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La costruzione dell’identità nel bambino: come aiutare il bimbo a vivere le emozioni

di mammenellarete - 21.01.2015 - Scrivici

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Come si forma l'identità del bambino? Come gestire dei "no" ripetuti del piccolo? O il bimbo quando urla, piange? Le emozioni sono estremamente preziose e determinano il sentimento di identità nel bambino, aiutano ad esprimere ciò che vuole e ciò che non vuole, quello che sente e quello che vive. Un figlio, da quando viene al mondo, dovrebbe sentirsi amato per quello che è, e non per ciò che i genitori pensano che debba essere o diventare.  

Accade spesso che i genitori si trovino in difficoltà nell’accogliere le opposizioni dei propri figli; gestire i ripetuti “No!”, così come alcune potenti emozioni che a volte ci presentano, può essere problematico.

 

Queste sono tuttavia delle tappe importanti per la costruzione della sua identità: ascoltare, accogliere e rafforzare i sentimenti dei figli significa aiutarli a costruirsi come persone.

 

Il senso della propria identità si basa infatti sulla consapevolezza delle proprie emozioni, dei propri bisogni e desideri.

 

La costruzione dell’identità è un processo che si costruisce per tappe, come evidenziato da Daniel Stern, importante psichiatra e psicoanalista:

 

1. Nel neonato non ci sono confini tra lui e il resto del mondo, non c’è differenza tra lui e i suoi genitori, si sente ancora “fuso” con loro.

 

2. Dai 5 mesi inizia ad emergere il primo nucleo del Sé, quando scopre di essere un’entità diversa; quando questa scoperta diventa chiara è come se il piccolo vivesse una seconda nascita.

 

3. Tra i 7 e i 9 mesi il bambino inizia a capire che esistono altre menti e altre volontà. Questa la maturazione si può vedere ad esempio quando piange se la madre coccola un altro bambino, o quando si uniforma agli stati d’animo di chi gli sta accanto.

 

4. Verso i 15-20 mesi si sviluppa il senso del Sé “verbale”: il linguaggio consente delle forme di riflessione su di sé. Inoltre inizia a riconoscersi allo specchio e a sviluppare l’identità di genere, distinguendo tra maschi e femmine. Il bambino sviluppa un uso ripetuto delle parole “No” e “Io”, per affermare ciò che vuole e che non vuole.

 

5. Intorno ai 3 anni si definisce in base alle attività che svolge (es. vado a scuola).

 

6. A 5 anni la definizione di sé incorpora qualità fisiche e psichiche. Fino all’arrivo dell’adolescenza il bambino si identifica molto con la famiglia, anche se si delineano gusti, preferenze, tratti caratteriali.

 

7. Nell’adolescenza incomincerà il processo di differenziazione dai modelli infantili, che consentirà l’affermarsi delle capacità e disposizioni personali.

 

Come vediamo la costruzione dell’identità personale è una conquista che si sviluppa grazie ad un lungo processo di crescita che i genitori devono sostenere.

 

Una tappa fondamentale è quella che si attraversa intorno ai due anni, in cui il bambino oppone il proprio Io a quello degli altri, e questo gli consente di differenziarsi.

 

Tutti i genitori sanno quanto possa essere difficile a volte accogliere un bambino che piange, urla e manifesta la sua collera o la sua tristezza. Ma, come evidenzia Isabelle Filliozat, psicoterapeuta francese, ciò che si deve tener presente è che le emozioni sono estremamente preziose e determinano il sentimento di identità nel bambino, aiutano ad esprimere ciò che vuole e ciò che non vuole, quello che sente e quello che vive.

 

Quando il bambino dice “Io sono triste”, “Io ho sonno”, “Io non voglio andare a scuola” o ce lo fa capire tramite il comportamento, cerca di esprimere se stesso.

