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Imparare a conoscere il proprio bambino

di Valentina Camen Chisari - 17.06.2013 - Scrivici

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Tutte le volte che ho pensato “questa cosa forse è un po’ difficile da capire o da fare per lui”, mi figlio mi ha sempre dimostrato di essere all’altezza. Di crescere, bene e a modo suo. Forse, stavo seguendo la strada giusta: quella del rispetto per mio figlio.

di Valentina Carmen Chisari

 

Se c’è una cosa, più delle altre, che mi ha insegnato mio figlio è quella di non sottovalutarlo mai.

 

Durante i primi mesi dopo il parto, la confusione regnava sovrana nella mia testa e, suggerita da una mia cugina, acquistai un libro dal nome “Il linguaggio segreto dei neonati”.

 

Per me rappresentò una guida molto utile da leggere: in un capitolo, ad esempio, l’autrice distingueva i neonati in tipologie (da quello sensibile a quello “da manuale”), descrivendone le caratteristiche principali e aiutandoti a capire a quale “categoria” tuo figlio potesse appartenere.

 

Una parte di questo libro che mi colpì molto e che, in sintesi, rappresentava poi il pensiero della scrittrice era che il neonato, innanzitutto, dovesse essere considerato una persona, molto piccola ma pur sempre una persona, e non solo un dolce esserino talvolta incomprensibile simile a un bambolotto.

 

Due, in particolare, furono gli esempi che mi colpirono:

 

  1. il fatto di non chiamarlo per nome ma dire solo ed esclusivamente “il bambino” denotava una sorta di distacco da parte del genitore (e se non diventi madre non puoi capirlo davvero),
  2. e poi il tasto dolente della “ninna” che, secondo molti, il bambino doveva imparare a fare anche tra la confusione di amici e parenti che venivano a farti visita - magari nel baby pullman posizionato al centro del salone - al contrario, invece del pensiero dell’autrice secondo la quale il riposo del neonato doveva essere considerato un momento di privacy così come per gli adulti.

 

quella del rispetto per mio figlio

 

Col passare dei mesi, Lorenzo cominciò a esternare sempre di più la sua personalità: non ha mai amato, per esempio, stare in braccio ma si è sempre dimostrato disponibile alla conoscenza di nuove persone; all’età di cinque mesi dimostrò chiaramente di avere interesse per il cibo e, a dieci mesi compiuti, non volle più essere imboccato e cominciò a mangiare da solo.

 

Anche qui le battaglie furono aspre: molti amici e parenti, infatti, mi dicevano che avrei dovuto correggerlo, che non era un bene che Lorenzo mangiasse da solo e per di più con le mani, ma invece anche quella volta lo lascia fare e presto imparò a usare le posate. Le letture sono state, da sempre, il suo passatempo preferito (oltre a macchinine, trenini e babyattrezzi per il fai da te!); di certo, tutte le volte che ho pensato “questa cosa forse è un po’ difficile da capire o da fare per lui”, mi figlio mi ha sempre dimostrato di essere all’altezza. Di crescere, bene e a modo suo.

 

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