Qualche giorno fa mi è stato chiesto di raccontare la nostra storia. Ho deciso di farlo in quanto io e mio marito, quando ci siamo trovati nel mezzo della nostra complicata situazione, siamo stati confortati da un video e dalle parole di una famiglia, che come noi, aveva passato questa esperienza molto difficile con il loro piccolo, operato con successo.
Era il 21 marzo 2016 delle 17.57, quando, dopo un parto molto complicato, provocato e trascurato, veniva al mondo il nostro piccolo principe con un cesareo d’urgenza. Leonard, un bimbo dolcissimo, perfetto… Le visite iniziali e di uscita dichiaravano che era tutto okay, che stava bene, che era sanissimo.
Noi tutti, avevamo notato sin da subito quella testolina, (dall’alto) tendenzialmente ovale, ma da perfetti ignoranti pensavamo fosse dovuto alla situazione, al parto, alle tante ore di travaglio e non ci abbiamo dato peso. Alla prima visita, quella del primo mese di vita, la pediatra, dopo aver constatato la sua perfetta salute (un gran mangione), ci fece notare che la testa a suo dire “è grande/grossa” fuori dalla linea di crescita.
Noi ingenuamente, ci guardammo, guardammo le nostre teste, ci sorridemmo pensando: "Okay sarà genetico, non sarà nulla di grave dai". Per sicurezza e visto che sono una persona alla quale piace avere sempre le situazioni chiare, chiesi alla dottoressa se fosse una cosa grave, quali avrebbero potuto essere le conseguenze.
Mi venne risposto che poteva essere genetico, come no, che avrebbe potuto esserci una problematica come non esserci, che bisognava semplicemente monitorarne la crescita. In quel momento io ho risposi "ok, va bene" e uscimmo. Tempo di arrivare in macchina e il mio cervello era già partito con le classiche “seghe mentali”, iniziai quindi a scrivere in google : “testa grande”... ma non usciva niente di che… dicevano tutto e niente.
Arrivammo a casa e la nostra vita continuò più o meno normalmente, non pensandoci più di tanto. Eccoci arrivare alla visita dei 2 mesi: se prima non avevamo mai pensato alla sua testolina, quel giorno, beh, un po’ di ansia c’era, avevo misurato il diametro ed era cresciuta ancora moltissimo. Nato con 37 cm, prima visita 41.3 ed ora era 43.8... e dall’alto era palese la sua forma ovale allungata.
Cosa sarebbe accaduto? Poco dopo averlo visitato, la dottoressa ci comunicò che la testa era assolutamente al di fuori della linea e che a questo punto bisognava fare dei controlli. “Non sarà nulla non preoccupatevi”, ma dovemmo fare un ultrasuono per capire se c’era più liquido del normale. Dopo aver fatto i vaccini (Leonard non piangeva ed era un leone) uscimmo dallo studio, un'ansia pazzesca, ci fecero aspettare qualche giorno e finalmente l’appuntamento.
All’ospedale ci attendeva un tecnico del tutto insensibile, ma queste purtroppo sono cose che capitano, io non sono una mamma iper protettiva, ma chi mette le mani su mio figlio lo deve fare con il dovuto rispetto! Non è un pacco di pasta… un minimo di pazienza con un neonato di 2 mesi sarebbe d’obbligo. Comunque siccome erano le 12, finì in fretta il suo lavoro (malgrado il ritardo fosse il suo) e alla nostra domanda: "Tutto ok?" ci venne risposto: "Non so, devo fare i calcoli, vedrete poi con la vostra pediatra, arrivederci".
Tralasciai la mia reazione successiva ai fini dello scritto. Comunque era venerdì, l’idea di passare un week-end con questo dubbio ci ammazzava psicologicamente. Cominciammo dunque a fare chiamate alla pediatra pregando le ragazze di farci richiamare con il responso. Verso le 19 suonò il mio telefono, era lei, che mi comunicava che gli ultrasuoni avevano effettivamente rilevato un po’ di “acqua in eccesso”.
