La mia storia forse non sarà come quella di tante altre. E' una storia di sofferenza, lacrime, tristezza e alla fine... rinascita. Perché in fondo al tunnel c'è sempre la luce. E la mia luce oggi è l'essere mamma.
Tutto ebbe inizio nel 2006. All'epoca avevo 29 anni. Rimasi incinta di un uomo che non era neanche il mio ragazzo. Mi piaceva così tanto. Lo amavo da impazzire. Avevo sperato tanto che un giorno sarebbe nata una storia con lui. Ma mi stavo solo illudendo. Non accadde nulla. Lui non voleva me. E così mi ritrovai sola e incinta.
Fortunatamente ebbi l'appoggio dei miei genitori e dei miei più cari amici. Io già vivevo da sola. E da sola mi preparai alla gioia più grande per una donna, la gravidanza. Cambiai totalmente la mia vita. Avevo 29 anni ed ero pronta a diventare mamma.
La gravidanza fu un sogno e andò benissimo. Il giorno del parto però, per complicazioni, dovetti all'ultimo momento fare un parto cesareo. E così il 5 marzo del 2007 nacque mio figlio Simone. Del padre neanche l'ombra. Non si fece vedere, non si fece sentire. Che pugnalata al cuore! Però io non ero da sola. Con me in ospedale c'erano la mia migliore amica e un altro amico.
Essere mamma fu un dono. Una gioia immensa. Una sensazione di benessere che parte dal cuore e si irradia per tutto il corpo. Fui davvero felicissima.
Ma, giunta a casa, iniziarono i problemi. Il padre di mio figlio non lo volle riconoscere. Non volle fare neppure il test del DNA. Poi fu chiamato dalla comune del mio paese e fu obbligato a farlo. Dopo il riconoscimento della paternità biologica, ci volle un anno affinché riconoscesse anche la paternità legale del bambino e pagasse gli alimenti.
Dovemmo andare in tribunale per poter fare tutto.
Proprio non ci teneva al bimbo. Vide mio figlio solo una volta, quando il piccolo aveva sette mesi. Poi si fece vedere pochissimo, quasi niente.
Non mi feci abbattere. Mi rimboccai le maniche. Andai avanti da sola. Non avevo bisogno di lui. Lavoravo part-time e mio figlio di giorno era all'asilo. Stavamo bene.
Dopo il caos iniziale, le cose pian piano iniziarono a cambiare. Il padre finalmente cominciò a fare il padre. Iniziò ad essere più presente, veniva una volta alla settimana a prenderlo. La situazione si stabilizzò.
Finché non arrivò il giorno più buio della mia vita. Se ci penso... è come se fosse ieri.
Una mattina mio figlio si alzò normalmente, come faceva tutte le altre mattine. Il giorno prima aveva avuto solo un po' di febbre e niente più, ma gli era passata. Tutto ad un tratto il piccolo sentì l'urgenza di vomitare e io chiamai subito l'ospedale. Mi dissero di portarlo dalla pediatra.
Avevo l'appuntamento nel pomeriggio e così accompagnai il bambino. Fin a quel momento tutto bene. Una volta arrivata dal dottore, il bambino vomitò di nuovo lì e il dottore mi disse che era a causa di un'infiammazione alle orecchie, congiunta al mal di pancia. Mi diede l'antibiotico e mi rimandò a casa.
Mentre tornavo a casa, pensai che mio figlio volesse dormire e così, una volta arrivata a casa, lo misi nella sua culla.
Lo guardai bene. Mi si gelo il sangue. Improvvisamente fui terrorizzata. Lo vidi pallido, stava malissimo. Aveva avuto uno shock anafilattico. C'era per fortuna la mia amica con me. Ebbe il tempismo di chiamare subito l'ambulanza. Io presi mio figlio in braccio e mi sentivo impotente. Era caldissimo. Sembrava bruciasse. Lo diedi in braccio alla mia amica, perché non riuscivo a smettere di piangere ed ero sotto shock.
Arrivammo in ospedale e subito lo presero e lo controllarono. Non riusciva più a respirare da solo: lo intubarono e lo portarono nel reparto di terapia intensiva. Io ero sotto shock. Non capivo cosa stesse succedendo. Che cosa stava accadendo al mio piccolino?
Quando poi venne il dottore da me e mi disse che non sapeva se avrebbe superato le 24 ore... svenni. (Leggi anche: mia figlia Rachele, l'angelo che veglia su Matteo)
Pregai Dio che lasciasse vivo mio figlio, che lo salvasse. Ma non fu così, perché poche ore dopo venne meno.
E così il 26 giugno del 2008 mio figlio divenne un angelo.
Non riuscivo a crederci. Non riuscivo a darmi una ragione della scomparsa di mio figlio. Da quel momento la mia vita cambiò.
Ci vollero due anni per accettare tutto quello che mi era accaduto, per imparare a convivere con questo dolore. Cambiai vita, lavoro, casa. Volevo stare sola.
Così, dopo tre anni di solitudine, conobbi il mio attuale ragazzo.
E abbiamo coronato il nostro sogno d'amore con una figlia. Sono infatti diventata mamma di nuovo un anno fa e ringrazio Dio per aver avuto la possibilità di esserlo un'altra volta.
Non posso però fare a meno di pensare a Simone. So che lui è con noi. Adesso mio figlio ha un compito: vegliare sulla sua sorellina. Penso a lui ogni giorno e mi manca tanto. Ma so che sta bene lassù.
di mamma R.
(storia arrivata sulla nostra pagina Facebook, editata dalla redazione)
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Aggiornato il 01.09.2017