Ho 23 anni e sono mamma da quattro mesi di un neonato dolce e simpatico, che con i suoi primi sorrisi è già in grado di cacciare via i miei brutti pensieri.
Ero contentissima di questa gravidanza, anche perché nonostante i miei 23 anni, la vita non è stata né facile né gentile con la mia famiglia. Mio padre era malato di SLA da tre anni. Uso l'imperfetto perché 20 giorni prima della nascita di mio figlio ci ha lasciato, ha smesso di combattere contro la sua malattia. Provo ancora un dolore forte, inspiegabile.
Dicevo sempre a mio marito, nonostante fossi già incinta e mai avrei immaginato una cosa simile, che la paura più grande per me era che papà non riuscisse mai a conoscere i suoi nipoti. Questa frase mi ritorna in testa ogni giorno.
Ogni volta che mio figlio ride, io mi concedo di pensare a lui e di immaginarlo insieme a suo nipote, felice, senza dolore. Perché un bambino è capace anche di questo... di non farti soffrire, di farti dimenticare, almeno temporaneamente, il dolore.
Ma forse il mio papà non mi ha mai abbandonato. Sono stata tre giorni in ospedale prima di partorire. Provavo dolori forti ma sopportabili. Sentivo donne che urlavano e si piegavano in due, invece io riuscivo a sopportarlo e percepivo una mano sulla spalla che mi sosteneva. La stessa mano che mi ha dato forza al momento del parto.
Sono convinta che il mio papà angelo fosse alle mie spalle, con me. La sua presenza e la sua forza si sono unite alla mia e mi hanno aiutato al momento del parto. Quella forza tutt'ora mi circonda.
Ogni tanto cado in attimi di sconforto. È vero che la maternità ti rende più donna, più sicura di te, anche perché riesci a capire al volo tuo figlio.
Però, perdere un padre 20 giorni prima e a causa di una malattia bastarda come la SLA, ti fa venir sempre voglia di tornare bambina.
Vorrei poter stare ancora una volta tra le sue braccia.
di Carmen
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Aggiornato il 01.12.2017