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Nascita e crescita di Samuel, mio figlio con sindrome di Beckwith-Wiedemann

di mammenellarete - 28.02.2023 - Scrivici

bambino
Fonte: shutterstock
Nascita, crescita di Samuel e come ho scoperto che ha la sindrome di Beckwith-Wiedemann

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Semplicemente tu.
Nel 2007, dopo innumerevoli tentativi quella lineetta rosa è finalmente visibile. Non puoi capire la felicità, ero in casa da sola e sono corsa in garage dal tuo papà per dargli la splendida notizia. Era lì con il nonno Flavio. Inizia così la nostra magica avventura, fatta di aspettative, speranze e dubbi.

Ho preso appuntamento dal ginecologo e siamo andati a fare la prima visita, per fortuna oserei dire! Eh si, perché ero già di 9 settimane. Il tuo cuore batteva all'impazzata così come il mio e quello del tuo papà.

Crescevi e crescevi in modo regolare, io non avevo nessun disturbo, mangiavo, dormivo abbastanza direi e ti guardavo muovere sotto quel sottile strato di pelle che ti separava dalle nostre braccia.

Le ecografie andavano bene, i 9 mesi sono passati sereni, tra uno sbalzo ormonale e l'altro. Dieci giorni prima del termine previsto, hai ben pensato di sederti sui condotti del mio fegato, avevo così tanto prurito in tutto il corpo che hanno deciso di farti nascere. Sono tre giorni che non dormo perché infastidita da questa cosa e inizio ad essere senza forze.

 

Mi inducono il parto

Così il 12 novembre 2007 vengo ricoverata all'ospedale. La mattina mi inducono il parto, tutto tranquillo fino al tardo pomeriggio dove inizio ad avere le prime contrazioni. Nulla di che in principio poi sempre più forti. Le cose non cambiano nelle ore successive e dal momento che sono serena il papà ha deciso di andare a casa a farsi una doccia e a riposarsi un po', se servisse lo avrei chiamato.

Sono le due del mattino, ho delle contrazioni forti, entro nel panico e chiedo del tuo papà. Lo chiamano e lui si fionda da noi, mi tiene la mano, mi dice che sono forte e che presto sarai con noi.

Mi calmo e con me anche le contrazioni. Alle cinque sembra che la situazione sia sotto controllo così dico a papà di tornare a casa e di dormire un po' perché l'indomani sarebbe stata una gran giornata. Se ne va e io resto sola con te! Nello stesso momento in cui papà esce dalla porta dico all'ostetrica: "Wow mi ha dato un calcio!". Lei mi chiede se fossi sicura e di alzarmi in piedi. Così ho fatto e... altro che calcetto, avevo rotto le acque, questo avrebbe comportato il tuo arrivo, non sapevo quando ma tu stavi arrivando.

Ero esausta e sentivo di aver poche forze così i medici hanno deciso di farmi l'epidurale, per permettermi di prendere un po' di fiato. Seduta su un lettino mi chiedono di restare immobile, come se fosse semplice in piene contrazioni, non posso neppure dirti che capirai un giorno perché sei un uomo e non sarà così. Insomma fatta l'epidurale mi visitano, sono le 8 del mattino e sono di 8 centimetri. Prendo il telefono e tra una contrazione e l'altra avviso papà che è meglio che si sbrighi. Credo che quella mattina deve aver chiesto aiuto a qualche Avengers perché in un batter d'occhio era in camera nostra a tenermi la mano. Tra una spinta un respiro e un cambio mano, per papà intendo, eccoti al mondo, senza proferire vagito.

Chiedo perché non stessi emettendo nessun suono e da lì a pochi secondi eccoti forte e chiaro. Invito il tuo papà a venire con te nella nursery mentre il personale medico si occupa di ricucire i malanni che hai combinato uscendo! Li sento parlare, dicono che ho perso molto sangue, che il tuo cordone ombelicale ha un vero nodo ed è un po' "strano" e che la mia placenta pesa 1 chilo e 300 grammi ed è mezza in necrosi.

