Mamme nella rete- Di cosa parliamo esattamente quando parliamo di sindrome post-aborto e che tipo di approccio si ha? Quante, delle donne che si rivolgono a voi, la superano?
Dott.ssa Claudia Ravaldi- Il percorso di elaborazione del lutto è molto soggettivo, si calcola tuttavia che le donne e le coppie possano impiegare fino a tre anni per concludere un’elaborazione in modo sano. Le coppie che hanno un lutto derivante dall’interruzione di gravidanza sono molto spesso in difficoltà maggiore rispetto alle donne cui “è capitato per cause non dipendenti dalla loro volontà” soprattutto per il senso di colpa, che può impiegare anni, per non dire decenni, per essere elaborato.
L’associazione è ancora troppo giovane per poter offrire risultati certi relativamente all’elaborazione del lutto, che come ho ricordato può richiedere tre anni, ma in caso di aborto anche più. Quello che possiamo dire è che occuparsi del proprio lutto attraverso il confronto con altre madri, senza pregiudizi e senza chiudersi in se stessi migliora significativamente la qualità della vita, il benessere psicofisico dei genitori e i livelli di ansia o di ostilità. In particolare, frequentare un gruppo di automutuoaiuto di CiaoLapo, via web o dal vivo, è associato in un nostro studio a un miglioramento statisticamente significativo dei sintomi psichici, rispetto a chi invece non investe il suo tempo nell’attività di gruppo.
MNR- e a che livelli può incidere un aborto sulla psicologia di una donna, come si stabilisce che tipo di intervento mettere in atto?
Dott.ssa Claudia Ravaldi- Gli studi sull’aborto sono discordanti, e ad oggi non è possibile avere una certezza statisticamente significativa sull’associazione tra aborto e psicopatologia. Nonostante questo, sia con CiaoLapo che nella mia professione di psicoterapeuta ho incontrato molte donne che dopo un’interruzione volontaria hanno sviluppato psicopatologia, anche grave (severi disturbi depressivi, disturbi alimentari gravi, abuso di sostanze), in assenza di precedenti disturbi.
Già negli anni 70 Paykel aveva evidenziato in un suo studio sugli eventi di vita e lo sviluppo di patologia psichiatrica che l’aborto, o la morte in utero si associano ad un aumentato rischio di ammalarsi, molto vicino a quello della morte del coniuge o del figlio già grande.
È dunque noto agli addetti ai lavori che ogni evento di vita che abbia a che fare con un lutto mette la persona a rischio di ammalarsi, a causa delle imponenti reazioni da stress promosse dal nostro organismo che influenzano non solo i sistema immunitario e l’attività circadiana, (fame, sonno, sazietà) ma anche la neurogenesi (la nascita dei neuroni). Quindi, dopo una perdita in gravidanza, indipendentemente dalla causa, la coppia o la donna dovrebbero poter ricevere sostegno adeguato, sia in ospedale che sul territorio, sia da parte degli operatori che delle risorse culturali (video, libri, interviste approfondimenti).
MNR- Si recupera autostima soltanto una volta portata a termine una gravidanza?
Dott.ssa Claudia Ravaldi- Gli ultimi studi prospettici svolti sulle madri con precedenti lutti prenatali e postnatali hanno confermato ciò che la psicologia classica ha più volte evidenziato con numerosi contributi: se prima di avere un nuovo bambino non si elabora il lutto del figlio perduto, i rischi per il benessere della madre e del bambino successivo sono altissimi. A pagarne le conseguenze dirette sono le madri, che soffrono di ansia e di depressione molto di più che le madri senza lutti precedenti, ed i figli neonati, che più frequentemente sviluppano disturbi dell’attaccamento o disturbi del comportamento in infanzia e adolescenza.
MNR- Quali sono gli step che una donna deve affrontare, nel dettaglio, per superare il lutto, quanto contano l'invidia per chi ha figli o il giudizio della famiglia?
Dott.ssa Claudia Ravaldi- Il lutto si compone di fasi, di step, che purtroppo non si possono saltare, né abbreviare, né sminuire.
Dopo un lutto, ogni momento è un vero e proprio caleidoscopio psichico, perché la nostra mente reagisce scatenando un insieme di reazioni fisiche, psichiche ed emotive spesso in grande contrasto tra loro. La risposta alla perdita del bambino, inizia con un vero e proprio shock, che dura ore, ma anche giorni, e che limita notevolmente le capacità espressive e progettuali dei genitori. Molto spesso i genitori dicono di sentirsi “come proiettati in un’altra dimensione”, “come se fossi caduta in un buco nero”, “come se non fosse realmente successo”.
