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Dopo la morte di mia madre ho avuto un'adolescenza difficile. Ma ce l'ho fatta e ora sono una mamma felice di due bimbi

di mammenellarete - 28.07.2017 - Scrivici

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Fonte: Pixabay
Ho avuto un'adolescenza molto difficile dopo la morte di mia madre. Mio padre si comportava male, io dovevo lavorare e pulire, mentre accudivo mio fratello piccolo. Sono finita anche in un collegio. Ma ho avuto il mio riscatto: ho studiato e mi sono sposata con un uomo fantastico, dal quale ho avuto due bimbi. Il mio appello per voi è di non dare mai per scontato il tempo che avete da passare con i vostri figli, di non dire domani giochiamo di più, perché il domani può sempre cambiare. 

Ciao a tutte, sono una giovane mamma di 26 anni e voglio raccontarvi la mia storia, che ha influenzato la mia persona, fino a rendermi ciò che sono oggi. Avevo 10 anni, ci eravamo appena trasferiti al nord, tutto nuovo, scuola nuova casa nuova. I parenti più prossimi erano lontani centinaia di km. Era gennaio.

Ad agosto mia madre si ammalò. Io sapevo solo che aveva mal di gola. Passarono i mesi, lei sempre più in giro per vari ospedali, io sempre più tranquillizzata dalla frase "Mamma guarisce, non ti preoccupare".

Giunse quella maledetta domenica di marzo, andai da mia zia (una zia conosciuta a gennaio dell'anno prima, mai vista fino appunto a gennaio), mia mamma era in ospedale e mio papà stava andando da lei. Eravamo io e mio fratello di 7 anni, che mio zio portò con lui a comprare il giornale.

Mentre mia zia iniziava a preparare il pranzo, mi chiese: "Ma non sarebbe bello che la mamma andasse con gli Angeli, così non soffrirebbe più?". Io avevo già capito e tra le lacrime le risposi: "No, la mamma è la mia, non degli angeli". Da quel momento l'inizio della fine, una fine lenta, dolorosa, interminabile.

Mio padre iniziò a bere, a perdere ogni lavoro che trovava, a fare debiti con chiunque per il gioco. Ci misero vicini gli assistenti sociali. Ma non servì a nulla. Io a 11 anni lavoravo, pulivo casa, badavo a mio fratello, andavo a fare la spesa e pagavo le bollette. Non facevo nulla di quello che facevano le mie compagne, se non giocare a pallavolo, e quello mi ha salvò.

Mio padre passava ogni secondo ad insultarmi, a dirmi che non avrei mai fatto nulla di buono, che non sapevo manco asciugare una forchetta. Io restavo su una strada, a metà tra quella giusta e quella sbagliata.

Ero sempre arrabbiata e infelice, l'unica cosa che mi faceva stare bene era la pallavolo.

Tant'è che ero pure brava, mi avevano chiamata a giocare in Francia, studi pagati, tutto pagato. Avrebbero pagato anche me. E avrei giocato a pallavolo. Ma mio padre niente: io dovevo fare la cameriera e avevo mio fratello, non potevo partire. Avevo 15 anni e facevo le superiori che lui aveva scelto. Una scuola professionale.

Io avevo fatto la preiscrizione alle magistrali, ma poi lui mi iscrisse lì, nonostante fossero state le mie insegnanti a dirgli "E' brava, ha intuito, non interrompiamogli gli studi, saremmo ben disposte in collettiva a pagarle i libri e gli abbonamenti". Ma lui nulla. Andavo senza abbonamento, perché poi lavoravo io, ma i soldi li davano a lui.

I miei coetanei prendevano in giro perché avevo i vestiti brutti e le scarpe rotte. Non andavo dalla parrucchiera e dall'estetista. Ma io che ne sapevo... senza una figura femminile. Io ad oggi non so farmi le sopracciglia da sola. Iniziai a frequentare ragazzi più grandi. Iniziai a fumarmi le canne. Ad uscire dopo il lavoro e rientrare alle 5 del mattino, a non andare più a scuola e mio padre mi diceva: "Basta che mi porti i soldi a casa, poi puoi fare quello che vuoi".

Una sera, mentre giocavo ancora a pallavolo, mi chiese gli ultimi 2 euro che avevo, che però mi servivano a far scrivere il mio nome sulla maglia perché, essendo una squadra dell'oratorio, non avevamo molti sponsor. Gli dissi di no.

Me ne diede tante, così tante, da far intervenire mio fratello (che fino ad allora era sempre stato dietro di me, io le prendevo anche per proteggere lui) che piangeva e gli diceva: "L'ammazzi, lasciala". Quella stessa sera scappai dai carabinieri e lo denunciai.