Non mi preoccupo, sei vivo, lo sono io e questo è più che sufficiente. 

 

Ti vedo quattro ore dopo il parto

Riesco a vederti 4 ore dopo il parto, una follia direi, ma vabbè eri con il tuo papà. Eri un frugoletto di 2 chili 960 grammi, lungo e magrissimo. Avevi una mascherina attorno agli occhi come se ti avessero messo l'ombretto rosa sulle palpebre e in mezzo alla fronte avevi una macchiolina rossa. Lo sforzo ci hanno detto, eri meraviglioso.
 
Ho cercato di farti attaccare al seno, ma facevi tanta fatica, non volevano darti l'aggiunta, "si attaccherà" dicevano. Tre giorni dopo ci mandano a casa. Siamo eccitati, ma anche preoccupati perché ancora non mangi bene, così contattiamo l'ostetrica della zona che viene a conoscerti.
Subito ci dice che sei troppo magro, che devi assolutamente mangiare e quindi ci consiglia il latte artificiale per darti forza e poter poi mangiare da me.
 
Passa una settimana e tu fatichi sempre a tenere la tettarella in bocca, la tua lingua ci sembra molto grande e anche la pediatra lo vede, e dice che forse è una tua particolarità.
 
 

Mangi regolarmente e cresci

Passano i mesi e nonostante tutto mangi regolarmente e cresci, cresci immensamente. Il tuo peso aumentava di sette-ottocento grammi a settimana e io dicevo alla pediatra che non sapevo davvero dove metterti, sembravi un omino della Michelin. Restava la tua lingua grande, il tuo ombretto sugli occhi e una pancia molto prominente.
 
Verso l'anno andiamo a Bolzano da un gastroenterologo per farti visitare pensando avessi un'intolleranza e iniziamo a farti mangiare le cose senza lattosio. Le cose però non migliorano per nulla. La tua pancina restava gonfia e il tuo ombelico aveva una piccola ernietta. 
 
Tu comunque crescevi bene e forte. Hai iniziato a camminare a 16 mesi e hai parlato verso i tre anni, ed eri un bimbo sveglio e pieno di vita. Il papà un giorno mi ha fatto notare che avevi una gambetta un po' più cicciottolla, ed era l'ennesima particolarità che non riuscivamo a spiegarci e che nessun medico riusciva a farlo.
 

Un tumore placentare

Quando avevi circa due anni sono andata a fare un Pap test, e il medico che mi ha visitata mi ha chiesto come stavi. Non ho subito capito cosa intendesse e l'ho guardato con fare interrogativo. Mi dice che tra i miei referti c'è un istologico che dice che ho avuto un tumore placentare e che tu potresti avere una sindrome rara chiamata Beckwith-Wiedemann (Bws). Mi si gela il sangue e non connetto più, gli chiedo cosa devo fare e mi consiglia di sentire la pediatra.
 
Esco dall'ambulatorio e sento il tuo papà, piango, non so dove sbattere le testa e so cosa devo fare? Torno a casa e vado subito in internet, il buon vecchio internet, quel mondo che se hai paura di qualcosa sicuramente ti terrorizzerà per tutto ciò che ci puoi trovare scritto. E così è stato!! Papà lavorava e abbiamo iniziato a sentirci, ero nel panico, avrei voluto che qualcuno mi dicesse subito di cosa si trattasse, che sarebbe andato tutto bene, invece l'unica cosa che sentivo era la disperazione e la solitudine. I giorni seguenti prendo il cellulare chiamo a destra e a manca per trovare qualcuno che possa darmi una risposta e non c'è nessuno, non so dove andare e cosa fare. Non so dirti chi mi ha indicato un genetista di Rovereto. A dire il vero, povero, non ne ricordo neppure il nome, ma finalmente qualcuno ci può aiutare. Con papà prendiamo contatti con lui e ci dà i contatti dell'istituto Auxologico di Milano.
Nel frattempo mi iscrivo in Facebook con un nome fittizio, per cercare qualcuno che come me si trova nel panico e stia cercando qualcuno con cui confrontarsi. Prendiamo i primi contatti con la dottoressa Bonati e la dottoressa Russo e scendiamo tutti in gita a Milano. Veniamo accolti con calore e professionalità. 
 
