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Venuto al mondo alla ventiseiesima settimana di gravidanza, il mio piccolo non ce l'ha fatta

di mammenellarete - 28.08.2018 - Scrivici

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Fonte: pixabay
Anno 1995. Partorii alla ventiseiesima settimana a causa di un errore di valutazione di un medico. Il piccolo fu subito portato in terapia intensiva, ma non sopravvisse. Non sto qui a raccontare lo strazio dei giorni seguenti, vi dico solo sono passati 22 anni dal tragico evento. Nonostante ora abbia 3 figli stupendii, io non dimentico e scrivo la mia storia per dire alle mamme che si ritrovano a dover abortire di non farlo.  

La mia storia ebbe inizio nel lontano dicembre del 1995, quando dopo appena tremesi di matrimonio e un lungo fidanzamento di 12 anni, scoprii di essere incinta. Io e Ciro, mio marito, eravamo felicissimi e subito mi diedi da fare per tutte le analisi di controllo.

Su consiglio di mio padre che lavorava come vigilante presso un famoso ospedale di Napoli, contattai il miglior ginecologo, che per farmi risparmiare bei soldini... decise di seguirmi in ospedale e non nello studio privato dove avrei speso tanto.

Non è che fossimo poveri, ma non navigavamo nemmeno nell'oro, e, potendolo fare, seguimmo quella possibilità. Durante i primi mesi tutto andò bene: io avevo solo nausee mattutine, ma null'altro. Arrivata al quinto mese, il mio ginecologo mi disse di fare l'eco strutturale che io effettuai sempre in ospedale.

Il dottore mi disse che era tutto in regola e che dovevo stare tranquilla, ma una vocina nella mia mente mi diceva di rifarla privatamente perché il medico mi era parso frettoloso e superficiale. Quando portai l'ecografia dal mio ginecologo, mi rassicurai perché anche lui mi disse che era tutto okay e che la prossima l'avrei fatta a luglio.

Mai avrei immaginato di quanto mi sarei pentita di non aver datto retta al mio sesto senso. Passai quindi l'estate tranquilla. Andai al mare in attesa del seguente controllo. Arrivato il fatidico giorno, mi recai in ospedale e ritrovai lo stesso dottore che mesi prima aveva fatto la strutturale. Appena iniziò... mi accorsi subito che qualcosa non andava e lui mi diede conferma quando mi chiese a che mese ero.

Io dissi che ero al settimo e lui mi consigliò di mettermi subito in contatto col mio ginecologo perché il bambino era fermo al quinto. Io subito gli dissi che non era possibile, perché al quinto avevo fatto la strutturale, eseguita proprio da lui ed era tutto okay.

Ma lui mi liquidò dicendo che non si ricordava.

A quel punto chiamai il mio ginecologo, che mi disse di andare subito allo studio privato dove c'era anche il suo ecografo di fiducia. E lì, su quel lettino, iniziò il mio incubo. Le misure ossee non combaciavano con i mesi. Io ero andata avanti e lui era rimasto fermo a 26 settimane senza potersi ossigenare, quindi... occorreva farlo nascere subito.

Mi avvisarono che avrebbe avuto gravi problemi fisici e mentali se fosse sopravvissuto. Da lì la corsa in ospedale, raggiunta dal mio dottore che dopo un colloquio mi consigliò di fare il parto naturale pilotato, perché ero giovane e sarebbe stato un peccato eseguire un cesareo. Ma mi avvertì che siccome il bambino era troppo debole non sarebbe sopravvissuto alla fatica del parto.

Io, senza dubbio, scelsi il cesareo per dargli più probabilità di vita, nonostante continuassero a dirmi che non sarebbe stato facile allevare un figlio con problemi. Addirittura mi fecero l'anestesia totale perché non sapevano in che condizioni sarebbe uscito mio figlio e mi volevano risparmiare uno spettacolo non bello.

Mi risvegliai ore dopo con mio marito accanto e subito chiesi del mio bambino. Mio marito mi disse che lo avevano portato d'urgenza in terapia intensiva in una struttura vicina e che pesava 800 grammi, ma era un bimbo NORMALISSIMO.

Mio marito, una volta accertatosi che io stessi bene, andò nella clinica vicina e lì confermarono che era fortemente prematuro ma che era normale, anche se i polmoni non erano ancora formati e dovevano ossigenarlo loro. Mio marito faceva avanti e indietro tra me e lui finché non mi dimisero.

Allora corsi subito dal piccolo, anche se le dottoresse mi prepararono psicologicamente dicendomi che era pieno di tubicini che servivano per tenerlo in vita. Non dimenticherò mai l impatto che ebbi nel vederlo.

Era così piccolo e innocente e già si ritrovava a combattere. E io mi davo la colpa di tutto, perché se avessi ascoltato il mio intuito e rifatto la sttutturale forse tutto ciò non sarebbe accaduto.

Ricordo ancora che il piccolo aprì gli occhi: mi guardava e mi stringeva la mano con le sue piccole dita. Purtroppo, essendo in incubatrice, non potevo tenerlo in braccio nè potevo allattarlo perché troppo piccolo. Trascorsero così 25 giorni di paura e speranza. I nostri pomeriggi li passavamo in quell'ospedale ed io imprimevo nella mia mente ogni particolare del suo visino. Con il passare del tempo era anche aumentato di peso: era giunto a un chilo e 200 grammi e le speranze aumentavano.

Ma purtroppo il ventiseiesimo giorno lo trovammo di nuovo intubato: aveva avuto un forte crisi. Tornammo a casa distrutti con la consapevolezza che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno. Infatti nella notte arrivò quella telefonata che mai avrei voluto ricevere: il mio topolino (così lo chiamavo) non ce l'aveva fatta. Non sto qui a raccontare lo strazio dei giorni seguenti, vi dico solo sono passati 22 anni dal tragico evento. Nonostante ora abbia 3 figli stupendi e normalissimi, io non dimentico e scrivo la mia storia per dire alle mamme che si ritrovano ad abortire di non farlo mai, perché anche a 22 o 23 settimane non ci sono "feti", come vengono chiamati... ma BAMBINI!

di Anonima

(storia arrivata sulla pagina Facebook)

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