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Mamme nella rete
definizione di Bullismo
Vito Giacalone- Il termine “bullismo” è la traduzione letterale della parola inglese “bullying”, usata in letteratura per descrivere il fenomeno delle prepotenze tra pari in un contesto di gruppo. Inizialmente, in Norvegia fu usato il termine “mobbing” ed in Svezia e Finlandia quello di mobbning; essi condividono la radice “mob”, il cui significato sta ad indicare un’azione intrapresa e portata avanti da un gruppo. È Olweus nel 1978 ad utilizzare per primo il termine “bullying” per mettere in luce come il concetto fosse riferito sia al gruppo, sia all’individuo.
Tra le più esaustive definizioni bullismo troviamo quella di Costantini che parla di tale fenomeno come di “un comportamento legato all’aggressività fisica, verbale o psicologica: un'azione di prevaricazione, singola o di gruppo, che viene esercitata in maniera continuativa, da parte di un singolo o di un gruppo di ragazzi definiti bulli nei confronti di una vittima predestinata. Non si tratta dei normali conflitti o litigi che avvengono tra studenti, ma di vere e proprie sopraffazioni preordinate, di soprusi, che sistematicamente, con violenza fisica e psicologica, vengono reiteratamente imposti su soggetti particolarmente deboli e incapaci di difendersi, portandoli spesso a una condizione di soggezione, sofferenza psicologica, isolamento ed emarginazione”. Esistono diversi tipi di bullismo e di prepotenze, ma quelli principali sono:
- fisico: colpi, calci, pugni, sottrazione di oggetti personali;
- verbale: prese in giro, scherno o dileggio (anche tramite le nuove forme di bullismo per e-mail e telefono);
- esclusione sociale: “Non puoi giocare con noi”;
- indiretto: diffusione di calunnie, intimazione ai compagni di non giocare con qualcuno (rilevato più frequentemente tra le bambine e ragazze).
ciberbullismo
MNR- Come può incidere sulla vita di chi lo subisce?
V.G.- Olweus identificò che la vittima del bullismo è un ragazzo oggetto di azioni negative da parte di uno o più compagni in modo ripetuto e per lungo tempo, e precisò che tali azioni possono essere compiute attraverso il contatto fisico, parole o gesti offensivi, tentativi di allontanamento o esclusione dal gruppo ma anche attraverso una relazione di potere asimmetrica in cui il ragazzo, oggetto delle prepotenze, manifesta difficoltà nel difendersi. Le conseguenze a breve e a lungo termine del bullismo sono varie e preoccupanti: esso può implicare rischi gravissimi e, nei casi peggiori, irreversibili, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Il soggetto vittima di bullismo può sperimentare stati di disagio quali vergogna per le umiliazioni subite, infelicità, ansia, scarsa autostima, difficoltà di inserimento in classe o nell’ambiente scolastico che possono condurlo all’abbandono, e nei casi peggiori, a forme di disadattamento sociale e di depressione.
MNR- Quali sono i fattori psicologici/sociali che sottendono il fenomeno?
V.G.- Diversi studiosi concordano sul fatto che il fenomeno del bullismo si genera a partire dalla prima infanzia dall’insorgenza e dalla mancanza di controllo del sentimento dell’intolleranza. Alla base del bullismo sono connesse certamente le caratteristiche degli individui, il loro contesto familiare, la loro modalità di stare in un gruppo oltre che le caratteristiche della comunità scolastica frequentata dai ragazzi. Tra le caratteristiche che connotano la vittima di bullismo troviamo la timidezza, uniti all’assunzione di modalità comportamentali basate sulla passività e sulla remissività e che indicherebbero l’incapacità di risposta ad eventuali attacchi fisici o verbali. Secondo Menesini le vittime dette “provocatrici”, sarebbero caratterizzate da difficoltà di regolazione emotiva, irritabilità, facilità a cedere alla provocazione e tenderebbero ad avere frequenti manifestazioni di rabbia oltre che ad assumere comportamenti iper-reattivi.
Per quanto riguarda il bullo, le caratteristiche principali sarebbero invece la scarsa attitudine alla pro-socialità, la bassa empatia nei confronti delle vittime, l’impulsività e il pronunciato bisogno di dominare gli altri. Gli studi più recenti rivelano come i fattori di rischio connessi al contesto familiare siano da rintracciarsi in stili educativi eccessivamente autoritari o al contrario permissivi, oppure contraddittori. Sembra infatti che i genitori del bullo siano spesso poco presenti, che siano poco autorevoli ed inefficaci nel porre limiti al comportamento del figlio. A volte le famiglie dei bulli hanno problemi personali gravi quali situazioni di dipendenza, di violenza o problemi con la legge. I comportamenti aggressivi potrebbero inoltre derivare da un certo grado di disgregazione affettiva del nucleo familiare e potrebbero essere promossi dalla convinzione di alcuni genitori che il comportamento aggressivo sia normale e che sia invece la vittima ad avere problemi.
MNR-Cosa si può fare per contrastare il fenomeno?
