sangue.

Io, quell'esame, non lo avevo fatto. E a una settimana dalla translucenza nucale, mi viene il dubbio sull'amniocentesi: non la voglio fare. Magari basta sapere l'esito definitivo translucenza+esame del sangue per stare tranquilla...

Torno quindi in ospedale per avere informazioni in più e... è troppo tardi. Avrei dovuto fare l'esame del sangue il giorno stesso della translucenza per avere un risultato attendibile. Che cosa fare quindi? Restiamo con l'amniocentesi fissata.

A questo punto apro la parentesi. In tutta questa storia ci sono tanti se e ma.

Se mi fosse stato assegnato subito un ginecologo dall'ospedale e mi avesse seguito nel modo giusto...

Se mi fossi affidata solo all'esito della translucenza...

Se non avessi ascoltato i consigli veloci dell'infermiera che mi ha prenotato le varie visite a giugno, tra cui anche l'amnio...

Se non fosse così normale, per tutti, fare l'amniocentesi. Perché tanto è un esame di routine e gratuito dopo i 35 anni...

Ma torniamo a noi.

7 settembre 2015, l'appuntamento con l'amniocentesi. Nessuno mi ha detto che non sarebbe stato il medico che ci aveva seguiti ad effettuare l'amnio, ma la sua assistente. Assistente molto giovane. Non aveva neppure trent'anni.

E' stata lei a praticare le prime due inserzioni. Nel mentre... io ho sentito dolore, mi faceva male. Ma quello che mi ha più stupita, sono stati i commenti del Dottore e dell'operato dell'assistente. Ho dovuto subire frasi come: "Procedi così" , "Va bene" ecc.

Al secondo tentativo la formazione va avanti, io mi sono sentita come una cavia. Il dottore ha detto una frase all'assistente che mi ha inorridita e che ancora risuona nella mia testa: "Così non lo devi mai fare". Ho chiesto piangendo che cosa stesse succedendo. Non lo so che cosa stesse facendo: se l'amniocentesi va bene uno su certe cose ci passa sopra e non ci pensa più.

Dopo le prime due inserzioni il dottore ha inserito l'ago personalmente per la terza volta. Per la prima volta non ho sentito dolore e lui è stato velocissimo....

Dopo l'esame, abbiamo chiesto al medico se fosse il caso di prendere qualche giorno di malattia. Ci ride quasi in faccia. Sono perplessa, ma io non me la sento di andare al lavoro.

Torno a casa, non riesco a smettere di piangere. Sono preoccupata, agitata, piango per tre giorni.

Ho letto solo dopo il referto compilato sull'accaduto e abbiamo notato che c'era scritto una inserzione al posto delle tre effettuate (mio marito poi si è ripresentato all'Ospedale per farselo correggere).

Nel frattempo mio marito è andato a parlare con il medico di base e si è fatto dare tre giorni di malattia per me. Mi dicono che se non ci sono perdite o febbre posso stare tranquilla. Io ho delle lievi contrazioni e dei dolori, ma a quanto pare è normale. Mi fanno prendere un antidolorifico...

Passo due giorni a letto e finiti i giorni di malattia mi presento al lavoro. Anche mio marito a quel punto, più tranquillo, va a lavorare. Purtroppo si deve allontanare, quasi a 300 km da dove sono io.

Alle 12 mi chiama... e io... ho delle perdite, ho la febbre. Corro in ospedale, arrivo alle 13.50. Sono sola, chiedo a mio figlio Roman di raggiungermi, ma anche lui è lontano. Fa di tutto per raggiungermi il prima possibile. Intanto mio marito è in auto. Corre anche lui per arrivare da me.

Mi consigliano di accomodarmi su una sedia nell'atrio, così, in sala d'aspetto. Mi fanno un'esame del sangue. Aspetto un'ora e mezzo prima che mi facciano una ecografia. Sento che ho le contrazioni, non sto bene. "Sono in travaglio". Continuo a ripetere che sono in travaglio, di salvare il mio bambino.

Ma oltre alla sedia della sala d'aspetto, non mi dicono di fare altro. Nel frattempo arriva mio figlio Roman. Mi ritrovo da sola nel corridoio dell'ospedale, in travaglio. Sono passate quattro ore e mezza da quando sono arrivata, non ce la faccio più. Cerco un lettino, perché non riesco a stare seduta. Mi sdraio. E così, vestita, con indosso ancora i pantaloni, inizia il travaglio... e il parto.

Finalmente capiscono la gravità della situazione. Arriva subito un'infermiera, vengo circondata da medici. Provano a nascondermi, ero ancora davanti a tutti. Mi portano in uno stanzino. Ma il parto era già avviato.

A tre giorni dall'amniocentesi ho perso il bambino.

Dopo aver raccontato questa esperienza, i dubbi sono tanti: non esiste una registrazione dell'amniocentesi che possa rendere disponibile quanto realmente avvenuto, vale il referto medico che nel mio caso non corrispondeva alla realtà.

E poi, altre domande risuonano nella mia mente e in quella di mio marito: è giusto che la paziente non venga informata sul fatto che l'esame venga praticato da personale medico in fase di apprendimento?

E' lecito sfruttare il massimo delle inserzioni consentite dalla legge per far fare esperienza agli assistenti aumentando il rischio di perdere il bambino?

E' etico commentare anche con frasi di dubbia interpretazione davanti a una paziente in attesa di un bambino già in ansia?

Se quando mi sono presentata in ospedale, mi avessero dato subito l'antibiotico, forse l'infezione si sarebbe fermata e avrebbero salvato il bambino? Perché non mi è stato dato nulla per fermare le contrazioni?

Nei cinque giorni di ricovero successivi all'aborto, tutti i medici sono stati gentili ed educati. Mi hanno seguito in modo perfetto, con tanta umanità e calore. Ma l'esperienza che abbiamo vissuto io e mio marito ci ha segnati molto. Ci vorrà molto tempo per superarla.

di Anna e Giuseppe

(storia raccolta e scritta da Luisa Perego)

Tradizionalmente, il rischio di aborto dopo amniocentesi è considerato pari all'1%, mentre quello dopo villocentesi è considerato del 2%, cioè un caso o due casi ogni 100 procedure. Questi dati, però, vengono da studi clinici ormai superati: secondo gli operatori del settore e la letteratura scientifica più recente, il rischio c'è sempre, ma è molto più basso: da un caso ogni 200-300 procedure a uno o due casi ogni 1000.

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