La dottoressa Russo ti guarda per bene e ci dice che faremo l'esame genetico, ma può dirci con certezza che hai proprio la Bws. Non saprei dirti cosa ho sentito, è come se mi stessero prosciugando l'anima, ci avevano detto che avevi una sindrome rara e che avresti dovuto seguire dei controlli periodici. Una frase che ricordo ancora della dottoressa Bonati è stata che "se mai avesse potuto scegliere una malattia rara per un figlio avrebbe scelto proprio questo perché era una delle meno peggio", come se ad un genitore importasse cosa sia meno peggio, perché scegliendo sarebbe meglio il niente e basta.

Rientriamo a Trento un po' spaventati, un po' attoniti, un po' tristi, non so bene come ci siamo sentiti. Il tuo papà ha iniziato i suoi silenzi, sì perché papà quando è preoccupato o spaventato si chiude come un riccio e ha bisogno dei suoi tempi per parlarne. Veniamo messi in contatto con la genetica di Trento per eventuali altri prelievi da fare senza dover scendere a Milano.

Arriva la diagnosi

Il mese di aprile arriva la diagnosi "sindrome di Beckwith-Wiedemann", lo sapevamo, ce lo avevano detto, ma quanto abbiamo pianto io e papà. E ora? Sempre il buon internet ci ha fatti incappare nella pagina dell'associazione e nel santo numero di Monica. La prima telefonata e le prime delucidazioni, i primi approcci e il gruppo Facebook. Sempre per me Samuel però, papà c'era sempre per accompagnarti alle visite, ti amava alla follia, ma non parlavamo della sindrome, era ancora un tabù. Quando partivamo per la giornata dei tuoi accertamenti lo vedevo sempre in apprensione e il suo viso si rilassava solo quando, a fine giornata, ci dicevano che era tutto ok.

Pochi mesi dopo la diagnosi ho ricevuto una telefonata, era la dottoressa Pedrolli. Mi dice che è il medico che coordina le malattie rare di Trento e mi chiede se vogliamo affidarci al loro servizio invece che scendere ogni volta a Milano. Ne parlo con il papà e ci sembra una buona idea. È qui che inizia la nostra avventura con la 'Dottora', sì perché per noi da quel giorno per tutti i giorni a venire la Pedrolli era la 'dottora' che c'era sempre, per ogni dubbio, per ogni paura, per ogni esame. Ci ha seguiti e ci sta seguendo con professionalità e, ti dirò, con immenso affetto.

Gli anni sono passati, i controlli venivano effettuati regolarmente. Nel tempo ho instaurato buoni rapporti con gli altri genitori del gruppo Facebook, vedo altri bimbi con te, anche loro con le proprie battaglie, ma meravigliosi e sani. Mi confronto e a piccoli passi cerco di inserirmi nel gruppo. Provo a volte a parlarne con papà, gli faccio vedere alcune foto, ma lui mi chiede di lasciar stare, che quando sarebbe stato pronto lo avrei capito. Sapevamo che avresti dovuto affrontare l'intervento al ginocchio ma era molto lontano dai nostri pensieri, fino a che il giorno è arrivato.

Non sai la rabbia quando parlavamo con l'ortopedico. Lui continuava a dirci che avevi una semplice dismetria degli arti, che fatica fargli capire che si parla di emipertrofia. Sentire ogni volta che sminuiscono il nostro dolore e le nostre preoccupazioni. Pensa che avrebbe voluto farti l'allungamento invece che bloccare tibia e femore. Ci ha perfino detto che se avessimo deciso di andare a Milano, non avremmo dovuto poi andare a chiedere aiuto se succedeva qualche imprevisto. Noi eravamo comunque due grandi testardi e per il tuo bene, ti avremmo portato in capo al mondo. Ci ha angosciato l'idea di metterti sotto i ferri ma abbiamo superato in modo eccellente anche questo ostacolo. 
 