 

Questo non significa che i genitori dovrebbero fargli fare tutto quello che vuole, ma che dovrebbero rispettare e valorizzare il suo diritto ad esprimere ciò che sente, le sue emozioni e i suoi bisogni.

 

Crescendo, alcuni bambini che non vengono accolti, ascoltati e compresi, potrebbero sviluppare quello che Winnicott ha chiamato “Falso Sé”, ossia crescere alienati dal proprio Sé autentico. Un figlio per amore dei genitori può cercare di compiacerli recitando la parte che loro si aspettano da lui.

 

Diventerà così un bravo bambino, ubbidiente, tranquillo e accondiscendente ad ogni richiesta, cosa che potrebbe sembrare ideale agli occhi di chi gli sta accanto. Tuttavia un bambino così dentro di sé non sta bene.

 

In seguito farà fatica a sapere ciò che vuole, chiederà spesso cosa deve fare, avrà bisogno dei pareri degli altri e lascerà che essi dirigano la sua vita.

Da ragazzo e da adulto sarà probabilmente molto adattato alle richieste dell’ambiente, delle persone che lo circondano, ma a scapito della perdita dell’autenticità, della spontaneità e creatività nella relazione con l’altro, che quindi non potrà essere profonda.

 

Un figlio, da quando viene al mondo, dovrebbe sentirsi amato per quello che è, e non per ciò che i genitori pensano che debba essere o diventare.

 

Come aiutare il bambino a vivere le emozioni e a far maturare la sua identità? Come i genitori possono gestire questo processo e sostenerlo?

 

• Rispettare le sue emozioni ascoltando ciò che ha da dirci e dandogli modo di approfondire la comprensione di ciò che sta vivendo.

 

• Accettare e capire: mostrare empatia con ciò che sta sentendo dentro di sé; non cercare né di “guarirlo” dalla sua emozione né di risolvere il problema al suo posto.

 

• Sdrammatizzare e cercare le sue risorse: possiamo portargli degli esempi della stessa emozione vissuta quando eravamo piccoli anche noi e ricordargli situazioni simili che lui stesso ha attraversato e superato.

 

• Non umiliarlo se non raggiunge immediatamente determinate tappe: un bambino che non viene deriso, ma sostenuto nel rispetto dei suoi tempi, acquisisce fiducia e sicurezza in se stesso (es. a camminare, nel controllo sfinterico, nello sviluppo del linguaggio ecc.).

 

• Incentivare la sua creatività e sviluppare i suoi talenti, senza “imporgli” delle passioni che non sente sue.

 

• Incoraggiare la sua autonomia a seconda della tappa di sviluppo.

 

• Aiutare il bambino quand’è in difficoltà, ma stimolarlo affinché diventi in grado di portare a termine da solo i propri compiti.

 

• Lodarlo quando riesce bene in qualcosa, valorizzare i suoi successi; non mortificarlo se qualcosa va male, ma incoraggiarlo ad impegnarsi di più la volta successiva.

 

• Indicare le linee lungo le quali muoversi, ma nello stesso tempo lasciare al bambino libertà all’interno di questi confini.

 

In questo modo si costituirà una identità sana e definita, una buona autostima e diventerà capace di capire a fondo le sue emozioni, nonché di essere consapevole dei suoi bisogni e desideri reali.

 

Riferimenti bibliografici

 

Ferraris A. (2002), La ricerca dell’identità, Giunti, Firenze.
Filliozat I. (2001), Le emozioni dei bambini, Piemme, Milano.
Stern D. (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, Torino.
Winnicott D. (1997), Bambini, Raffaello Cortina, Milano.

 

Autrice:
Maria Grazia A. Flore, psicologa, specializzata in psicoterapia psicoanalitica e membro del direttivo di Calliope Associazione Bio-Psico-Sociale.
Si occupa prevalentemente di psicoterapia e sostegno alla genitorialità come libero professionista.
Il suo sito: "www.mariagraziaflore.com"

 

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