Inizio chiedendo scusa a tutti per l'anonimato, ma non me la sento di mettere il mio nome davanti a questa mia debolezza. Sono una mamma come tante, ho partorito tre mesi fa e solo da qualche settimana inizio a vedere la luce in fondo al tunnel.
Mia figlia è adorabile: sorride a tutti, è davvero tranquilla. Peccato che nelle prime settimane di vita abbia sofferto di coliche. Ogni giorno, ogni sera, con l'arrivare delle tenebre, partiva quel pianto insopportabile che mi entrava nelle ossa e distruggeva ogni mio pensiero.
Lo so, ero preparata. Lo so che è difficile stare dietro a un neonato. Lo so che i neonati piangono. Lo so che si arriva addirittura a scuoterli per l'esasperazione. Non riuscivo a capire come potesse essere possibile. Poi mi sono ricreduta.
Nella gestione della piccola sono lasciata completamente sola: vivo in una città lontana dai miei familiari e mio marito ha spesso i turni di sera e torna tardi. Stare dietro a lei che piangeva è una cosa che non pensavo potesse distruggermi tanto.
Il pianto del neonato ti entra dentro e ti devasta
Penso che non ci sia nulla di più devastante per un essere umano che sentire il pianto di un neonato. Ti entra dentro, ti rende impotente. Lo culli, lo giri, lo rigiri, lo metti a pancia in giù, gli fai i massaggini. Lo metti nella fascia, nulla. Sarà un po' di aria? No, piange ancora? Sarà fame? No, non vuole il seno. Sarà stanco? Ma non riesce ad addormentarsi.
Le provi davvero tutte. E lei, tutta rossa, a piangere, piangere, piangere.
Una sera ho pensato di non riuscire proprio più. Ho iniziato a piangere insieme a lei, mi sono resa conto di essere arrivata al limite, che non era umano essere sola a gestire un esserino che richiede così tanto.
Ho pensato a quello che mi avevano detto al corso preparto: di mettere il bimbo in un posto sicuro (come la sua culla) e di staccare un attimo. Di riprendere lucidità. E di chiedere aiuto.
L'ho fatto. Sono andata dalla vicina di casa che ha due figli pure lei, ma con uno sguardo ha capito subito quello che stavo passando.
L'ho fatto. Ho chiesto aiuto. Io che pensavo di non averne bisogno.
Io che credevo che non fosse normale non riuscire a crescere da sola la mia bambina.
Io che additavo le mamme sclerate non capendo cosa ci fosse di tanto difficile.
Chiedere aiuto è stato liberatorio. Ho parlato con la mia vicina, con mio marito, con la mia famiglia.
Mia mamma si è presa due settimane di stop da tutto per trasferirsi da me e darmi un po' di respiro con la piccola. Per darmi il cambio quando urla come una matta e non c'è nulla che la tranquillizzi. La vicina è andata dalla bimba e mi ha dato il cambio di tanto in tanto per farmi respirare un po'. Viceversa io stavo con i suoi bimbi più grandi e li facevo giocare.
Questa esperienza mi ha fatto capire che non dobbiamo per forza essere supermamme solo perché facciamo tutte da sole. Che si può anche chiedere una mano, che è umano non riuscirci. Che per crescere un bambino ci vuole un villaggio. Ma noi spesso questo villaggio non ce l'abbiamo.
Spero anche che questa mia storia possa aiutare altre mamme a chiedere aiuto. A non farsi mangiare dalla voragine che può essere la cura di un neonato che piange spesso. Che è vero che sarà una fase e che passerà (me lo dicevano tutti), ma se non si riesce, non si riesce.
E avere un villaggio intorno a sé o anche solo una persona amica, può fare davvero la differenza.
Una mamma
Che cosa è la Sindrome del bambino scosso?
Sono le conseguenze di una forma di maltrattamento che può avere esiti drammatici e di difficile diagnosi. Il bambino viene scosso violentemente per reazione al suo pianto inconsolabile, con conseguente trauma sull'encefalo e successive sequele neurologiche.