V.G.- Considerare il problema del bullismo all’interno della dicotomia relazionale bullo-vittima, non è rappresentativo della complessità della fenomenologia. Se, il comportamento bullistico, nella maggior parte dei casi si manifesta a scuola -e nei momenti in cui viene meno il controllo da parte degli insegnanti e dei collaboratori scolastici- inevitabilmente ha luogo alla presenza dei compagni di classe che non possono essere semplicemente considerati osservatori esterni (o vittime inconsapevoli), ma corresponsabili di quanto accaduto.
Ciò significa che il fenomeno del bullismo va contrastato su più livelli, secondo un approccio multidimensionale, che tenga conto del “peso” della famiglia, di quello della scuola, e della comunità intera. Coinvolgere sin dalle primissime battute la famiglia. Spesso sono proprio loro a sottovalutare i comportamenti violenti e ribelli dei loro figli; oppure sono sistematici nella negazione dell’evidenza dei fatti. Occorre fare un’attività di parent training, finalizzata all’appropriazione da parte dei genitori di una serie di regole comportamentali da attuare a casa e da suggerire al figlio.
Coinvolgere l’intera classe in cui si è manifestato il problema, favorendo aiuto e supporto tra i pari. Dalla discussione in gruppo, dalle loro argomentazioni si possono avere utili suggerimenti, funzionali a una più chiara e attenta lettura del fenomeno specifico. Dalla consapevolezza dei ragazzi è possibile costruire una mappatura di regole condivise per gestire tra i pari il fenomeno e offrire un certo contenimento a chi riceve abuso, considerato che il disagio non è soltanto di chi esprime comportamenti di bullismo, è anche della classe tutta e contemporaneamente del soggetto dello scherno o peggio della punizione.
Il gruppo ponendosi in modo oppositivo nei riguardi del bullo contrasta l’emergere di forme di emulazione e di approvazione negli altri e contemporaneamente ne contiene ulteriori manifestazioni di chi di tale condotta ne ha fatto uno stile relazionale. A conferma di quanto espresso le ricerche sul costrutto del disimpegno morale evidenziano come il gruppo dei pari, nell’identificazione dei vari ruoli all’interno della classe, possa favorire o contrastare il nascere di questi fenomeni.
Aiutare il ragazzo bullo a partecipare ad attività laboratoriali e teatrali in cui possa esprimere i propri contenuti costruttivi e positivi. Le attività che rientrano nella sfera ludico-ricreativa sono occasione per convogliare e trasformare l’energia distruttiva, di cui i bulli sono portatori, in espressione di sé attraverso il gioco.
MNR- Come il mentoring può essere di supporto in questi casi?
V.G.- Il mentoring è sicuramente una pratica educativa che aiuta a contenere gli effetti del bullismo. Sovente nei programmi mentoring il mentee racconta al mentore storie di vita vissuta in cui le prevaricazioni e gli scherni avvengono settimanalmente. Tali ragazzi vivono costantemente sotto assedio con conseguenze negative sulla loro autostima. In questi casi il mentore, l’adulto, ha il compito di favorire nel mentee un supporto relazionale finalizzato ad individuare le modalità che possono diminuire il disagio provato.
Se si opera sull’autostima, aumentano le probabilità che il mentee vittima di bullismo, involontariamente faciliti l’emersione di atti di bullismo a suo discapito. Inoltre l’attività di mentoring ha il vantaggio di lavorare nella relazione individuale con ogni ragazzo coinvolto. Ciò di per sé accelera il percorso di crescita e di fuoriuscita dalle problematiche in atto.
MNR- Qual è l'approccio di Mentoring USA/Italia Onlus, e quali risultati sono stati ottenuti?
V.G- Il metodo one-to-one in questione si basa sulla più che ventennale esperienza del mentoring di Matilda Raffa Cuomo, e del marito Mario -ex Governatore dello Stato di NY- che nel 1996 hanno trasferito tutto il know how al nipote, Sergio Cuomo, il quale in Italia ha fondato la Onlus Mentoring USA/Italia. La pratica educativa abbina ad uno studente della scuola (il mentee), un volontario (il mentore), allo scopo potenziare le risorse personali già possedute dal giovane ragazzo, il quale, al momento vive difficoltà di crescita che possono essere anche familiari, sociali e scolastiche. Il mentore prima di cominciare il percorso a scuola (luogo deputato al one-to-one) segue un’attività formativa sul metodo e sulla promozione delle life skills.
L’attività della Onlus ogni anno è monitorata dall’Università di Roma la Sapienza, allo scopo di comprendere quali risultati il metodo produce sui ragazzi coinvolti. In particolare le ultime ricerche hanno evidenziato che i ragazzi migliorano da un punto di vista sociale e relazionale. Anche i docenti che sono stati chiamati a valutare gli effetti del modello hanno evidenziato ulteriori cambiamenti positivi nell’area cognitiva e scolastica. Gli studenti, seguiti dalle attività di mentorato per un triennio, sono descritti con maggiori livelli di attenzione, migliori capacità metacognitive e con maggiori abilità di autopresentazione efficace.
Per info: press@mammenellarete.it vitogiacaloneconsulenze@gmail.com http://www.mentoringusaitalia.org/
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