Il numero delle ‘scuole internazionali’, in particolare quelle in cui l’inglese è insegnato accanto alla lingua locale, pullula. Fino all’eccesso. Un po’ ovunque; in Italia come in Svizzera. Si parte dal nido, per poi passare alla materna, si completa con il ciclo della scuola primaria e si conclude con il resto del percorso scolastico obbligatorio. Francamente, da mamma, non ho ancora capito troppo l’entusiasmo, per le scuole internazionali.
A parte quei genitori, nessuno dei quali di madrelingua inglese, che iscrivono i propri figli alle scuole internazionali un po’ per moda, perché è cool, ce ne sono altri che credono nei benefici dell’esposizione alla lingua straniera ‘fin da subito’. Ho letto di nuclei famigliari, dove l’inglese non si parla, credere fermamente che le scuole internazionali diano ai propri figli un vantaggio linguistico, necessario, oggi giorno, per emergere e diventare adulti di successo (economicamente soprattutto). Alla base vi è, appunto, l’idea che sia meglio imparare una lingua da piccoli. La testa, dicono, è più elastica.
Ci credo. Eppure.
L’argomentazione giustifica i costi a tante, troppo, stelle che dei genitori si devono sobbarcare per pagare le rette delle scuole internazionali? Ricordo che al liceo ero molto brava ma non in inglese. Arrivavo appena alla sufficienza. Oggi questa lingua fa parte della mia quotidianità. Le lingue straniere si possono anche imparare, da giovani e da adulti, col tempo, con passione, per amore. Possibilmente vivendo a contatto con la lingua stessa, ovvero là dove essa viene parlata come madre lingua.
Da qualche tempo, però, lo ‘scontro’ tra scuola pubblica o privata monolingue vs scuola internazionale ha acquisito importanza anche per me, anche per la mia famiglia bilingue. La domanda mi assilla in queste settimane, dato che tra alcuni mesi dovrò iscrivere il mio primogenito alla scuola materna, obbligatoria, a Zurigo.
Il ‘problema’, per noi che parliamo solo italiano e inglese tra le mura domestiche, è che qui nelle scuole pubbliche si insegna in tedesco ‘germanico’, l’hoch Deutsch, oltretutto molto diverso dal dialetto svizzero con cui le maestre dell’asilo nido hanno parlato fino ad ora a mio figlio (1 eins; 2 zwei; 3 drüü; 4 vier; 5 feuf; 6 sächs; 7 sibe; 8 acht; 9 nüü; 10 zää).
Ci è stato suggerito che nel caso di un nucleo famigliare come il nostro, un curriculum bilingue può aiutare mio figlio a livello sia scolastico che sociale. Alla scuola internazionale, mi si dice, mio figlio parlerebbe almeno in parte in inglese, come il suo daddy.
È legittimo pensare che gli sarebbe più facile riuscire in certe materie, quelle insegnate in inglese, a parità d’impegno scolastico. Anzi, potrebbe usare le proprie energie per imparare il tedesco e riuscir discretamente nelle prove che vengono svolte in tedesco. Però, quanti condizionali in questo ragionamento! Troppi potrebbe, farebbe, riuscirebbe. Tra gli altri, mi si trova scettica sul fatto che eccellendo (forse) nel curriculum inglese, la conoscenza del tedesco di mio figlio sarebbe approfondita. Con i coetanei di scuola mio figlio userebbe la lingua di Goethe? Dubito. Per comodità si appoggerebbe all’inglese. Il rischio è che rimanga (ri)legato al mondo degli expats. Che vanno e vengono, e cambiano spesso.
Ecco allora che cade anche il ragionamento del vantaggio sociale (la socializzazione con gli altri), a dispetto di quanto mi si vuol far credere. Certo, mio figlio si troverebbe circondato da compagni che parlano come daddy, e non si sentirebbe un outsider, un escluso, a scuola, nel mondo degli English-speakers. Però. I suoi amici sarebbero individui che vivono con la valigia in mano. Nella società svizzera rimarrebbe poco integrato. Perché senza acquisire la capacità di parlare tedesco (meglio sarebbe dialetto svizzero) alla squadra locale di calcio come farebbe ad andarci? E al parco come potrebbe giocare con gli altri? Integrazione sociale passa (tanto) attraverso l’acquisizione della lingua locale e il suo uso quotidiano.
Siamo dunque costretti a scegliere tra curriculum scolastico e integrazione? La domanda rimane aperta. In ogni caso, la proposta delle scuole internazionali, con ogni rispetto, resta dubbia.
Di Valeria Camia
Mamma di due bimbi, con un marito sempre in viaggio per lavoro, scrive delle sue avventure e disavventure giornaliere in Svizzera
http://mammaimpara.blogspot.ch
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