Io nel frattempo che avevo letto l’impossibile su libri ed internet chiesi: "Idrocefalia?" Mi venne risposto "Leggera, potrebbe essere, devo informarmi e devo chiedere ad un neurologo, ma voi non dovete assolutamente preoccuparvi, state sereni, che non sarà nulla". Vi richiamo io lunedì o martedì dopo aver parlato con il neurologo".
Terminata la telefonata, posai il cellulare, guardai mio marito, guardai mio figlio e scoppiai in un pianto lunghissimo, pieno di angoscia, di paura di dolore. Mio marito mi fece forza, mi fece notare quanto nostro figlio stesse crescendo bene, fosse sveglio attivo ed intelligente, mi rincuorò e nel giro di 30 minuti il il mio umore tornò alto.
È stato, se ci ripenso, forse il week-end più brutto di tutta la nostra storia… quel non sapere, quell’attesa nel dubbio… guardavamo il nostro piccolo e seppur non volevamo trasmettergli né ansia, né angoscia, a volte era impossibile per me trattenere le lacrime. Giunse lunedì, nessuna chiamata, non volevamo assillare, aspettammo martedì, nulla. Alle ore 17 chiamammo noi.
Segreteria okay. Basta, l’incazzatura andò alle stelle. Mercoledì mattina, stufi esausti e ormai senza più fiducia, decidemmo di chiamare il pediatra che mi aveva seguita dalla nascita, un uomo fantastico (che ci avevano detto, erroneamente, non prendesse più pazienti in quanto “in là con l’età”… altrimenti saremmo andati da subito).
Piangendo vomitai tutto la mia ansia al telefono, la signorina splendida, (e la ringraziamo ancora oggi), captando il mio disagio fortissimo, mi disse: "Venite subito! Portatelo che lo visitiamo". Tempo di attaccare il telefono e la famiglia era in auto. Entrammo nello studio e lui era lì, con il suo modo di fare unico, salutò Leonard, gli parlò, lo coccolò. Ci guardò e ci disse: "Beh non serve nemmeno una visita approfondita, la sua patologia è visibile ad occhio nudo.
SCAFOCEFALIA". Noi: "Scafocefalia???"
Sparì nel suo studio e tornò dopo 5 minuti con un librone di quelli di medicina, aprì una pagina e ci indicò l’immagine, la forma della testa rappresentata uguale identica a quella del nostro piccolo. Ci spiegò nel dettaglio di cosa si trattava, ci assicurò che lui non aveva la forma neurologica ma solo ossea in quanto si vedeva benissimo che era presente e sveglio, che aveva la mobilità perfetta, ma la testolina, quella testolina allungata era lì, e non mentiva, parlava da sola.
Io piansi, lui mi strinse, mi disse che non era nulla di grave, che avremmo risolto, che il tempo era passato e bisognava subito fare il punto, capire quanto la sutura sagittale fosse saldata, se si poteva fare fisioterapia/osteopatia, mettere un casco correttivo… insomma serviva visita specialistica chirurgica e TAC.
Uscimmo dallo studio, ovviamente tristi, ma sereni, questa volta ci era stato spiegato tutto per filo e per segno, non c'era spazio per seghe mentali e fantasie. Tutto era concreto e finalmente quella testa aveva un nome. Arrivati a casa, cominciai ad informarmi su questa patologia, trovai un video in cui spiegavano l’intervento, vidi immagini che mi scioccarono.
Ci facemmo forza sperando di non dover arrivare lì, di non doverlo mai vedere così. Il chirurgo, appena visto Leonard, in due secondi, confermò tutto ciò che ci aveva detto il secondo pediatra, disse che probabilmente era tardi per intervenire in altri modi se non con quello chirurgico, ma ci rincuorò, l’operazione non sarebbe stata fatta qui, ma a 300 km, con un neurochirurgo super quotato in una clinica specializzata.
Arrivò così la TAC, un’altra esperienza molto complicata, il nostro piccolo cominciò ad avvertire il fastidio di tanti controlli e “mani addosso” piangeva spesso. Ed ecco la conferma.