Questa fase ha una funzione protettiva sulla psiche, perché permette al genitore di arrivare alla fase della consapevolezza dell’evento luttuoso coi suoi tempi psichici. Quando si giunge a realizzare che la perdita è avvenuta (e questo nelle perdite perinatali, è facilitato dal riconoscimento del bambino, dalla preparazione di un rituale di passaggio, nel caso di un aborto precoce, o di una funzione funebre, nel caso di un bambino più grande, dal raccogliere ricordi di quel bambino e di quella gravidanza, tutte attività ben note all’estero e che CiaoLapo promuove e coordina anche in Italia), inizia un periodo di vero e proprio lutto, ed è in questa fase che i genitori iniziano a cercare risposte ai loro perché e a chiedere aiuto, ad esempio decidendo di iscriversi all’associazione e raccontare la loro storia.
Nel cammino dell’elaborazione del lutto non mancano le fasi di grande smarrimento, di paura (che possa accadere di nuovo, che non si abbiano più opportunità di avere altri figli etc) di rabbia (perché a me?) fino all’invidia nei confronti di tutti gli altri, percepiti come “diversi” e “fortunati” (ma anche distanti e indifferenti al dolore dei genitori, cosa piuttosto frequente nella nostra cultura). Anche una persona senza precedenti disturbi psichici è sottoposta a notevole stress sia legato ai cambiamenti intercorsi fisiologicamente in gravidanza, sia legato alla perdita dello stato gravidico (crollo ormonale), che vanno a complicare il già immenso trauma dovuto alla perdita del bambino.
Ogni lutto si elabora nel tempo, e il tempo è assai prezioso, per elaborare tutti gli aspetti del trauma, tutte le sfumature, e ri-crearsi una narrazione interiore in grado di conservare il bambino perduto nella memoria, dimenticando le profondità di dolore legate alla perdita. Ogni genitore in lutto dovrebbe essere messo nelle condizioni di prendersi il tempo per elaborare, e di investire il suo tempo, rispettando i bisogni ed i limiti personali, e non esitando a chiedere aiuto a terzi.
Credo sia inoltre importante sfatare il mito della linearità del lutto: non c’è un inizio a tempo zero e una fine a tempo x, (nella nostra cultura generale x sta per due tre settimane, al massimo qualche mese) ma c’è un continuo ritornare, in modo spiraliforme direi, su alcune parti del lutto, che necessitano di un’elaborazione progressiva. Non dobbiamo dunque stupirci, e tantomeno giudicare eccessivo, il genitore che inizia ad elaborare scientemente il lutto dopo la data presunta del parto di un bambino perduto nelle prime settimane di gravidanza, o se ogni anno, intorno all’anniversario di nascita morte, i genitori si sentono peggio e provano ancora emozioni intense e sgradevoli di dolore e disperazione. Questo fa parte del viaggio, e non è un imprevisto, ma un evento piuttosto comune, che va affrontato in pienezza per essere poi elaborato gradualmente.
MNR- Che tipo di formazione c'è per il personale e chi sceglie di fare questo lavoro, lo fa perché ha avuto esperienze simili oppure per una sensibilità particolare?
Dott.ssa Claudia Ravaldi-Il supporto al lutto perinatale, in una condizione di sviluppo sociosanitario adeguato, dovrebbe essere offerto naturalmente all’interno delle strutture ospedaliere e consultoriali dal personale già presente. Non è infatti una condizione che richieda intervento dello specialista, come può essere una diagnosi di disturbo bipolare, per la quale è necessaria la consulenza dello psichiatra: in ogni caso di lutto, salvo particolari eccezioni legate a lutti ripetuti, precedenti patologie psichiatriche etc, la prima forma di supporto dovrebbe pervenire dal personale curante.
In questi cinque anni, molti psicologi e molte ostetriche che lavorano nei consultori o nei reparti ospedalieri hanno espresso il bisogno di essere formati in questo specifico settore, al fine di migliorare non solo le loro competenze, ma anche l’efficacia dei loro interventi sulla salute a medio e lungo termine delle madri e delle coppie. La formazione risulta essere ad oggi un modo efficace per rinforzare non solo le capacità professionali degli operatori, ma anche la loro capacità di affrontare le coppie e le famiglie in lutto senza sentirsi travolti dall’imponente ed inevitabile carico di emozioni dolorose.
Come medico, come madre, e come presidente di CiaoLapo ho un sogno: spero che tra qualche anno in Italia i genitori non debbano più cercare disperatamente un supporto sul web nottetempo, ma possano ricevere un adeguato sostegno naturalmente nel loro ospedale, nel loro consultorio, nel loro contesto sociale.
Perché “non è possibile curare la morte, ma è possibile prendersi cura del dolore che resta”.
Leggi la prima parte dell'intervista con la dott.ssa Ravaldi.
Foto:Flickr
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