Fummo allontanati da casa, finimmo in 2 comunità in 2 regioni diverse. L'inizio di un altro incubo.

Ricattata dalle educatrici: "Se non fai questo, non ti diamo il cellulare (potevamo tenerlo solo 1 ora la sera), se non ascolti, non vai agli allenamenti, se non fai questo non ti diamo i soldi della ricarica". Pregavo, pregavo affinché passassero in fretta quei 2 anni che mi separavano dalla maggiore età.

Avevano cercato anche di farmi passare la voglia di andare all'università. Ma io sono e lo ero di più prima, testarda. In quei 2 anni, lavorando il fine settimana, ero riuscita a mettere via abbastanza soldi per farmi la patente, prendere una stanza in affitto e iscrivermi all'università. Non costruivo legami forti con nessuno, non mi riusciva.

Infatti ancora oggi non riesco ad avere amici che si possano definire tali. Lavoravo, con colui che poi è diventato mio marito, padre amorevole dei miei figli. Siccome era diminuito il lavoro, non riuscivo più a mantenermi da sola. Fui anche derubata dalla coinquilina, perciò presi io da sola una casa in affitto. Dovetti, all'ultimo anno, lasciare l'università. Ero quasi diventata un'educatrice.

Mi avvicinai, durante gli anni di studio, alla figura di Maria Montessori, ed è a lei che devo, se oggi posso definirmi una buona madre, se ho saputo non dimenticare, ma riorganizzare il dolore. Riuscire a fare di quel dolore il motore della mia vita.

È sempre stato tutto un "Dimostrerò a quelli che mi hanno sminuita, derisa e umiliata che io da sola valgo più di loro" e così è stato perché se anche non mi sono laureata, io da sola a 18 anni ho ripreso la mia vita, adottato mio fratello, che vive ancora con me, ho una cultura superiore alla media visto che comunque in 3 anni ho studiato psicologia, sociologia, economia.

Avevo e ho un lavoro stabile, mi sono sposata con un uomo che non mi picchia, non mi tradisce ed è un padre amorevole (l'ho voluto scrivere perché c'è il pregiudizio comune che noi, ragazze di comunità, ci troviamo uomini che bevono e ci picchiano: non è vero!) e ho due splendidi bambini, di 3 anni e 7 mesi.

Ogni giorno porto con me il peso di quello che ho vissuto, quando mi guardo attorno e non c'è nessuno, quando ho bisogno e non so chi chiamare. Quando ho vissuto il dramma di un aborto e non ho avuto la spalla di mia madre su cui piangere. O sulla quale gioire ai test positivi. O la mattina del mio matrimonio, quando ho preparato tutto io. La casa, il letto, le decorazioni.

È stato mio fratello ad allacciarmi l'abito da sposa e a portarmi all'altare. Sento ora, più di prima, la mancanza di mia madre. L'ultima cosa che mi ha detto è stata: "Prendi tuo fratello e vai in collegio". Lei sapeva come sarebbe andata. Lei lo sapeva e comunque non ha trovato un modo di proteggerci. Tutto quello che ho passato, visto, sentito, mi ha aiutato a decidere come volevo essere.

Soprattutto mio padre mi ha insegnato esattamente come non voglio essere e come non deve essere assolutamente mio marito. Noi siamo soli, nemmeno sua mamma vuole fare la nonna e a noi diciamo che va bene così, perché la nostra forza siamo noi. C'è chi vorrebbe non aver vissuto ciò che ho vissuto io.

Invece per me non è così. Se non fossero successe tutte quelle cose, io non sarei finita in questo paese, non avrei conosciuto mio marito e la sera non avrei nessuna vocina che sussurra "Buonanotte mami, ti amo!" e nessuna boccuccia da baciare. Io invece ne ho 2, anche se mi reputo sempre la mamma di 3 bimbi.

Il mio appello per voi è di non dare mai per scontato il tempo che avete da passare con i vostri figli, di non dire domani giochiamo di più, perché il domani può sempre cambiare. Non dite ai vostri figli che non sono capaci: cresceranno pensando che avete ragione, perché siete voi il loro mondo, loro lo conoscono attraverso i nostri occhi e i nostri racconti.

Anche quando li sgridate, non vi dimenticate di dire loro che gli volete bene e loro sono importanti, questo darà loro una base sicura nei giorni difficili. Non pensate mai che le cose non si possono cambiare, perché tutt'altro, le cose non possono mai restare come sono, siamo sempre in mutamento, come la vita.

di Mariarosaria

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