La sutura sagittale era ormai completamente saldata. Bisognava operare. Il professore, una persona squisita e super professionale venne a visitare Leonard, un servizio devo dire molto bello dal momento che non ci spostammo noi almeno in questa occasione.
Erano 300 km di distanza. Senza tanti giri di parole ci comunicò che Leonard doveva essere operato o il cervello non sarebbe riuscito a posizionarsi correttamente e la testa si sarebbe allungata ancora di più e non sarebbe riuscita ad allargarsi correttamente causando probabili danni neurologici e ovviamente un'estetica particolare.
Ci disse di stare tranquilli, io neanche a dirlo, feci tantissime domande, lui pazientemente ci rispose a tutto. ANESTESIA/DEGENZA/RISCHI…. "Sarà un taglio molto grande (da orecchio ad orecchio a zig zag)", ci disse, "ma crescendo diventerà invisibile, ci vorranno circa 7 giorni di ricovero e poi sarà controllato ogni anno per 5 anni".
Leggemmo su internet i riconoscimenti attribuiti a questo neurochirurgo, ci calmammo. Nel frattempo il nostro pediatra era sempre presente, ci chiamò, ci confortò, visitò spesso Leo, ci fu vicino psicologicamente. Anche le nostre famiglie pregarono, ci furono vicini, ci confortarono e ci aiutarono in tutti i sensi. Gli amici, essenziali, Febe e Gianluca, che non ci fecero mai sentire soli. Le mie amiche volontarie. Nadia e Michela, mie amiche storiche e mamme di 2 splendidi cuccioli nati poche settimane prima di Leonard, mi confortarono con sms e regalini speciali, fra cui un bellissimo body di Superman.
Tutte le amiche del corso pre parto pregavano per Leonard… insomma, saremmo partiti in tre ma in realtà eravamo in tantissimi. L’intervento si sarebbe fatto al compimento dei 4 mesi e così il 29 luglio 2016 Leonard sarebbe stato operato. Partimmo da casa il 28 luglio, fra le lacrime, salutai i miei cani, non li avrei visti nuovamente per una settimana. Già al parto mi erano mancati tantissimo, per me sono come i miei altri 7 figli, li amo immensamente.
Dovetti tenere tutte le mie energie e trasformarle in forza per il mio piccolo. Arrivammo alla clinica, era tutto ovviamente molto complicato, nessuno parlava la nostra lingua, Leonard fu sottoposto ad un’infinità di controlli, prelievi e quant’altro. La notte giunse ed io presi il mio piccolo stretto e dormimmo assieme.
Ore 7.15: giunse il papi, preparammo con la camicetta operatoria nostro figlio e alle ore 7.30 l’infermiera giunse alla porta. Si doveva andare. Scendemmo nel corridoio, solo io, perché era consentito solo AD UN GENITORE SCENDERE, una violenza a mio avviso ingiustificata, in quanto non si entrava in sala ma si restava nel corridoio, dunque a che PRO solo UNO?
Arrivò l’anestesista, e fu in quel preciso momento che tutto si fece reale, io, con tutta la mia forza, baciai il mio piccolo, lo salutai e lo misi nel lettino. Lui mi guardò e come sempre mi sorrise e il lettino se ne andò. A questo punto scoppiai in un pianto liberatorio, mi ripresi subito e grazie a quella signora, una volontaria sulla settantina, che era li per dare conforto ai genitori, che mi ricondusse da mio marito, ritrovai la mia lucidità.
Andammo a fare colazione, sereni e forti, pieni di speranza, scrivemmo su Facebook che Leo era entrato in sala, venimmo invasi di messaggi e il tempo passò in un soffio… questa condivisione in quel momento ci fece sentire tutto meno pesante, ci fece sentire meno soli vista la distanza da casa.
Dopo circa un'ora e trenta la volontaria ci raggiunse dicendoci che andava tutto bene, quando il telefono non suonava, significava che l’intervento sta andando bene. Passarono circa 3 ore e 30 e ci dissero di andare in una sala, da lì a breve sarebbero arrivati i dottori, e così 5 minuti dopo eccoli lì, con un sorriso smagliante a dirci: "L’operazione è andata benissimo ed è conclusa".