Qualche anno dopo hai subito l'intervento di rimozione delle viti, sapessi che avventura anche quella scelta li. Dopo il controllo di routine il chirurgo dice che sei a posto e dobbiamo togliere le viti per evitare l'ipercorrezione. Bene facciamolo. Fortunatamente avevi il bilancio dei 12 anni e la pediatra ci dice che secondo lei non sono da togliere. Il papà lo aveva visto sai, perché nei suoi silenzi è sempre stato attentissimo alla tua salute e ti osservava attentamente. Dopo una discussione con il chirurgo si è scusato perché aveva letto male le tue radiografie. Lui sparisce e noi veniamo indirizzati ad un altro chirurgo che se solo avessi potuto prenderlo a testate!! Durante la visita pre operatoria ti guarda, poi guarda me e dice che a 12 anni non saresti cresciuto più molto, quindi potevamo tranquillamente togliere le viti. Io sono attonita e furente, esco dall'ospedale, chiamo il tuo papà e gli dico che saremo andati a Milano per un consulto da Maurizio De Pellegrin, l'unico ortopedico che sa davvero di cosa diamine stiamo parlando. Così facciamo l'ennesima gita, lui ti visita e ci dà un nuovo appuntamento, non hai ancora recuperato i centimetri quindi le viti restano dove sono. Passa ancora quasi un anno prima che tu te ne possa liberare, ma va bene così, basta non aver buttato al vento il primo intervento.

Nel tempo l'associazione Aibws organizza vari meeting, per conoscersi, ma il papà non se la sente, non so bene quali paure abbia, ma vedrai che prima o poi lo convinciamo.

Nel 2019 viene organizzato il primo convegno internazionale della Bws. In punta di piedi chiedo a papà se questa volta se la sente di incontrare altri genitori, gli dico che è Importante confrontarci. Incredibilmente mi dice che va bene, andremo a Cervia. Sembra quasi una commedia ma quando tutto sembra incasellarsi a dovere... arriva il Covid. Chiamo Monica e ci scherziamo su, il convegno viene spostato al 2022, ma che importa, ormai abbiamo aderito.

Con il Covid iniziamo ad avvicinarci alle altre famiglie, facciamo dei meet online, apertivi virtuali, dove partecipa divertito anche il papà. Arriva finalmente il 2022 e partiamo per Cervia, io sono felicissima di incontrare la grande famiglia Bws e vedo anche papà felice. Arriviamo in albergo e incontrare le persone che fino a ieri erano solo in uno schermo è stata un'emozione unica, ci siamo abbracciati come se ci conoscessimo da sempre.
Sono stati giorni di crescita e di scambio incredibili, il papà è rimasto colpito da quanta importanza ha la nostra esperienza per i genitori di bimbi più piccoli di te e quanto possiamo guadagnare e capire dai ragazzi più grandi. Siamo rientrati felici e pieni di voglia di fare e condividere.

La strada è stata asfaltata Samuel, adesso sappiamo e sai che non sarai mai solo.
Di Silvia

Aibws, l'associazione italiana dedicata alla sindrome di Beckwith-Wiedemann

In campo per i bambini e le loro famiglie: Aibws è l'associazione italiana dedicata alla sindrome di Beckwith-Wiedemann.  È nata nel 2004 proprio con lo scopo di sostenere genitori e figli alle prese con questa malattia genetica rara (1 caso su 10mila nati). Aibws conta attualmente cento soci e segue 250 famiglie da tutta Italia e non solo. Inoltre collabora con medici e ricercatori, incentivando la ricerca. Dal 2011 è attivo il comitato scientifico. E' riconosciuta dall'Istituto Superiore della Sanità. Collabora con Telethon, Eurordis e altre associazioni omologhe sia in Europa che nel mondo. Il motto dell'associazione è "la vita è come uno specchio, ti sorride se la guardi sorridendo".
Contatti: www.aibws.org ; www.facebook.com/aibwsinfo@aibws.org; +39 345.3121850

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