Dopo mille ringraziamenti abbracciai mio marito, ci prendemmo per mano, il peggio era andato.
Ci dirigemmo verso le cure intense, giunse il nostro piccolo, avvolto da una marea di flebo e con la testa fasciata, un passaggio che ci aspettavamo avendo visto un video delle conseguenze dell’intervento. Ci guardammo e pensammo: "Cavoli, non è nemmeno gonfio, sembra sereno". Una notte complicata, una notte che io passai su di una sedia rigida accanto al suo lettino.
Le cure intense furono dure, un continuo via vai, 5 ricoverati in pochi metri, con tanto di macchinari vari. Non potevo allattare, non mi venne permesso. Leonard per contro mostrava appetito, malgrado tutto, e tirai il latte. Verso le 4 del mattino decisi di andare a riposare almeno un paio di ore, la mia schiena era a pezzi e dovevo dormire.
Ore 7.30: scesi e venne anche mio marito dall’albergo, andammo dal piccolo, entrammo e riconoscemmo Leonard solo dal ciuccio. In poche ore il suo viso si era gonfiato, gli occhi erano chiusi a causa degli ematomi e lui sembrava molto sofferente. Sentì subito la nostra presenza e dopo un breve pianto sorrise (seppur ad occhi chiusi), avevamo delle foto incredibili, ogni giorno lui aveva sempre il sorriso. Era un bimbo speciale. Soffrivamo con lui, ma cercavamo di dargli forza e coraggio per fargli sentire una normalità di casa. Dunque riti/canzoni e tanto dialogo.
Al terzo giorno un drenaggio si staccò, dopo una breve pausa colazione tornammo e lo trovammo pieno di sangue. Da lì caos, trasfusione e cambio drenaggio… uscii, non riuscivo a guardare. Mio marito restò e diede coraggio a nostro figlio. Io piansi. Avevo paura. Uscì e mi disse: "Tranquilla tutto okay", ma il taglio faceva impressione, poverino, e ci abbracciammo. Leonard non uscì dalle cure intense per un altro giorno, data la complicazione, e nel frattempo mio marito tornò per 2 giorni a casa per motivi organizzativi.
La mattina successiva giunse il dottore, volle vedere la ferita e il drenaggio, volle levare qualche flebo, ma mio marito era già partito! Santo cielo! Che fare? Chiedo di uscire, non pensavo di essere pronta a vedere la ferita ed uscii. 30 secondi dopo sentii il mio piccolo piangere, disperarsi e pensai: "Sei una stronza! Fatti forza ca**o, lui ha bisogno di te!!! RIENTRAI! Lo presi per mano, lo baciai, gli dissi di stare tranquillo. Tutto durava 45 minuti. Ma io ero lì! Liberato da tutti quei tubicini finalmente ebbi la possibilità di prenderlo in braccio…. Fu un abbraccio che non potrò mai dimenticare, lui si letteralmente abbandonò sul mio petto in un sonno profondo, e io malgrado il peso, la stanchezza e le formiche ero intenzionata a tenerlo finché il corpo avrebbe retto… e per 2 ore restai immobile.
Da qui, giorno dopo giorno lui migliorava, il gonfiore si attenuava, grazie anche alle creme Aloe Vera di "Forever", datemi da mia sorella Elisa, un kit pazzesco che ha permesso in poche ore di far sparire il gonfiore agli occhi e poterli riaprire. La consiglio vivamente a chi affronta questi interventi, si chiama Gelly, validissima anche nella quotidianità per tutto (sederino arrossato, punture insetti, cicatrici…).
E che dire…. È stata dura, molto dura. Di notte si svegliava anche 25/30 volte e quindi a livello fisico, una maratona, ma ero pronta, finalmente lo potevo di nuovo allattare, poteva sentire la mia vicinanza. In reparto però nessuno mi chiese se volessi farmi una doccia, io ero sola e in 4 occasioni si dimenticarono che anche io dovevo mangiare! Grazie a mio marito che mi aveva fatto una scorta di cibo per emergenze non restai a digiuno!
Il quinto giorno guardai Leonard e lo vidi strano, cominciò a vomitare a getto, pianse disperato, malgrado in genere come già detto sia un bimbo che, definire solare, è dire nulla.
Chiesi aiuto in reparto, nessuno parlava la mia lingua, io conoscevo la loro, ma sembravano non voler capire… arrivò l’infermiera di turno e con fare “scazzato” mi disse di andare a fare una passeggiata con lui, di metterlo in fascia e mi disse: "Se non vuoi tenerlo, allora dallo a me che lo porto via". Mi salì una rabbia assurda, la cacciai, io sentivo che Leonard stava malissimo, chiamai Simona, la mia amica infermiera che mi era stata vicina in tutto il percorso, mi disse di cercare aiuto in cure intense. Scesi subito!
La faccia si era deformata, da un lato era piatto, ero impressionata, spaventata. Le infermiere mi vennero incontro nel corridoio, in quanto l’accesso era consentito solo a chi era ricoverato, videro il piccolo e mi dissero: "Ma cosa è successo?! È peggiorato tantissimo da ieri". Concordarono con me che qualcosa non andava, chiamarono subito il dottore, il bimbo venne messo in QUARANTENA!
Arrivata in reparto con il dottore molto arrabbiato l’infermiera si giustificò, io urlai: "Conosco il mio piccolo, io so che sta male!" Passarono così due giorni… due giorni che per me furono un’eternità, due giorni in cui sostenni Leonard 24h, praticamente con una presenza costante e una scrupolosa attenzione. Nel frattempo ci raggiunse di nuovo mio marito, ero sollevata. Finalmente la luce: il piccolo stava meglio, giunse il professore e ci comunicò: "Potete andare a casa". Felicissima, ma anche spaventata per ciò che mi aspettava (medicazioni, cure, controllo) feci le valigie.
Tornammo a casa. Posso dirvi che il primo mese è stato intenso, che il nostro piccolo ha subito molto il distacco dei primi giorni quando era in terapia intensiva, giorni in cui, a causa dell’assenza di una poltrona idonea, non potetti allattarlo. Da bimbo sereno che giocava da solo, non voleva più nessuna autonomia, da super sorridente era divenuto molto triste.
Ma con l’unione della famiglia, l’amore dei nonni/zii, amici, nel giro di un mesetto era tornato quello di sempre. I dolori si erano attenuati, la cicatrice aveva smesso di fare così male ed il sorriso era tornato protagonista su quel volto meraviglioso.
A distanza di 4 mesi, l’intervento è stato giudicato perfettamente riuscito, la testa è tornata perfettamente normale, i nostri cuori sono sereni e le menti stanno accantonando la vicenda per vivere finalmente una quotidianità normale, che seppur anche prima cercavamo di avere, non lo era certo al 100%.
Se qualcuno stesse vivendo questa difficile situazione e necessitasse di vedere le foto, per prepararsi psicologicamente, noi siamo a disposizione… a volte si ha bisogno di sapere i vari passaggi, e ringrazio la famiglia che con il video ha fatto sì che io sapessi esattamente come avrei visto il mio piccolo, e affrontassi quindi meglio il tutto.
FORZA NOSTRO PICCOLO SCAFOCEFALO, LA TUA CICATRICE TI RICORDERÀ SEMPRE LA TUA IMMENSA FORZA MA SOPRATTUTTO LA TUA VITTORIA! CON AMORE MAMMA….. E GRAZIE ANCHE AL TUO PAPÀ!
ps. Un grazie speciale anche alla mia amica Elena per il suo supporto.
Miriam, Andrej e Leonard
(storia arrivata alla pagina Facebook di Nostrofiglio.it, editata dalla redazione)
Ernia diaframmatica congenita: il mio Christian si è aggrappato alla vita
Chilotorace congenito, la storia di Alessandro
Io mamma giovane, a un passo dall'aborto, ho scelto la vita
Hai anche tu una storia da raccontare? Scrivi a redazione@nostrofiglio.it
Aggiornato il 21.05.2018